Il Partito dalle pareti di vetro

di Fosco Giannini
sopra la locandina della prima presentazione del libro di Alvaro Cunhal (il grande segretario generale del PC Portoghese, dagli anni del fascismo di Salazar sino agli anni 2000, passando per la Rivoluzione dei Garofani) alla Festa del PCI di Labaro ( Roma) che ha come titolo ” Festa dell’unità comunista”.
Dopo due anni di lavoro, con l’approvazione totale del PC Portoghese, sono faticosamente riuscito, assieme alla Casa Editrice La Città del Sole, a pubblicare finalmente questo capolavoro di Cunhal sulla forma partito comunista, inedito in Italia. Del libro sono il curatore e il prefatore, mentre la postfazione è di Salvatore Tinè, docente di Storia contemporanea all’Università di Catania.
E’ un’opera importante, poichè, in modo credo mai così organicamente posto politicamente e teoricamente in Italia, affronta le grandi questioni dell’organizzazione leninista del Partito, la sua democrazia interna, la sua natura rivoluzionaria, la concezione democratica e non burocratica del centralismo democratico, dispositivo che può essere utile per la disciplina nella misura in cui prima sollecita fortemente la libera discussione politica e teorica interna e la stessa ricerca politica e teorica, l’organizzazione in cellule di produzione, la scuola quadri, la lotta contro il culto della personalità (dal segretario nazionale al segretario di sezione), la questione dirimente della centralità del lavoro collettivo, dal quale, per Cunhal, non si prescinde, anche per evitare ogni degenerazione autoritaria e ultra centralizzata dei gruppi dirigenti; il rispetto reciproco dei compagni e delle compagne, la comprensione dei problemi, anche personali, dei militanti, la questione del come porsi di fronte al dissenso interno, che non va ciecamente represso ma compreso e metabolizzato in una visione unitaria del Partito. Una grande opera, che molto può servire alla crescita collettiva e individuale dei comuniste e delle comuniste in Italia….
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La Cina della nuova Era – Viaggio nel 19° Congresso del Partito Comunista Cinese
Una breve presentazione del libro
a cura di Fosco Giannini
E’ in uscita il libro “La Cina della Nuova Era – Viaggio nel 19° Congresso del Partito Comunista Cinese”, pagine 321, casa editrice “La Città del Sole”, prezzo di copertina 18 euro. Il libro è curato da chi scrive ( Responsabile del Dipartimento Esteri del PCI) e Francesco Maringiò ( Coordinatore del Dipartimento Esteri del PCI). Il libro sarà presentato in anteprima il prossimo 17 gennaio a Roma, dalle ore 17.30, presso la “Sala Sallustiana Art To Day”,in via Sallustiana 27/A e a presentarlo saranno, tra gli altri, Francesco Maringiò, Bruno Steri (Segreteria Nazionale PCI), Andrea Catone ( storico del movimento operaio e direttore della rivista “Marx 21”), Mauro Alboresi (segretario nazionale del PCI) e un Rappresentante dell’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese a Roma.
L’opera ha preso concettualmente corpo, circa un anno e mezzo fa, attraverso una fitta discussione tra chi scrive queste note, Domenico Losurdo, Francesco Maringiò, i compagni dell’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese a Roma e del Partito Comunista Cinese e alcuni degli autori del libro. La discussione è partita da un obiettivo da tutti condiviso: quello di decodificare, con strumenti d’analisi i più scientifici possibili e “raccontare” – al di là di ogni caricatura negativa o ogni apologia acritica- la Cina di questa fase storica, il modello socialista cinese, “la Cina della Nuova Era”, come lo stesso PCC ha definito l’attuale progetto storico cinese. Messo a fuoco l’obiettivo, occorreva scegliere le modalità per poterlo cogliere. E si è arrivati a pensare che si poteva benissimo partire dalla vastissima e omnicomprensiva relazione che il Segretario del PCC, Xi Jinping, aveva svolto al 19° Congresso del PCC, nell’ottobre del 2017, relazione attraverso la quale si configuravano i caratteri portanti della “Cina della Nuova Era”.
Dunque, i curatori del libro, assieme a Domenico Losurdo, decisero la strada da compiere: estrarre dalla relazione di Xi Jinping i temi centrali della “Cina della Nuova Era” e affrontarli, politicamente e teoricamente, uno per uno, affidando ogni tema ad un intellettuale marxista italiano esperto di questioni cinesi. E così si è fatto. Il risultato finale è il seguente: la prefazione del libro ( “Il 19° Congresso del PCC e la Cina della Nuova Era) è a firma ( segno del totale coinvolgimento dell’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese a Roma e dei compagni cinesi nella stesura del libro) dell’Ambasciatore della Cina, S.E. compagno Li Ruiyo. L’introduzione al libro doveva scriverla il compagno Domenico Losurdo, che come già detto aveva partecipato alla delineazione del libro sin dall’inizio. La morte ha impedito al nostro caro Domenico di consegnarci l’introduzione e, d’accordo con la sua famiglia, abbiamo utilizzato un suo importante scritto sulla Cina (“Washington consensus o Beijing consensus?”) a mo’ di introduzione. Il primo Capitolo del libro, a firma dello storico Diego Angelo Bertozzi, ha questo titolo: “Tra Mao e Deng: due eredità su Xi Jinping”. Il titolo è fortemente evocativo del contenuto stesso dell’intervento: si mette a fuoco la relazione della storia profonda del socialismo cinese (dalla Rivoluzione di Mao sino alle Riforme di Deng Xiao Ping) con l’attuale fase cinese. Il secondo Capitolo è a firma di Francesco Maringiò (“Il socialismo cinese entra in una nuova era”) e anche in questo caso il titolo indica chiaramente le questioni che vengono affrontate: quelle relative, appunto, al nuovo sviluppo economico e sociale lanciato dal 19° Congresso del PCC. Il terzo Capitolo (“Il 19° Congresso del PCC: prospettive, obiettivi, rischi”) è scritto dal compagno Bruno Steri, che prende soprattutto in esame il nuovo modello di sviluppo economico insito nella “Cina della Nuova Era”, le sue dinamiche e anche, come è detto, i suoi rischi. Il 4° Capitolo (“La politica agricola delle aree rurali”) è a firma di Simone Seu, studioso di Politica e Storia e già Presidente della Fondazione “Antonio Gramsci” di Cagliari, e affronta la questione, storicamente e anche attualmente centrale per la Cina, del progetto di sviluppo dell’agricoltura nella fase dell’impetuoso sviluppo industriale cinese. Il 5° Capitolo (“La politica interna della Cina”) è scritto dallo studioso Giambattista Cadoppi; il 6° Capitolo ( La politica estera della Cina”) dal professor Fabio Massimo Parenti; il 7° Capitolo (“Il PCC con la guida di Xi Jinpg) è il secondo contributo al libro di Francesco Maringiò, un saggio tra i più pregnanti, poiché affronta la questione della centralità e del ruolo d’avanguardia del PCC nel progetto di costruzione della Cina della Nuova Era; l’8° Capitolo (“La Cina di Xi Jinping tra “durata” e “guerra di posizione”) è a firma del professor Emiliano Alessandroni, dell’Università di Urbino; il 9° Capitolo (“Civilizzazione ecologica e Cina green”) è di Giuliano Marrucci, tra gli autori dei programmi di inchieste di Rai 3 Report e studioso dell’Asia, e affronta i temi della grande svolta ambientalista cinese, mentre la postfazione (“Le radici dell’attuale successo del socialismo con caratteri cinesi”) è a firma di chi scrive queste note.
Il libro è naturalmente dedicato a uno dei più grandi intellettuali della storia del marxismo e del comunismo italiani: Domenico Losurdo.
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Cosimo Cerardi
Le radici del Comunismo Scientifico
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Le brigate Garibaldi
127ª e 181ª nel Gallaratese
E il partigiano John
UN LIBRO TANTO UTILE
DA: https://assconcettomarchesigallarate.wordpress.com/2015/04/03/un-libro-tanto-utile/
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… il 17 febbraio del 1600… avvolto nelle fiamme del rogo di Campo de’ Fiori a Roma… moriva Giordano (Filippo all’anagrafe) Bruno
Verrà un giorno che l’uomo si sveglierà dall’oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo.
Giordano Bruno
FILOSOFIA E RIVOLUZIONE IN GIORDANO BRUNO
Autore: Cosimo Cerardi***
A ragione Bruno può essere definito il grande filosofo martire non solo della nostra Rinascenza ma anche di quella europea.
Quando Giovanni Gentile si ricollegava, senza alcuna ombra di dubbio, a Bertrando Spaventa e alla sua valorizzazione del Rinascimento, sia nei confronti della scolastica che nei confronti della filosofia Europea del ‘600, lo faceva per sottolineare il ruolo del pensiero bruniano nel Rinascimento italiano e della centralità di questo nel panorama culturale dell’Europa di quel tempo.
Ma in tal senso è corretto rilevare come Gentile, proprio su questi argomenti, ebbe un lungo confronto con un altro grande studioso di questioni bruniane, Felice Tocco; Giovanni Gentile lavorò a lungo tra il 1907- 1908 proprio sui Dialoghi Bruniani, circostanziandoli fra l’altro di notizie a proposito della vita del Nolano.
E sarà proprio con il Tocco e con Rodolfo Mondolfo che il Gentile discuterà a lungo a proposito dell’arduo problema dell’unità del pensiero bruniano, dei suoi molteplici intrecci dei temi e degli sviluppi, nonché della varietà delle fonti, classiche, medioevali e contemporanee, manifestando così una profonda insoddisfazione rispetto ad alcune tesi a volte estrinseche e ingiustificate.
Gentile mostrò, d unque, di aver ben compreso la lezione ‘filologica’ proposta dal Tocco, una lezione, la sua, volta a proiettare la filosofia del Rinascimento fuori dalle formule astratte in cui rischiava, a volte, di cadere la tradizione risorgimentale spaventiana.
Infatti, stando a questa tradizione vi è un privilegiare di Bruno “martire” della liberazione del pensiero umano, ma non molto di più, in realtà lo sforzo della storiografia post- risorgimentale è stato quello di una comprensione più profonda delle radici delle filosofie naturalistiche di Bruno e di Campanella. Il platonismo Rinascimentale, figlio dell’Umanesimo, e di cui Bruno è un grande interprete, dice il Gentile, ha permesso la produzione delle grandi sintesi di Spinosa e di Leibniz, un platonismo che ha avuto il compito di far voltare le spalle al medioevo, dando luogo ad un nuovo orizzonte, ad un orizzonte decisamente più ampio, ad un orizzonte dove si è passati dalla divinità della natura alla intrinseca divinità dell’uomo, inculcando perciò in costui il “sentimento” della sua potenza, dell’infinito che è in grado di raccogliere nel ‘petto’ dell’uomo, l’identità sostanziale della sua anima con l’anima e con la vita del tutto.
Il pensiero bruniano però va oltre questa consolidata interpretazione e collocazione, in Bruno, infatti, c’è ben altro, c’è la critica al pensiero scolastico medioevale ed anche al pensiero del seicento europeo, pensiero tutto teso a stabilire i grandi blocchi concettuali funzionali alla società borghese.
La rottura, dunque, nella proposta filosofica bruniana, del tempo cronologico, una dilatazione temporale, Jetz, in nome di una “nuova concezione” teoretica – politica di liberazione che lo collega alla grande proposta della”libertà comunista
Per questo il titolo del presente lavoro,”Filosofia e rivoluzione in Giordano Bruno. Religione, Etica e Materialismo”, ed anche in questo l’esame di alcuni nodi fondamentali della rivoluzionaria proposta filosofica del Nolano.
***Cosimo Cerardi
Nato a Torchiarolo (Brindisi) nel 1955, laureato in Filosofia a Pisa, perfezionato in Filosofia presso l’Università di Urbino dove si è anche laureato in Sociologia. Vive a Busto Arsizio (VA) e insegna a Gallarate (VA), presso un Istituto di Scuola Media Superiore. Fa parte dell’Associazione “Centro Culturale Antonio Gramsci” ed è responsabile dell’Associazione Culturale”Eugenio Curiel” di Busto Arsizio. Con l’Editrice La Mongolfiera ha pubblicato i seguenti saggi: “Possibilità e speranza”, “Gramsci e la costruzione dell’egemonia”, “Gli scioperi del 1943-1944 a Busto Arsizio”,”Filosofia e rivoluzione in Giordano Bruno”,”Note di un Dibattito – Jurgen Moltmann e la filosofia della speranza di Ernst Bloch”,”Eugenio Curiel – Antifascismo e democrazia progressiva”,”Note sulla dialettica – Karl Marx: dall’Idealismo al Materialismo”,”Rivoluzione e Politica in Amadeo Bordiga”.
tratto dal libro:
La reazione della Chiesa Conciliare
Quando Bruno nasceva, non da molto si era inaugurato a Trento il Concilio convocato da Paolo III, e che avrebbe dovuto aprirsi anni prima a Mantova.
La chiesa cattolica reagiva con forza sempre più determinata al movimento riformatore protestante e contemporaneamente anche a quel rinnovamento culturale di cui era stato portatore lo spirito rinascimentale prima in Italia e dopo in Europa.
Nell’estate del 1541 era morto Juan de Valdès, la cui presenza a Napoli, era stata decisiva per la sua duplice opposizione al cattolicesimo come alla teologia dei riformatori; egli, infatti, auspicava una forma di “esperienza” religiosa personale, fuori dai dogmi e dalle varie autorità religiose.
Nel 1536, il 6 luglio, si era spento in Svizzera (Basilea) Erasmo, il cui atteggiamento religioso, in Italia, non era rimasto senza eco; Bruno, infatti, durante la sua fuga da Napoli si liberò di alcune opere erasmiane – San Girolamo e San Giovanni Crisostomo – per non essere incriminato dal tribunale ecclesiastico in conseguenza di queste sue frequentazioni letterarie.
Ciò, quindi, dimostra con evidenza quanto sia stata rilevante sulla formazione del giovane Giordano Bruno l’opera del pensatore olandese
La cultura umanistica, anche quella di stampo erasmiano, in Italia incise in molti campi e di certo si presenta come un motivo di profondo rinnovamento religioso e filosofico, per cui, in tal senso, possiamo senz’altro affermare che grande fu l’influenza umanistica sul processo di formazione del Nolano.
Così come non fu certamente meno importante l’influenza di Marsilio Ficino e del suo complesso platonismo, proprio sul terreno del divino nel mondo, dove proprio a partire da quest’ambito, di chiara provenienza ficiniana, ebbe inizio il suo percorso teologico- filosofico per poi allontanarsene nei suoi scritti più maturi.
Per questo, allora, è giusto asserire che lungo tutto l’arco della sua opera, più che a collocarsi nell’ambito della Riforma Protestante, Bruno ruotò entro i confini delle tendenze della grande cultura umanistico- rinascimentale italiana ed anche europea; e che sul piano religioso, egli si mosse fra teologie platoniche tolleranti, conciliatrici, e istanze di critica testuale intese a restaurare il testo evangelico nonché la purezza originaria del suo portato religioso; la proposta, insomma, di una fede che ben si opponeva ai macchinosi ragionamenti dati proprio dalla scolastica tradizionale.
Con il Valla da una parte, e Marsilio Ficino dall’altra, si affermava la presenza di due poli, di una spiritualità impegnata e volta, in primo luogo, a superare i conflitti religiosi in nome di una pace che, al di là delle divisioni confessionali, riuscisse a riproporre una corretta lettura del divino nell’unità fondamentale dell’uomo.
Non mancano nemmeno gli accostamenti del Bruno alla invettiva del Savonarola contro la corruzione morale del clero; distante, invece, egli si presenta, dal profetismo apocalittico del riformatore fiorentino.
Infatti, nonostante le sue alterne vicende trascorse tra calvinisti e luterani, Bruno resterà estraneo alla sostanza dei contrasti teologici scatenati dalla Riforma Protestante; come egli ripeterà a più riprese, durante il suo lungo dibattimento processuale, le sue argomentazioni anticattoliche erano mosse da “ragioni filosofiche”.
Bruno, nella stragrande maggioranza dei casi, aveva apprezzato gli “eretici”, solamente per le virtù morali che questi possedevano, ma non andava oltre.
In realtà partito dalla universale “concordanza” tollerante di Cusano e di Ficino, aveva poi assunto un atteggiamento di “indifferenza” nei confronti delle religioni rivelate.
Ben apprezzava, quindi, lo sguardo contemplante del Cusano dove aveva sostenuto che : “tante religioni diverse, tanti modi di vedere diversi, ma tutti veri”.
Bruno, infatti, dal suo punto di vista, dirà che tutte le religioni storiche non sono altro che modi inadeguati, superstiziosi e volgari, di considerare la verità, “tutti equivalenti”, ma “tutti falsi”, il che significava rovesciare in senso negativo l’affermazione iniziale data proprio dal Cusano.