SOFIA-PLOVDIV
PARTONO LE DUE SEZIONI RIUNITE “LUCIO LIBERTINI” IN BULGARIA
a cura del Dipartimento Esteri
C’abbiamo lavorato tanto, davvero tanto e finalmente ce l’abbiamno fatta! Il prossimo sabato 9 dicembre si terrà, a Sofia, l’inaugurazione ufficiale delle due sezioni PCI riunite di Sofia e Plovdiv, in Bulgaria. I compagni e le compagne italiani/e che vivono a Sofia e a Plovdiv hanno deciso di organizzare due nuclei territoriali naturalmente distinti (poiché la magnifica Plovdiv si trova ad oltre due ore di macchina da Sofia) ma riuniti in un unico gruppo dirigente che guiderà le due sezioni riunite, che prenderanno il nome – decisione unanime dei compagni e delle compagne italiani/e in Bulgaria – di Lucio Libertini, il dirigente comunista italiano che, ricordano i compagni e le compagne in Bulgaria, “ non solo fu un grande dirigente del PCI e delle sue lotte operaie e di massa, ma fu anche uno di quei compagni autorevoli che si opposero strenuamente alla linea “occhettiana” di scioglimento del PCI”.
I compagni e le compagne di Plovdiv e Sofia, nell’inaugurare le sezioni riunite “ Lucio Libertini”, si sono già dati un programma di lavoro di massima: rafforzare il rapporto con la “casa madre” in Italia, il PCI; avviare e sostenere nel tempo un progetto di piccola scuola-quadri per i militanti del PCI in Bulgaria; lavorare, non solo a Sofia e a Plovdiv, ma anche, nella misura del possibile, in tutta la Bulgaria, con i compagni e i gruppi dirigenti nazionali e territoriali del Partito Comunista Bulgaro ( con il quale i rapporti sono già forti) e con le forze politiche, sociali e culturali bulgare più avanzate. Nel progetto di lavoro delle sezioni riunite “Lucio Libertini” non vi è solamente lo studio e l’informazione politica proveniente dall’Italia: i compagni e le compagne intendono, proprio lavorando assieme ai comunisti bulgari e alle forze migliori della Bulgaria, partecipare alle lotte sociali e politiche, per ora a Plovdiv e a Sofia, con l’intento, però, di estendere l’attività e la presenza del PCI anche in altre città e territori della Bulgaria.
Attraverso la loro discussione politica e a partire dalle necessità concrete emerse sul campo, i compagni e le compagne del PCI in Bulgaria hanno deciso di eleggere un Presidente unico delle due sezioni riunite (il compagno Maurizio Ferreri, che gestisce un ristorante a Sofia, nel quale – tra l’altro – si terrà la cena dell’inaugurazione delle due sezioni PCI) e un Segretario politico unico delle due sezioni, il compagno Luigi Cavalli, regista cinematografico noto sul piano internazionale soprattutto col nome d’arte “ Frank. W. Dobrin”, “nom de plume” col quale, peraltro, ha firmato anche il suo penultimo film con Gerard Depardieu “ Mon cochon et moi” e il suo ultimo thriller, in uscita sugli schermi internazionali, “The Winner”.
Importantissimo, per i rapporti con i “media” bulgari, sarà il lavoro che dovrà svolgere la compagna NadialkaA.Dzkambazova, bulgara, iscritta al PCI e, anche per la laurea in Lettere conseguita in Italia, perfetta conoscitrice della lingua italiana e dunque eletta, dalle due sezioni “Lucio Libertini”, responsabile dell’Ufficio stampa.
Sabato 9 dicembre, dunque, anche alla presenza del compagno Fosco Giannini, responsabile del dipartimento esteri del PCI, inaugurazione della “Libertini” e poi cena italo-bulgara al ristorante del compagno Presidente Maurizio Ferreri. W il PCI!
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IL PCI SULLA QUESTIONE DEL REFERENDUM IN CATALOGNA
Di Fosco Giannini, segreteria nazionale PCI, responsabile dipartimento esteri
Il PCI, in relazione all’ipotizzato referendum del 1° ottobre in Catalogna e ai fatti cruenti di questi giorni a Barcellona, stigmatizza severamente, innanzitutto, le modalità violente e repressive messe in campo, attraverso l’esercito e le forze dell’ordine, dal governo spagnolo e a partire da questa sua posizione sente di poter far totalmente proprie le parole di un’importante nota politica dello scorso 19 settembre emessa dal Partito Comunista di Spagna (PCE) a firma del suo Segretario Generale, compagno José Luis Centella Gomez : “La dichiarazione del Gruppo di Unidos Podemos, è un tentativo riuscito di rompere con la dinamica attuale causata dalla risposta autoritaria con cui il Governo del PP-C’s ( Partido Popular e Ciudadanos) cerca di affrontare la via unilaterale intrapresa dal Governo di Puigdemont e che ci sta praticamente portando a vivere una situazione di eccezione, in cui la libertà d’espressione comincia ad essere gravemente limitata e che può provocare una risposta violenta all’attuale crisi, causando una frattura istituzionale e sociale con conseguenze imprevedibili. Lo fa da una posizione federalista e repubblicana, che ha criticato il processo unilaterale che promuove il Governo di Catalogna e che non condivide il Referendum del 1º ottobre, dato che non include tutte le proposte e non si è sviluppato in modo minimamente democratico, ma allo stesso tempo ha criticato il comportamento del Governo del PP, autoritario e incapace di dialogare ed accordare una soluzione politica a questo conflitto”.
L’analisi del PCI sui fatti catalani coincide con le due posizioni assunte dal PCE e dal Gruppo di Unidos Podemos: da una parte la critica radicale dei comportamenti di carattere reazionario del governo spagnolo e dalle forze militari e, d’altra parte, la critica ad una richiesta referendaria del governo di Catalogna che verte solamente sulla richiesta della separazione secca della Catalogna dall’intera Spagna, escludendo a priori la via dell’autonomia federativa e del dialogo costruttivo.
Il PCI individua nella reazione violenta del governo di destra Raioy una riedizione della politica franchista volta a negare ogni diritto alle autonomie e alle popolazioni, come individua nell’odierno governo catalano Puigdemont/MAS e nella sua proposta referendaria, un rischio neonazionalista che esclude già in sé lo sviluppo di un’autonomia catalana dal carattere democratico, solidale e popolare.
Il PCI riporta, anche nelle odierne contraddizioni che vanno aprendosi in Spagna e in Catalogna, il punto di vista di classe, popolare e di massa, un punto di vista volto all’affermazione degli interessi dei lavoratori, delle lavoratrici e della pace. Ed è a partire da questo punto di vista, essenziale per le forze comuniste e della sinistra anticapitalista, che il PCI mette al centro, ancor più ora, nella fase storica data e nei Paesi dell’Unione Europea, l’esigenza dell’unità del movimento operaio complessivo sovranazionale europeo, come esigenza primaria della lotta contro la già avvenuta unità del grande capitale transnazionale europeo, che da decenni già egemonizza in senso ultra liberista tutta l’Unione Europea.
L’esigenza dell’unità del movimento operaio complessivo dell’UE, in senso antimperialista e anticapitalista, esclude a priori ogni deriva nazionalista, che dividerebbe ancor più i movimenti operai e i popoli dell’UE, rafforzando conseguentemente il già solido potere economico e politico del grande capitale transnazionale europeo.
Il PCI rimarca che non è un caso che l’UE, con la Germania in testa, escluda a priori un sistema fiscale centralizzato per tutti Paesi UE, un sistema che obbligherebbe ad un’equa e solidale redistribuzione del reddito tra Paesi ricchi e Paesi poveri, uno sbocco che, a partire dalla Germania, ogni Paese ricco dell’UE esclude a priori.
La via della giusta autonomia della Catalogna non può passare, dunque, da un referendum di tipo nazionalistico (che prevede anche la fine del contributo fiscale catalano alla Spagna, ma anche all’intero popolo e movimento operaio spagnolo) da svolgersi sotto il segno dell’egoismo di un soggetto più ricco a sfavore di popolazioni più povere; ciò porterebbe solamente alla divisione nefasta dell’intero popolo e dell’intero movimento operaio spagnolo-catalano.
Il PCI, sulla scorta della stessa nota del PCE del 19 settembre, crede sia profondamente giusto riconsegnare al popolo catalano la possibilità di esprimersi attraverso il referendum – cancellando così l’orrore post franchista delle violenze e degli arresti – come crede sia giusto si concretizzi la proposta in campo del Gruppo di Unidos Podemos, sostenuta dallo stesso PCE e volta a giungere ad un largo coinvolgimento di forze sociali, politiche, intellettuali, del lavoro – da Madrid a Barcellona – dirette ad uscire dall’attuale contraddizione attraverso una proposta comune e solidale in grado di riformulare la richiesta referendaria sulla scorta di una visione progettuale catalana autonoma, federativa e solidale e non secessionista e nazionalista.
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Insieme fino alla vittoria del socialismo!
Appello degli “Studiosi russi di orientamento socialista” ai cittadini della Russia
da kprf.ru
Traduzione dal russo di Mauro Gemma
Il 13 maggio, nei pressi di Mosca, si è tenuto il Plenum del Consiglio Centrale dell’associazione politica e culturale “Studiosi russi di orientamento socialista” (RUSO) che raccoglie la maggior parte degli intellettuali comunisti della Federazione Russa. La riunione si è conclusa con l’approvazione di una serie di documenti, tra cui un appello indirizzato al paese, in occasione del 100° anniversario della Rivoluzione Socialista d’Ottobre, di cui proponiamo la traduzione.
Cari compagni! Cittadini della Russia!
Nell’ottobre del 1917, cento anni fa, è accaduto uno dei più grandi eventi di tutta la storia del mondo: il proletariato della Russia sotto la direzione del partito dei bolscevichi guidato da V.I. Lenin ha rovesciato il potere borghese. L’abominio dell’autocrazia è stato distrutto ed è stato instaurato il potere del popolo lavoratore. Le fabbriche sono passate nelle mani degli operai, e la terra è diventata dei contadini.
I popoli della Russia hanno ricevuto la libertà tanto attesa dall’oppressione sociale e nazionale, la rivoluzione ha salvato milioni di persone dall’ingiustizia e dal degrado, dalle malattie e dalla fame, dall’analfabetismo e dall’ignoranza.
Sotto la guida di I.V. Stalin e del partito dei bolscevichi il popolo ha realizzato con successo la costruzione del socialismo. Portando a compimento l’industrializzazione del paese, la collettivizzazione dell’agricoltura, la rivoluzione culturale e tecnico-scientifica, il giovane paese sovietico si è trasformato in uno stato potente, che ha assunto posizioni di avanguardia nel mondo. Ciò è stato possibile perché il Grande Ottobre ha liberato le forze creative del nostro popolo, che è diventato l’autentico padrone nella propria terra.
Nel 1941 l’aggressione insidiosa della Germania fascista ha interrotto il lavoro pacifico dei sovietici. Il popolo del Paese dei Soviet ha difeso la causa dell’Ottobre, la causa del socialismo, ottenendo la Vittoria sul fascismo. In tal modo, si è coperto di gloria immortale.
La vittoria dell’URSS sulla Germania hitleriana e i suoi alleati ha giocato un ruolo enorme nel destino dell’umanità. Essa ha ispirato i lavoratori di molti paesi nella lotta contro l’oppressione di classe e il colonialismo.
La crescita dell’influenza comunista nel mondo è risultata insopportabile per i nemici dell’URSS. Con l’aiuto dei protettori occidentali una “quinta colonna” è riuscita a conquistare una seria influenza nel partito e nello stato. In maniera sottile sono stati assestati colpi micidiali alle basi teorico-ideali del partito, è stato seminato il dubbio nelle menti di una parte dei cittadini sovietici.
L’Unione Sovietica e il blocco degli stati socialisti sono stati proditoriamente distrutti. La Costituzione Sovietica e il parlamento sono stati bombardati dai carri armati. Il capitale ha avviato la redistribuzione criminale della proprietà. I diritti sociali dei cittadini sono stati calpestati. Ed è stata profanata la storia della nostra Patria. Nel paese è stata innalzata la bandiera dei traditori di Vlasov (il principale esponente dei collaborazionisti hitleriani, NdT), sono stati costruiti monumenti e memoriali ai leader del movimento dei “bianchi”, sono stati demoliti i monumenti ai dirigenti della Rivoluzione, in particolare quello dedicato a F.E. Dzerzhinky a Mosca, e il Mausoleo di Lenin viene drappeggiato con i colori della bandiera di Vlasov durante le sfilate, mentre non cessano i tentativi di rimuovere il corpo di Lenin dal Mausoleo.
Ma le bugie liberali e la propaganda antisovietica non hanno distrutto le potenti idee della giustizia sociale e l’eredità del Grande Ottobre. Vivono nella memoria di coloro che sono nati nell’URSS, nei cuori dei loro figli e nipoti.
La gravità della situazione nel nostro paese non deve essere causa di piagnistei e mugugni. La via di uscita si trova nella compattezza dei nostri ranghi e nell’intensificazione della lotta. Da soli non ci si sbarazza dal giogo e dall’oppressione degli oligarchi. E’ necessario unirsi e unire, agire e vincere. Oggi tale forza unificante è il Partito Comunista della Federazione Russa, erede e continuatore delle tradizioni vittoriose del partito bolscevico di Lenin-Stalin.
Noi, studiosi della Russia, fedeli alle idee del marxismo-leninismo, come il popolo lavoratore della Russia, traiamo ispirazione dagli eroi del Grande Ottobre. Noi non possediamo capitali e beni all’estero. Viviamo del nostro talento e del nostro lavoro, e vogliamo un futuro migliore per la nostra Patria.
Facciamo appello alle persone che hanno coraggio e consapevolezza, energia e resistenza, agli operai e agli ingegneri, agli insegnanti e ai medici, ai lavoratori della terra, ai giovani e alle donne coraggiosi nell’anno del 100° anniversario della Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre affinché ricordino la nostra grande storia, assumano le proprie responsabilità per il destino della Russia e insieme ai comunisti siano all’avanguardia nella lotta per una vita migliore, per l’emancipazione sociale!
Proseguiamo insieme sulla strada del futuro, sulla strada del socialismo!
Viva l’anniversario della Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre!
Il Consiglio Centrale di RUSO
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Idlib, le domande da porsi prima che sia troppo tardi
DA: http://www.marx21.it/index.php/internazionale/pace-e-guerra/27891-idlib-le-domande-da-porsi-prima-che-sia-troppo-tardi
di l’Antidiplomatico
da lantidiplomatico.it
Sarebbero cento i morti a seguito di un bombardamento con armi chimiche realizzato dalle forze siriane. Il web è invaso dal nuovo orrore che proviene dalla Siria, precisamente da Khan Shaykun, provincia di Idlib.
Il fantomatico Osservatorio siriano per i diritti umani ha subito dato in pasto al mondo il colpevole di tanto orrore: ovviamente Assad.
Un copione già visto. Già al tempo della strage di Goutha – agosto 2013 – il mondo occidentale aveva accusato Assad di avere usato armi chimiche contro i suoi nemici. Tesi che è ormai diventata mainstream, ma che non risponde alle tante obiezioni mosse da un’inchiesta realizzata dal premio pulitzer Seymour Hersc, che in base a informazioni ricevute dall’apparato militare americano ha scoperto che l’accusa contro il governo di Damasco non aveva alcun fondamento (vedi nota precedente).
Anzi, sempre secondo Hersc, furono i ribelli a compiere quella strage, per forzare gli americani a intervenire nel conflitto.
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Comunicato stampa del Partito Comunista di Grecia (KKE)
In merito alla visita di Alexis Tsipras in Ucraina
DA: http://www.marx21.it/index.php/internazionale/europa/27693-in-merito-alla-visita-di-alexis-tsipras-in-ucraina
da inter.kke.gr
Traduzione di Marx21.it
Il primo ministro Alexis Tsipras ha scelto di visitare l’Ucraina in un momento in cui in questo paese si è imposto un regime che è emerso attraverso un colpo di Stato, appoggiato da USA, UE e NATO anche con l’utilizzo di gruppi fascisti.
La visita ha coinciso con il nuovo aggravamento della situazione nel sud est dell’Ucraina, con un nuovo spargimento di sangue, che ha tra i suoi principali responsabili l’attuale presidente P. Poroshenko e il suo governo reazionario.
Tsipras ha visitato l’Ucraina mentre è in corso il processo farsa per proibire il Partito Comunista di Ucraina, mentre vengono abbattuti i monumenti sovietici e antifascisti e i collaboratori dei nazisti vengono presentati ai giovani come “patrioti”.
Il regime visitato dal signor Tsipras ha creato “liste nere” dei suoi oppositori politici, tra i quali G. Lamproulis, deputato e vicepresidente del parlamento greco, e S. Zarianopoulos, deputato europeo del KKE, per avere essi dimostrato, nella pratica, l’interesse e la solidarietà del KKE con il popolo dell’Ucraina, che viene massacrato nella regione del Donbass.
Le discussioni in materia di cooperazione, nel quadro della UE e della NATO, su accordi commerciali, dimostrano che la cosiddetta “politica estera multidimensionale” del governo SYRIZA-ANEL serve in modo unidimensionale agli interessi del capitale, lontano dagli autentici interessi dei popoli di Grecia e Ucraina.
UFFICIO STAMPA DEL COMITATO CENTRALE DEL KKE
Atene, 9 febbraio 2017
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“E’ colpa dei russi”
da: http://www.marx21.it/index.php/comunicazione/comunicazione/27690-qe-colpa-dei-russiq
Il duo tedesco Uthoff/Von Wagner del cabaret satirico ‘Die Anstalt’ ci ha regalato questo divertente sketch sulle “manipolazioni” di Putin alle elezioni presidenziali americane.
https://youtu.be/4bJwvXxBU-g
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Zyuganov: Trump è un prodotto del capitalismo americano.
IL LEADER COMUNISTA RUSSO COMMENTA IL DISCORSO DI TRUMP
DA: http://www.ilpartitocomunistaitaliano.it/2017/01/24/il-leader-comunista-russo-commenta-il-discorso-di-trump/
di Ghennady Zyuganov da kprf.ru, ripreso da marx21.it
Traduzione dal russo di Mauro Gemma
Il 21 gennaio scorso, di fronte al Mausoleo di Lenin, in occasione della cerimonia commemorativa della scomparsa del grande dirigente della Rivoluzione di Ottobre, il leader del Partito Comunista della Federazione Russa, Ghennady Zyuganov, ha commentato anche il discorso pronunciato da Donald Trump dopo il suo giuramento, al momento del suo insediamento alla Casa Bianca.
(…) Ho ascoltato con attenzione il discorso di Trump. Da noi ci sono alcuni che rumoreggiano e gridano, esprimendo entusiasmo. Tra questi si distingue soprattutto Zhirinovsky (il leader della destra parlamentare ultra-nazionalista russa, NdT). Ma noi dobbiamo ricordare che Trump è un prodotto del capitalismo americano, sebbene egli sia alla testa del capitale industriale manifatturiero orientato nazionalmente. Il suo discorso, a opinione di alcuni, avrebbe persino assunto “sfumature marxiste”. Egli ha dichiarato che l’élite di Washington si è separata dal popolo. Trump ha dichiarato che occorre fare tutto il possibile per sviluppare la produzione nazionale e perché chi si sente umiliato e abbandonato abbia maggiore sicurezza. E ha detto che opererà per far si che il suo paese non imponga il proprio ordine ad altri, uscendo da tutti i conflitti.
Ma le autorità russe non devono dimenticare che l’America ha una strategia precisa. Tempo fa scrissi un libro dal titolo “I 200 anni del sogno americano”. Analizzando 200 anni delle politiche statunitensi, sono rimasto stupito. Sono cambiati i tempi, la produzione e persino il clima, ma la strategia è rimasta la stessa: l’espansionismo, la conquista dei mercati e le provocazioni. Se osservate tutta la loro storia, è necessario iniziare dal fatto che hanno massacrato due milioni di indiani. Dopo la Prima Guerra Mondiale gli americani si sono impadroniti del 50% delle riserve auree del mondo, e dopo la Seconda Guerra Mondiale del 60%. Perciò occorre comprendere che loro ci prenderanno in considerazione ad unica condizione: se saremo forti, se conseguiremo successi, se primeggeremo sul piano dell’istruzione e padroneggeremo le tecnologie più avanzate.
(…) Trump ha seriamente impegnato l’America. Gli USA usciranno dalla partnership Transpacifica. Le tenaglie globaliste erano già in procinto di strangolare il nostro paese. In Europa con il sostegno delle provocazioni in Ucraina e il rafforzamento della NATO, in Asia con la rimozione della Russia dai mercati locali. Ho la sensazione che avremo un piccolo intervallo, in cui gli americani saranno maggiormente coinvolti nei problemi interni e si immischieranno meno nei problemi degli altri, indicando loro come devono vivere e lavorare. Ma se questo piccolo spiraglio non sarà utilizzato dal potere al Cremlino, alla Duma e al governo, a profitto del rilancio del nostro paese, della sua scienza, dell’industria, della produzione manifatturiera, se il potere non raccoglierà l’eredità della modernizzazione leninista-stalinista e dell’epoca Sovietica, il nostro futuro sarà ancora peggiore.
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Premio nobel per la pace “ultimo atto”:
Carri armati Usa schierati in Polonia
di Manlio Dinucci | da ilmanifesto.info
Il 12 gennaio, due giorni dopo il suo discorso di addio, il presidente Obama ha dato il via al più grande schieramento di forze terrestri nell’Europa orientale dalla fine della guerra fredda: un lungo convoglio di carrarmati e altri veicoli corazzati statunitensi, proveniente dalla Germania, è entrato in Polonia.
È la 3a Brigata corazzata, trasferita in Europa da Fort Carson in Colorado: composta da circa 4.000 uomini, 87 carrarmati, 18 obici semoventi, 144 veicoli da combattimento Bradley e centinaia di Humvees. L’intero armamento viene trasportato in Polonia sia su strada, sia con 900 carri ferroviari. Alla cerimonia di benvenuto svoltasi nella città polacca di Zagan, l’ambasciatore Usa Jones ha detto che «man mano che cresce la minaccia, cresce lo spiegamento militare Usa in Europa».
Quale sia la «minaccia» lo ha chiarito il generale Curtis Scaparrotti, capo del Comando europeo degli Stati uniti e allo stesso tempo Comandante supremo alleato in Europa: «Le nostre forze sono pronte e posizionate nel caso ce ne fosse bisogno per contrastare l’aggressione russa». La 3a Brigata corazzata resterà in una base presso Zagan per nove mesi, fino a quando sarà rimpiazzata da un’altra unità trasferita dagli Usa.
Attraverso tale rotazione, forze corazzate statunitensi saranno permanentemente dislocate in territorio polacco. Da qui, loro reparti saranno trasferiti, per addestramento ed esercitazioni, in altri paesi dell’Est, soprattutto Estonia, Lettonia, Lituania, Bulgaria, Romania e probabilmente anche Ucraina, ossia saranno continuamente dislocati a ridosso della Russia.
Un secondo contingente Usa sarà posizionato il prossimo aprile nella Polonia orientale, nel cosiddetto «Suwalki Gap», un tratto di terreno piatto lungo un centinaio di chilometri che, avverte la Nato, «sarebbe un varco perfetto per i carrarmati russi». Viene così riesumato l’armamentario propagandistico Usa/Nato della vecchia guerra fredda: quello dei carrarmati russi pronti a invadere l’Europa. Agitando lo spettro di una inesistente minaccia da Est, in Europa arrivano invece i carrarmati statunitensi.
La 3a Brigata corazzata si aggiunge alle forze aeree e navali già schierate dagli Usa in Europa nell’operazione «Atlantic Resolve», per «rassicurare gli alleati Nato e i partner di fronte all’aggressione russa». Operazione che Washington ha lanciato nel 2014, dopo aver volutamente provocato col putsch di Piazza Maidan un nuovo confronto con la Russia. Strategia di cui Hillary Clinton è stata principale artefice nell’amministrazione Obama, mirante a spezzare i rapporti economici e politici della Russia con l’Unione europea dannosi per gli interessi statunitensi. Nella escalation anti-Russia, la Polonia svolge un ruolo centrale.
Per questo essa riceverà tra breve dagli Usa missili da crociera a lungo raggio, con capacità penetranti anti-bunker, armabili anche di testate nucleari.
Ed è già in costruzione in Polonia una installazione terrestre del sistema missilistico Aegis degli Stati uniti, analoga a quella già entrata in funzione a Deveselu in Romania. Anch’essa dotata del sistema Mk 41 della Lockheed Martin, in grado di lanciare non solo missili anti-missile, ma anche missili da crociera armabili con testate nucleari.
A Varsavia e nelle altre capitali dell’Est – scrive il New York Times – vi è però «forte preoccupazione» circa un possibile accordo del repubblicano Trump con Mosca che «minerebbe l’intero sforzo».
Un incubo tormenta i governanti dell’Est che basano le loro fortune sull’ostilità alla Russia: quello che se ne tornino a casa i carrarmati inviati dal democratico Obama.
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2016-2017: tempo di resistenza e lotta, perché resistere è già vincere
DA: http://www.marx21.it/index.php/comunisti-oggi/nel-mondo/27554-2016-2017-tempo-di-resistenza-e-lotta-perche-resistere-e-gia-vincere
di José Reinaldo Carvalho*
da resistencia.cc
Traduzione di Marx21.it
Ringraziamo il compagno José Reinaldo Carvalho per la segnalazione dell’editoriale pubblicato in Resistência.
Viviamo in un tempo segnato da gravi minacce alla pace. Il mondo sta attraversando un periodo instabile, carico di conflitti, pericoli costanti derivanti dalle politiche di dominio dell’imperialismo sui popoli.
Nel 2016, questi pericoli sono aumentati. L’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti, un sostenitore dell’unilateralismo e del primato degli interessi statunitensi, l’ascesa di forze politiche di destra ed estrema destra in Europa, l’azione di organizzazioni terroristiche, la crescente minaccia nucleare e la militarizzazione sono alcune manifestazioni di ciò.
Più che in altri momenti, ripetiamo con il compagno Fidel Castro: “E’ necessario insistere sulla necessità di preservare la pace, e sul fatto che nessuna potenza deve arrogarsi il diritto di uccidere milioni di esseri umani”.
I conflitti che hanno segnato l’anno 2016 e il preannuncio di nuovi eventi drammatici negli anni futuri sono legati alla natura stessa dell’imperialismo, con le contraddizioni che esso genera, le abissali e indicibili disuguaglianze sociali e nazionali che provoca e l’inarrestabile crisi multidimensionale del capitalismo, un sistema incapace di proporre la soluzione ai gravi problemi che affliggono l’umanità e che mostra sempre di più la sua natura predatoria e oppressiva.
Nel 2016 è stata ancora più intensa e brutale l’offensiva che l’imperialismo statunitense e forze oligarchiche regionali e nazionali hanno sviluppato in America Latina e nei Caraibi allo scopo di rovesciare i governi progressisti e di sinistra, frenare e far retrocedere le lotte per la sovranità nazionale, l’integrazione regionale solidale, lo sviluppo con giustizia, il progresso sociale, la libertà e la democrazia. Le forze di destra nella regione, subordinate all’imperialismo statunitense, hanno guadagnato terreno arrivando al potere in Argentina (alla fine del 2015), in Brasile e rendendo più difficile il cammino della Rivoluzione Bolivariana in Venezuela.
In Brasile, si è consumato il colpo di Stato innescato da istituzioni politiche, giuridiche e mediatiche, manipolate dalle classi dominanti, subordinate alle potenze imperialiste, nemiche della democrazia, del progresso sociale e della sovranità nazionale. Classi dominanti retrive, che non accettano riforme e cambiamenti politici e sociali. Un golpe di carattere antidemocratico, antipopolare e antinazionale.
Tra contraddizioni intestine, motivate da interessi meschini e nel tentativo di camuffare propositi criminali, i partiti e le personalità protagonisti del golpe, senza eccezione, si trincerano attorno al nuovo regime che hanno creato. Sono in piena offensiva per liquidare i diritti dei lavoratori e del popolo e alienare la sovranità nazionale. Malgrado il rifiuto che ricevono dalla popolazione indignata e nonostante le riferite contraddizioni, hanno creato una specie di fronte unico golpista e avanzano nel tentativo di imporre la loro agenda.
Nel 2017 e nei prossimi anni, oltre a rinnovare la speranza, confidiamo nella capacità dei lavoratori e dei popoli di resistere e lottare. Resistenza e lotta presenti nel 2016, anche se oscurate dai media imprenditoriali. In tutto il mondo, è vasta, massiccia e diversificata nel contenuto e nelle forme la battaglia dei lavoratori per diritti sociali, piena occupazione, salari dignitosi, per la riduzione della giornata di lavoro, per servizi pubblici decenti, per l’educazione, la salute e una vita civile e colta.
Sono pure intense la resistenza e la lotta contro l’occupazione di paesi, in difesa della sovranità nazionale e dell’autodeterminazione, per la pace, contro il militarismo, le armi nucleari, il terrorismo in tutte le sue forme, compreso il terrorismo di Stato, praticato dalle potenze imperialiste.
L’anno 2016 si chiude con alcune significative vittorie dei popoli. Una di queste, indiscutibile, è stata la firma degli accordi di pace in Colombia, che è culminata negli ultimi giorni, con l’approvazione della legge di amnistia per gli insorgenti. Sempre in ambito latinoamericano, sono incoraggianti i progressi della Rivoluzione Cubana, la resistenza della Rivoluzione Bolivariana in Venezuela, le avanzate dei governi progressisti in Bolivia, Ecuador e Nicaragua.
Anche i recenti avvenimenti in Siria, come la vittoria delle forze di liberazione nazionale ad Aleppo, l’annuncio del cessate il fuoco, che ha fatto emergere la possibilità della pace nel paese arabo, e la vittoria diplomatica ottenuta all’ONU dalla lotta di liberazione del popolo palestinese contro gli aggressori sionisti riempiono le forze progressiste di speranza e di fiducia nel fatto che sia possibile resistere, lottare e vincere.
In Brasile, la lotta per il rovesciamento del regime golpista, per la difesa dei diritti e della sovranità nazionale, e la campagna per elezioni dirette anticipate per il Presidente della Repubblica vanno prendendo forma, nonostante la virulenza delle forze golpiste e l’opportunismo di settori delle classi dominanti che gettano l’esca per attirare le forze progressiste nella trappola della conciliazione e della capitolazione.
La lotta, e solamente la lotta, rappresenta la base oggettiva per costruire una vasta unità delle forze democratiche, patriottiche, progressiste e di sinistra.
Nel 2017, continueremo a impegnarci nella resistenza e nella lotta, convinti che resistere è già vincere. Desistere significherebbe morire. Come nel motto mozambicano, “la peggiore sofferenza non è essere sconfitto, è non potere lottare”.
Ci incoraggiano la riaffermazione, lo sviluppo e l’arricchimento dei principi che sono a fondamento della nostra esistenza come Partito Comunista, che ci hanno condotto fino a qui e ci condurranno avanti. Principi tanto presenti nel maggiore evento socio-politico della storia dell’umanità fino al giorno d’oggi, la Rivoluzione sovietica, il cui centenario celebriamo nel 2017.
* Giornalista, direttore di Resistência, membro della Commissione Politica e della Segreteria del Partito Comunista del Brasile (PCdoB), responsabile per la Politica e le Relazioni Internazionali
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IL SETTIMO CONGRESSO DI FATAH TRA REALTÀ E PROSPETTIVA
DA: http://www.ilpartitocomunistaitaliano.it/2016/12/19/il-settimo-congresso-di-fatah-tra-realta-e-prospettiva/
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Aleppo liberata
DA: http://www.marx21.it/index.php/internazionale/pace-e-guerra/27496-aleppo-liberata
di Pedro Guerreiro, Segreteria del Partito Comunista Portoghese | da avante.pt
Traduzione di Marx21.it
L’esito della battaglia di Aleppo, con la liberazione della parte orientale della città – precedentemente occupata dai gruppi armati che disseminano il terrore e la distruzione in Siria –, rappresenta un’importante sconfitta per gli Stati Uniti, le grandi potenze dell’Unione Europea e i loro alleati nella regione, come la Turchia, Israele e le dittature del Golfo, in particolare Arabia Saudita e Qatar.
La vittoria militare della Siria e del suo popolo è tanto più significativa se si pensa alla dimensione e all’intensità dell’abietta campagna di manipolazione e disinformazione veicolata dagli organi di informazione dominanti per nascondere e travisare.
Ancora una volta, coloro che in passato sono stati conniventi e si sono schierati sempre dalla parte della guerra, brandendo i più falsi pretesti e utilizzando le più diverse “vesti” di servizio (ONG, giornalista, commentatore, funzionario delle Nazioni Unite…), tornano ora cinicamente a presentare gli aggressori come “aggrediti”, i carnefici come “vittime”, i gruppi armati che praticano il terrore e sono responsabili dei più odiosi crimini come “ribelli”, i veri responsabili dell’autentico disastro umanitario in Siria come se fossero filantropi.
Di fronte alla possibilità di una sconfitta e tentando di andare in soccorso dei loro bestiali mercenari, si sono succedute nuovamente le iniziative da parte di Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Italia e dei loro delegati per dei “cessate il fuoco” sempre utilizzati per interrompere l’iniziativa delle forze patriottiche siriane e per dotare nuovamente di equipaggiamento i gruppi armati. C’è stato anche chi se l’è presa con la presunta “impotenza” della “comunità internazionale”, chiedendo senza vergogna l’intervento diretto armato degli Stati Uniti e della NATO ad Aleppo.
Anche se la liberazione della parte occupata di Aleppo non rappresenta la fine della guerra di aggressione imposta da quasi sei anni contro la Siria e il suo popolo, essa costituisce un importante rovescio per i piani di frammentazione del paese, che avevano nell’occupazione di Aleppo da parte di gruppi di mercenari armati uno dei principali pilastri.
Ma non solo. L’esito della battaglia di Aleppo rappresenta, in primo luogo, la vittoria della resistenza ostinata di un popolo di fronte a una barbara operazione di destabilizzazione e aggressione scatenata dall’imperialismo. Tra l’altro, sulla scia delle guerre di aggressione contro la Jugoslavia, l’Iraq, l’Afghanistan, la Libia, lo Yemen e tanti altri popoli e paesi, con il loro incommensurabile bagaglio di crimini, morte e distruzione – che alcuni, complici, cercano in ogni modo di far dimenticare.
Sappiamo che l’imperialismo non desisterà tanto facilmente dai suoi tentativi. Vediamo i “giuramenti” dell’Arabia Saudita e del Qatar sulla continuazione dell’appoggio ai gruppi di mercenari armati e sulla richiesta di deposizione del presidente siriano. Si veda l’ammissione da parte di Erdogan del reale obiettivo dell’ “entrata” delle truppe turche in Siria: la sconfitta del legittimo governo di uno Stato sovrano è in definitiva l’unico e vero scopo dell’operazione di destabilizzazione e di aggressione alla Siria, insistentemente proclamato dagli Stati Uniti e dai loro alleati nella guerra, compresi quelli della NATO, in un evidente atto di aggressione che viola le più fondamentali norme del diritto internazionale. Mentre la Siria e il suo popolo hanno lottato e lottano in difesa della sovranità e dell’integrità territoriale del loro Stato, con l’importante appoggio degli alleati, in particolare della Federazione Russa.
Rifiutando la menzogna e non cedendo alle manovre di pressione, deve continuare la solidarietà con la resistenza della Siria e del suo popolo. E’ dalla loro parte che sta il Partito Comunista Portoghese.
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Più forti nella lotta
DA: http://www.marx21.it/index.php/comunisti-oggi/in-europa/27475-piu-forti-nella-lotta
Editoriale di “Avante!”, Settimanale del Partito Comunista Portoghese (PCP)
Traduzione di Marx21.it
Realizzato in un momento di grande complessità e di urgenze della situazione politica nazionale e internazionale, il XX Congresso del PCP, che si è tenuto il 2, 3 e 4 dicembre ad Almada, è stato un evento di grande significato e importanza politica per l’affermazione e il rafforzamento del PCP come Partito della classe operaia e di tutti i lavoratori. Come ha affermato Jeronimo de Sousa nel suo discorso di chiusura, “un Partito che non risparmierà sforzi, non si sottrarrà ai propri compiti, che si propongano di difendere e conquistare diritti e migliorare le condizioni di vita dei lavoratori e del popolo, sempre con gli occhi rivolti alla linea dell’orizzonte, all’obiettivo ultimo che anima e giustifica la nostra ragione di essere e di combattere: una società libera dallo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo”.
I tre giorni del Congresso sono inscindibili dalla sua lunga fase preparatoria con la realizzazione di migliaia di riunioni con più di ventimila partecipanti, con i militanti che sono intervenuti nella discussione delle Tesi/Progetto di Risoluzione Politica, nell’elaborazione di quasi duemila proposte di emendamento/cambiamento, nella loro grande maggioranza approvate, nell’elezione dei delegati, nella mobilitazione degli invitati, e nella realizzazione di diverse iniziative decisive per il successo del Congresso.
Le deliberazioni assunte, quasi tutte all’unanimità, in particolare l’approvazione del Progetto di Risoluzione Politica e di tre mozioni, l’elezione del Comitato Centrale e dei suoi organi esecutivi, l’elezione del Segretario Generale e della Commissione Centrale di Controllo, sono l’espressione dell’esercizio della profonda democrazia interna che caratterizza il funzionamento del PCP.
Nei loro numerosi interventi, i delegati provenienti da tutte le regioni del Paese – operai, lavoratori, agricoltori e piccoli imprenditori, intellettuali, giovani, donne, pensionati, persone disabili, specialisti, uomini e donne dei saperi – hanno parlato dei problemi reali della vita nella loro regione e nel loro settore di attività; della realtà nelle imprese e nei luoghi di lavoro; della politica economica, di sanità, istruzione, sicurezza sociale, acqua pubblica, del valore del lavoro, della cultura, della produzione nazionale, della sovranità nazionale; della vita di partito e della necessità del rafforzamento politico, sociale ed elettorale del PCP per la costruzione della politica alternativa. Hanno parlato del valore strategico della lotta e del suo sviluppo per rompere con blocchi e vincoli e avviare la costruzione dell’alternativa patriottica e di sinistra.
Va rilevata anche la presenza al Congresso di sessantadue delegazioni straniere a cui i delegati hanno manifestato calorosi sentimenti di appoggio e solidarietà internazionalista, in particolare alle delegazioni dei paesi aggrediti e minacciati dall’imperialismo, Cuba, Siria, Palestina e Ucraina.
Gli organi della comunicazione sociale dominante, non riuscendo ad ignorare il Congresso per la sua straordinaria dimensione, si sono sforzati ad inventare contraddizioni e divergenze insanabili. Di fronte al clima di unità, determinazione e fiducia che hanno trovato, hanno utilizzato altri modi per attaccare, cercando di far passare l’idea di un PCP senza orizzonti né prospettive di lotta. Ma non sono riusciti a cancellare l’essenza del Congresso che è diverso dagli altri perché è il Congresso di un Partito anch’esso differente dagli altri per la sua identità e natura di classe, per la sua indipendenza dal grande capitale, per la sua ideologia, per i suoi principi di funzionamento profondamente democratico, per il progetto e l’ideale per cui lotta.
Il PCP è uscito da questo Congresso più preparato alle nuove sfide e battaglie che ha di fronte, più forte per intervenire nella lotta che già da ora è necessario continuare per l’aumento dei salari e del salario minimo nazionale a 600 euro nel gennaio 2017, per i diritti dei lavoratori, per lo sviluppo dell’azione rivendicativa, per la modifica degli aspetti più gravosi della legislazione del lavoro, per la lotta contro la precarietà, per la difesa e la valorizzazione delle funzioni sociali dello Stato, per la rinegoziazione del debito pubblico, per la liberazione dalla sottomissione all’euro, per la produzione, l’occupazione e la sovranità nazionale.
Il PCP esce da questo Congresso più cosciente della necessita di continuare gli sforzi per il suo rafforzamento, della necessità di continuare a stimolare la lotta dei lavoratori e del popolo, di proseguire la costruzione della convergenza con democratici e patrioti. E, nel quadro delle prossime battaglie, affermando l’importanza delle elezioni locali del 2017 con nuovi passi in avanti nella valorizzazione e nel rafforzamento elettorale della CDU (Coalizione Democratica Unitaria, guidata dal PCP, ndt).
Il Congresso, di fatto, ha reso evidente che il PCP non risparmierà alcuno sforzo volto a difendere e a conquistare diritti e a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori e del popolo. Ma come è scritto nella Risoluzione Politica approvata, “la realtà dimostra che non esiste strada alternativa a quella della rottura con la politica di destra degli ultimi quattro decenni e la costruzione della politica patriottica e di sinistra”.
“E’ questo processo di lotta e di costruzione che i comunisti portoghesi saranno chiamati a portare avanti nel prossimo futuro. Sulla base del costante impegno nei confronti dei lavoratori e del popolo, affermando la propria identità comunista, onorando la propria dimensione e percorso di partito patriottico e internazionalista, il PCP non risparmierà gli sforzi per garantire un Portogallo democratico, sviluppato e sovrano e continuerà con fermezza ad impegnarsi per l’affermazione del suo programma e progetto, nella lotta per una democrazia avanzata, con i valori di Aprile nel futuro del Portogallo, avendo come orizzonte il socialismo e il comunismo”.
Rafforzato dal suo XX Congresso, il Partito Comunista Portoghese si trova ora nelle migliori condizioni per proseguire su questa strada.
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All’ONU gli Stati Uniti respingono un documento di condanna del nazi-fascismo
DA: http://www.marx21.it/index.php/internazionale/antifascismo/27448-allonu-gli-stati-uniti-respingono-un-documento-di-condanna-del-nazi-fascismo
Traduzione di Marx21.it
Il 13 novembre, nel silenzio dell’apparato mediatico dominante occidentale, la terza commissione dell’ONU, competente in materia di diritti umani, ha approvato, nonostante l’opposizione degli Stati Uniti, un documento presentato dalla Federazione Russa, in cui si esprime il fermo rifiuto di ogni forma di esaltazione del nazismo e del razzismo, in qualsiasi forma si manifestino. Sull’importante decisione, che sarà sottoposta all’approvazione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, “Avante!”, settimanale del Partito Comunista Portoghese ha pubblicato un suo commento, che proponiamo ai nostri lettori.
La risoluzione che Mosca ha presentato ripetutamente alla terza commissione dell’ONU a partire dal 2006, e che quest’anno è stata sottoscritta da altri 55 paesi in qualità di co-autori, sarà votata entro la fine dell’anno nell’Assemblea Generale dell’organizzazione. Nella votazione svoltasi il 13 novembre, 131 paesi si sono espressi a favore e altri 48, la stragrande maggioranza dei quali europei, si sono astenuti.
USA, Ucraina e [isole] Palau hanno respinto il documento intitolato “Combattere la glorificazione del nazismo, del neonazismo e delle altre pratiche che contribuiscono ad alimentare forme contemporanee di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e l’intolleranza che ne è associata”.
La rappresentanza statunitense ha giustificato le proprie obiezioni con la presunta “natura politica della risoluzione” e con il fatto che essa presumibilmente esige l’imposizione di “limiti inaccettabili alla fondamentale libertà di espressione”. Con l’argomento che gli Stati Uniti “condannano senza riserve tutte le forme di intolleranza etnica e religiosa, la diplomatica Stefanie Amadeo ha ritenuto anche che la risoluzione sia contraria “ai principi contenuti nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo” per quanto riguarda non solo la libertà di espressione ma anche la libertà di associazione e di riunione pacifica.
In sintesi, Washington e Kiev sostengono che coloro che hanno come obiettivo decretare una cultura ufficiale e collettiva di intolleranza e odio, discriminazione e persino di pratiche criminali di liquidazione degli esseri umani in base a pretese differenze fisiche e di origine sociale e nazionale – affrontando e minacciando così il concetto comunemente accettato di libertà –, devono essere liberi di promuoverlo e praticarlo in nome …della propria libertà.
La Russia, primo promotore della risoluzione, ha definito distruttiva la posizione statunitense e ucraina, ma ha sottolineato che il comportamento dei due paesi non rappresenta una sorpresa: “Kiev ha trasformato il nazionalismo radicale in ideologia di Stato, glorificando i partecipanti ad operazioni punitive responsabili della morte di decine di migliaia di cittadini ucraini, polacchi, russi e di altri paesi durante la Seconda Guerra Mondiale”, e gli Stati Uniti “insistono nell’appoggiare il regime criminale di Kiev e le sue false accuse contro la Russia”, ha sottolineato Mosca.
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“La lotta per la pace e la solidarietà internazionalista”
Mozione approvata all’unanimità dai delegati del XX Congresso del Partito Comunista Portoghese
da pcp.pt
L’offensiva dell’imperialismo ha diffuso la guerra e ha aggravato lo sfruttamento e la povertà nel mondo.
Dai Balcani all’Afghanistan, dalla Libia alla Siria, dall’Ucraina allo Yemen, le guerre di aggressione degli Stati Uniti e dei loro alleati – e delle bande criminali al loro servizio – seminano la morte e la distruzione. Paesi e regioni – come nel caso del martirizzato Medio Oriente – sono devastati, i loro Stati distrutti e frammentati, i loro popoli massacrati. I rifugiati dalle guerre, dalla devastazione e dal saccheggio dell’imperialismo si contano con numeri che hanno un parallelo solo nella Seconda Guerra Mondiale.
La spinta bellicista e interventista dell’imperialismo è accompagnata da un brutale attacco sui piani economico, sociale e nazionale, che distrugge diritti e conquiste, aumenta i livelli di sfruttamento, danneggia la sovranità di popoli e paesi, sottomettendo tutto alla legge del profitto, agli interessi del capitale finanziario e delle multinazionali.
La guerra e il saccheggio sono inseparabili dal capitalismo, specialmente nella sua fase imperialista. Cento anni fa, le rivalità tra potenze imperialiste in competizione per la loro espansione planetaria hanno condotto alla Prima Grande Guerra. Il movimento comunista è emerso nella lotta intransigente contro la guerra imperialista e contro il sistema che la generava. La grande Rivoluzione Socialista di Ottobre, il cui centenario celebreremo nel 2017, trionfò sotto la parola d’ordine “Per la Pace, il Pane e la Terra”.
Nel corso di sette decenni, l’Unione Sovietica è stata coerente nella sua politica di pace e disarmo, senza mancare di essere allo stesso tempo solidale con le lotte dei lavoratori e dei popoli per la loro emancipazione sociale e nazionale. Sono stati l’URSS e il popolo sovietico, con il concorso attivo dei comunisti e degli antifascisti di tutto il mondo, a svolgere un ruolo fondamentale nella sconfitta del nazi-fascismo – questo strumento crudele di guerra e di imposizione del dominio terrorista dei monopoli che, dopo la grande crisi mondiale del sistema capitalista degli anni trenta del secolo scorso, sembrava inarrestabile nel suo proposito di dominazione globale, con l’appoggio delle classi dominanti di diversi paesi.
La Vittoria sul nazi-fascismo ha aperto una nuova fase per l’umanità, una fase di progressi sociali e di liberazione nazionale, in cui è stato possibile preservare la pace mondiale, nonostante le permanenti minacce e guerre locali scatenate dall’imperialismo.
La scomparsa dell’URSS e le sconfitte del socialismo in Europa orientale hanno mutato profondamente il rapporto di forze mondiale. Libero da vincoli, il sistema capitalista è tornato a rivelare in pieno la sua natura sfruttatrice, oppressiva, aggressiva e predatoria. Gli USA e le potenze dell’Unione Europea, con il loro braccio armato, la NATO, hanno sostituito la Carta delle Nazioni Unite con la legge della forza e della guerra. Ma la loro offensiva affronta la resistenza dei popoli.
I comunisti portoghesi, fedeli alla loro storia e ai loro principi, esprimono la loro solidarietà ai lavoratori e ai popoli del mondo che lottano in difesa dei propri diritti, della propria sovranità, per la pace, per la giustizia e il progresso sociale, per il socialismo. Non confondendo gli aggressori con gli aggrediti, né i carnefici con le loro vittime, il PCP si impegna per la convergenza delle forze patriottiche, progressiste, rivoluzionarie, in un ampio fronte antimperialista. Il PCP è solidale con l’eroico popolo siriano e tutti i popoli che resistono all’ingerenza e all’aggressione dell’imperialismo; con il popolo martire della Palestina; con il popolo saharawi; con la Rivoluzione Cubana e i popoli dell’America Latina che affrontano la controffensiva golpista; con i lavoratori e i popoli in lotta in Europa e in tutto il mondo; con coloro che lottano per la pace e per la fine della NATO. A tutti dichiariamo che possono continuare a contare sulla solidarietà del Partito Comunista Portoghese.
Viva la pace e la solidarietà internazionalista!
La lotta continua!
2 dicembre 2016
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Gli avvoltoi sulla bara di Fidel
di Gianni Fresu per Marx21.it
C’era da aspettarselo, la morte di Fidel Castro, l’uomo che ha osato sfidare, e persino sconfiggere, gli USA nel loro cortile di casa, ha scatenato la canea e lo spirito di rivalsa di quanti non gli hanno saputo tenere testa in vita. Così assistiamo a strumentali letture all’ingrosso, anatemi e condanne scomposte perché di questo uomo non rimanga nemmeno un ricordo vagamente positivo. Poi ci sono quelli che, “da sinistra”, inevitabilmente colgono la palla al balzo per mostrare le incongruenze della rivoluzione cubana, parlando di tradimento e occasione mancata. Queste critiche vengono sia dalla sinistra più pura e radicale, sia da quella “moderna” e antiautoritaria, tuttavia, entrambe si servono quasi sempre delle stesse argomentazioni più classiche adoperate dei reazionari al cubo. Così, non me ne vogliano i primi e i secondi, ma uso lo stesso metro di ragionamento per tutti questi detrattori, nel tentativo di spiegare la mia posizione.
Anzitutto, ai tanti che non hanno perso occasione per parlare dei “diritti umani violati” e denunciare la povertà di Cuba, suggerirei di confrontare il suo standard di vita non con l’opulento Occidente, ma con le altre isole caraibiche a poche miglia nautiche di distanza.
Basta guardare lo stato di indigenza senza fondo di una realtà vicinissima, e teoricamente con le stesse risorse naturali, come Haiti (che nemmeno ha subito per più di cinquanta anni un durissimo embargo economico) per farsi un’idea minima della strumentalità di queste argomentazioni. Come ha giustamente sottolineato Raul Castro, rispondendo a muso duro alle idiozie di Obama, la prima grave violazione dei diritti umani consiste nel privare un popolo dell’assistenza sanitaria e delle condizioni essenziali di vita. Quando la regola è la miseria assoluta e la totale assenza di diritti sociali, l’esercizio delle cosiddette libertà individuali, sebbene solennemente proclamate, è una pura utopia che diventa realtà solo per una parte della società. Senza uguaglianza sostanziale l’uguaglianza formale resta purtroppo un ipocrita esercizio di scuola. Basta vedere la composizione sociale delle carceri negli USA per capirlo.
Sul piano della coerenza tra teoria e prassi, è bene ricordare che ogni rivoluzione, scontrandosi con la realtà concreta (con le azioni e reazioni previste o impreviste), finisce per creare un quadro nuovo sempre differente da quanto era stato precedentemente teorizzato e idealizzato. È inevitabile, così è stato per la rivoluzione francese (ciò nonostante continuiamo a considerala un fondamentale atto di liberazione universale), così è per tutte le rivoluzioni liberali che, al di là dei principi, hanno finito per istituzionalizzare forme dipovertà sconfinata, esclusione e marginalizzazione sociale aberranti e inumane, non certo messe in conto dai vari Constant, Locke, Smith e Bentham. Esiste però una profonda differenza, sulla quale Domenico Losurdo più volte ha sollecitato attenzione, nei ragionamenti in merito: quando si dibatte dei teorici e dei protagonisti delle rivoluzioni socialiste inevitabilmente ci si concentra solo sulle contraddizioni dei processi reali da loro generati, mai sugli aspetti progressivi; quando facciamo riferimento invece ai teorici del pensiero liberale (“i classici”) parliamo dei valori universali di fratellanza e libertà individuale da loro teorizzati, mai della miseria, delle guerre di rapina e del dominio coloniale o della rigida divisione in classi, caratteristiche delle società liberali reali. Nel primo caso ci si sofferma solo sui limiti dei processi storici reali, nel secondo sulle petizioni di principio e le spinte ideali dei suoi pensatori. Già in questa inversione nei termini del ragionamento si nasconde una chiara vittoria egemonica del pensiero liberale sulla quale non si riflette mai abbastanza. In tal senso, credo, si spiega un giudizio storico generalizzato e consolidato: Kennedy è considerato il profeta della “nuova frontiera”, non il protagonista della guerra in Vietnam, dello sbarco alla baia dei porci e dell’assenso-consenso a tutte le operazioni più spericolate e antidemocratiche della CIA; Castro è invece presentato come un oppressore, non come colui che ha lottato tutta la vita per la affermazione dei diritti sociali e l’autonomia del suo popolo dal dominio imperialista americano. Fino a quando non ci libereremo delle visioni ideologiche avversarie, facendoci veicolo inconsapevole di categorie e rappresentazioni funzionali a altre visioni del mondo, il destino della sinistra è di rimanere nel terreno melmoso della subalternità e inutilità storico-sociale di oggi.
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Dal PCI all’Ambasciata di Cuba a Roma per il Compagno Fidel
La Segreteria Nazionale
È con immenso dolore che il PCI viene a conoscenza della morte del compagno Fidel Castro. Esprimendo il proprio, profondo cordoglio all’Ambasciata di Cuba in Italia, al governo, al popolo e al partito comunista cubano, il PCI ricorda di Fidel il grande spirito rivoluzionario e ideale che ha segnato di se non solo il popolo cubano ma i popoli e le classi oppresse di tutta l’America Latina e di tutto il mondo. La lotta antimperialista condotta da Fidel per tutta la vita, la sua strenua battaglia per il socialismo e per la liberazione umana rimarranno per sempre nel cuore e nella coscienza dei popoli. E segneranno ogni rivoluzione futura. Adios, compagno Fidel! Sempre sarai con noi! Il partito comunista italiano.
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La riflessione del leader comunista russo sul significato della vittoria di Donald Trump
di Ghennady Zyuganov, presidente del Partito Comunista della Federazione Russa | da kprf.ru
Traduzione dal russo di Mauro Gemma
L’analisi del leader della principale forza di opposizione della Federazione Russa in merito ai possibili sviluppi della situazione nel suo paese e nel mondo, dopo l’elezione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti.
Nelle elezioni presidenziali USA dell’8 novembre 2016 la vittoria è stata di Donald Trump, candidato del Partito Repubblicano, che ha sopravanzato in modo significativo la rappresentante del Partito Democratico Hillary Clinton.
La vittoria di D. Trump conferma la crescente instabilità del capitalismo globale. La crisi dei mutui, che ha avuto inizio negli Stati Uniti nel 2007, ha portato a una pesante perturbazione nel sistema finanziario-economico globale, che ha colpito quasi 200 paesi in tutto il mondo. Alla ricerca di una via di uscita Washington ha avviato una nuova serie di pericolose avventure politico-militari. Ciò ha portato al rovesciamento del governo legittimo della Libia e all’assassinio brutale di Muammar Gheddafi. In seguito ha intrapreso la selvaggia distruzione della un tempo pacifica e prospera Siria. Il culmine dei crimini dell’imperialismo americano è stato lo scatenamento della guerra civile in Ucraina, con gli USA schierati dalla parte delle forze nazi-banderiste.
Tutte queste avventure hanno avuto un effetto destabilizzante in Europa e in America, portando ad un aggravamento delle relazioni del mondo occidentale con la Russia, alla divisione delle élite degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. La popolazione dell’Olanda in un referendum si è pronunciata contro l’ammissione dell’Ucraina nell’UE, rifiutando di seguire la linea del globalismo. La Gran Bretagna si è pronunciata per l’uscita dall’UE, non volendo piegarsi ai diktat della Commissione Europea.
Parrebbe che il successo di Trump assuma il significato della sconfitta dell’idea di globalizzazione. Il programma economico del nuovo presidente USA riflette una tendenza globale al ritorno alla produzione, di tutta la catena dei paesi con manodopera a basso costo e risorse sul territorio nazionale, allo scopo di creare nuovi posti di lavoro. E’ la vittoria del capitale produttivo nazionale su quello finanziario-speculativo internazionale.
Tuttavia il successo di Trump non scuote le fondamenta, ma produce solo un cambiamento nell’equilibrio delle forze all’interno del capitalismo mondiale. Per questa ragione, noi comunisti non nutriamo alcuna illusione sul nuovo presidente degli Stati Uniti. Trump è comunque parte integrante dell’oligarchia americana e mondiale. La differenza sta nel fatto che egli è il rappresentante di una sola parte del grande capitale, che comprende come il precedente modello di mondo unipolare, che ha portato alla stagnazione dell’economia e all’inasprimento della situazione internazionale, non funzioni.
Sullo sfondo dello stato dell’economia della Russia, l’America si presenta come un’oasi di benessere. Ma questo è un quadro illusorio. Alle sue spalle si nasconde un debito astronomico di quasi 20 trilioni di dollari. A quanto pare, Trump – pensando fuori dagli schemi e andando controcorrente – cerca di tirare fuori l’America dalla palude del debito e delle avventure, in cui essa, lentamente ma inesorabilmente, sta affondando. Non è un caso che Trump abbia dichiarato di volere avviare il corso della reindustrializzazione degli USA e del rilancio della produzione agricola.
Il gruppo dirigente americano ha avuto il buon senso di non falsificare le elezioni. Ma tutte le principali stazioni televisive e i giornali hanno operato contro Trump. La coscienza degli elettori è stata sottoposta a un’intensa pressione da parte dei media globalisti, in particolare con l’ausilio di innumerevoli “sondaggi”, che predicevano la vittoria di Clinton. Va detto che i vertici dell’America non sono comunque arrivati ai livelli di manipolazione e di uso palese delle risorse amministrative, registrati da noi nelle recenti elezioni.
Ciò testimonia del fatto che il sistema politico degli Stati Uniti è in grado di attuare cambiamenti negli interessi, si capisce, della salvaguardia del dominio del capitale monopolistico. Questa è la sua differenza essenziale rispetto al gruppo dominante russo, che intende mantenere le sue posizioni con tutti i mezzi, ignorando chiaramente la necessità urgente della società di un cambiamento radicale della politica e dell’aggiornamento della composizione del governo.
Alcune dichiarazioni di Trump riguardanti la Russia e la situazione nel mondo hanno un carattere positivo. Ma non dobbiamo ingannare noi stessi, perché Trump è attestato su posizioni di solida difesa degli interessi della propria classe e degli interessi dell’America.
Nel frattempo, per qualche ragione, nella società russa si è diffusa l’impressione che Trump, chiedendo il ripristino di buone relazioni con la Russia, sia più vicino a noi rispetto alla agguerrita signora Clinton. C’è da osservare che il risultato della politica del “ripristino di legami amichevoli con la Russia” potrebbe rappresentare il ritorno a quella politica dello “strangolamento con modi amichevoli”, che ha portato alla distruzione della nostra industria, della scienza, del sistema dell’istruzione. Proprio con il pretesto della mancanza di una minaccia esterna è stato distrutto il grande esercito sovietico.
Le intenzioni positive di Trump potrebbero essere corrette da parte di coloro che controllano realmente la politica estera degli Stati Uniti: i neo-conservatori, intenzionati a preservare e rafforzare il dominio dell’America sul mondo. Trump sarà rapidamente chiamato a chiarire che una cosa sono le aperture elettorali a Putin, un’altra i veri interessi degli USA, che hanno bisogno dell’immagine del nemico, allo scopo di mantenere le gigantesche spese militari e i profitti dei produttori di armi.
In ogni caso, il nuovo vicepresidente degli USA Mike Pence si è espresso nei confronti della Russia in un modo non meno aggressivo della signora Clinton, e lo stesso Trump ha dichiarato con forza la necessità di mantenere alto il livello delle spese militari.
Il modo più sicuro per ottenere il ripristino di normali relazioni con gli Stati Uniti non è fare affidamento sul “buon zio Donald”, ma rafforzare la potenza economica, intellettuale e militare della Russia, unire la società sugli ideali della giustizia sociale e dell’amicizia tra i popoli.
Non abbiamo bisogno di copiare il modello liberale fallimentare del capitalismo, come suggerisce la cricca Kudrin-Chubais (tra i principali esponenti dell’opposizione neoliberista e filo-occidentale a Putin. Chubais, in particolare, è considerato uno degli artefici delle devastanti politiche economiche dell’era Eltsin, ndt), ma una vigorosa politica di industrializzazione, di rinascita della scienza e dell’istruzione.
Solo una grande Russia sarà in grado di parlare con l’America su un piano di parità!
Il presidente del CC del PCFR
G.A. Zyuganov
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Il Socialismo, esigenza di oggi e del futuro
Risoluzione del Comitato Centrale del Partito Comunista Portoghese (PCP) in preparazione delle celebrazioni per il centenario della Rivoluzione di Ottobre | da pcp.pt
Traduzione di Marx21.it
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Nel 2017, si celebreranno i 100 anni dalla Rivoluzione Socialista dell’Ottobre 1917.
Nel processo storico di emancipazione degli sfruttati, degli oppressi, dei lavoratori e dei popoli, dalla società primitiva allo schiavismo, al feudalesimo, al capitalismo, segnati da importanti eventi rivoluzionari, la Rivoluzione di Ottobre è l’evento più grande.
Dopo i millenni di società in cui i sistemi socio-economici si erano basati sullo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, la Rivoluzione di Ottobre ha avviato una nuova epoca nella storia dell’umanità, l’epoca del passaggio dal capitalismo al socialismo, essendo la prima rivoluzione che, realizzando profonde trasformazioni democratiche nei settori politico, economico, sociale e culturale, assicurando la giustizia e il progresso sociale e rispondendo alle aspirazioni dei lavoratori e dei popoli, ha intrapreso la costruzione di una società senza sfruttati né sfruttatori.
Nel tempo in cui viviamo, a seguito degli sviluppi del XX secolo, 100 anni dopo la Rivoluzione d’Ottobre, quando il sistema capitalista, con la sua natura sfruttatrice, oppressiva, aggressiva e predatoria, con le tragiche conseguenze che comporta, e mentre è attraversato dall’aggravamento della sua crisi strutturale, si rende ancora più evidente che il capitalismo è responsabile dei crescenti problemi e pericoli che l’umanità affronta. La realtà del mondo di oggi dimostra l’importanza e la portata degli obiettivi della Rivoluzione di Ottobre e afferma il socialismo come esigenza del presente e del futuro.
2
Celebrare il centenario della Rivoluzione di Ottobre è affermare che rappresenta il risultato più avanzato nel processo millenario di liberazione dell’umanità da tutte le forme di sfruttamento e oppressione.
Commemorare questo centenario significa denunciare la natura del capitalismo con le drammatiche piaghe sociali e le minacce che racchiude per la vita dei popoli e per la sopravvivenza dell’umanità stessa, significa sottolineare l’attualità e la validità del socialismo, significa riaffermare la necessità e la possibilità del superamento rivoluzionario del capitalismo con il socialismo e il comunismo.
Celebrare questo centenario significa valorizzare il ruolo della classe operaia, dei lavoratori e dei popoli nella trasformazione della società, significa mettere in evidenza la forza che deriva dalla loro unità, organizzazione e lotta. Significa riaffermare che è nelle loro mani il successo della resistenza all’attuale offensiva del grande capitale, dell’imperialismo, e della conquista della loro emancipazione sociale e nazionale.
Celebrare la Rivoluzione di Ottobre significa rendere omaggio ai suoi artefici e affermare le grandi conquiste e realizzazioni politiche, economiche, sociali, culturali, scientifiche, tecnologiche e civili del socialismo nell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) e il loro immenso contributo all’avanzata della lotta di emancipazione dei lavoratori e dei popoli.
Celebrare questo centenario significa utilizzare gli insegnamenti dei processi, fino allora sconosciuti, della costruzione del socialismo in Unione Sovietica e in altri paesi, dei successi e delle sconfitte, delle ritirate e delle avanzate, di tutta la lunga lotta che li aveva preceduti come importanti esperienze che arricchiscono e animano la lotta che continua per il socialismo e il comunismo.
Celebrare la Rivoluzione di Ottobre significa, basandoci sul marxismo-leninismo, prendere l’iniziativa e combattere l’offensiva ideologica contro il socialismo e il comunismo, che evidenzia le radici e il ruolo dell’anticomunismo e dell’antisovietismo come strumenti del capitale nella lotta di classe.
La Rivoluzione di Ottobre e la successiva esperienza storica della costruzione del socialismo non devono essere celebrate come eventi meramente datati, fissati nella storia, ma piuttosto come fonte di importanti insegnamenti, ed esempio di trasformazioni e conquiste che si riflettono e aggiornano nella pratica rivoluzionaria del presente e si proiettano nel futuro.
Celebrare la Rivoluzione di Ottobre significa affermare che il futuro non appartiene al capitalismo, appartiene al socialismo e al comunismo
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Il 7 Novembre 1917 (25 Ottobre, nel vecchio calendario russo), il proletariato russo, con il ruolo di avanguardia del Partito Bolscevico, guidato da una teoria rivoluzionaria, con l’eccezionale contributo di Lenin, prese nelle mani il proprio destino, salendo al potere e lanciando, in una rivoluzione vittoriosa, le basi di una nuova società, in un paese lacerato dalla guerra imperialista (Prima Guerra Mondiale), con un popolo flagellato dallo sfruttamento, dalla repressione, dalla fame e dall’analfabetismo.
Una Rivoluzione che abbracciava le aspirazioni della lotta millenaria degli sfruttati e degli oppressi, dalle rivolte degli schiavi nell’antichità, alle rivolte contadine del Medio Evo, alla Rivoluzione Francese del 1789 – che ha sancito la sconfitta del feudalesimo e l’avvento del capitalismo – alle insurrezioni operaie del secolo XIX.
La Rivoluzione di Ottobre ha avuto come precedenti storici, da cui ha tratto importanti insegnamenti, la Comune di Parigi del 1871 – prima esperienza storica, anche se di breve durata, di conquista ed esercizio del potere da parte del proletariato, con evidente superiorità anche sul piano della democrazia politica –, la Rivoluzione Russa del 1905 – la prima grande rivoluzione popolare con il ruolo organizzato della classe operaia e dei lavoratori – e la Rivoluzione di Febbraio del 1917, che ha segnato la fine del potere zarista, con una classe operaia ormai sperimentata e un partito preparato sul piano organizzativo e ideologico ad assumere la direzione della lotta delle masse lavoratrici e popolari per la conquista del potere.
La Rivoluzione di Ottobre ha intrapreso il compito di porre fine a tutte le forme di sfruttamento e oppressione sociale, adottando significativamente tra le sue prime misure i decreti sulla pace e sull’abolizione della proprietà latifondiaria della terra.
La Rivoluzione di Ottobre è stata un’esaltante conquista rivoluzionaria che, resistendo e superando complesse vicende e difficoltà – boicottaggi, sabotaggi, intervento di potenze straniere, guerra civile, blocco economico, tradimento –, e percorrendo un percorso irregolare e accidentato, ha trasformato in realtà le aspirazioni e i sogni dei lavoratori, degli sfruttati, degli oppressi, dei discriminati, aprendo il cammino della costruzione di una società mai prima conosciuta dall’umanità.
La Rivoluzione Socialista ha trasformato la vecchia e arretrata Russia degli zar in un paese altamente sviluppato, capace di contenere, come ha contenuto per decenni, l’obiettivo del dominio mondiale dell’imperialismo.
L’URSS, in un breve periodo di tempo storico, ha raggiunto un significativo sviluppo industriale e agricolo, ha sradicato l’analfabetismo e ha diffuso la scolarizzazione e lo sport, ha eliminato la disoccupazione, ha assicurato la sanità pubblica e la protezione sociale, ha garantito e promosso i diritti delle donne, dei bambini, dei giovani e degli anziani, ha esteso l’impatto dei movimenti di avanguardia artistica e le forme della creazione e fruizione della cultura, ha conquistato un elevato livello scientifico e tecnico, ha messo in pratica forme di partecipazione democratica dei lavoratori e delle masse popolari, ha avviato la soluzione della complessa questione delle nazionalità oppresse, ha diffuso i valori dell’amicizia, della solidarietà, della pace e cooperazione tra i popoli.
E’ stata l’Unione Sovietica il primo paese del mondo a mettere in pratica e a sviluppare diritti sociali fondamentali, come il diritto al lavoro, alle 8 ore lavorative giornaliere, alle ferie pagate, all’uguaglianza dei diritti di uomini e donne nella famiglia, nella vita e nel lavoro, i diritti e la protezione della maternità, il diritto alla casa, l’assistenza medica gratuita, il sistema di sicurezza sociale universale e gratuito e l’istruzione gratuita. L’Unione Sovietica ha raggiunto risultati pionieristici per l’umanità, come il lancio del primo satellite artificiale nello spazio – lo Sputnik – e la presenza del primo uomo nello spazio – il cosmonauta Yuri Gagarin.
L’Unione Sovietica, il popolo sovietico sotto la direzione del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, hanno realizzato successi e conquiste di grande rilievo internazionale, che hanno stimolato la lotta dei lavoratori e dei popoli di tutto il mondo.
Sotto l’impatto della vittoria della Rivoluzione di Ottobre sono stati costituiti numerosi partiti comunisti in tutto il mondo, è stato creato il movimento comunista internazionale e rafforzato il movimento operaio e le sue lotte, le idee del marxismo leninismo si sono diffuse tra le masse – come è avvenuto in Portogallo, dove il 6 marzo 1921 fu fondato il Partito Comunista Portoghese.
L’URSS, il popolo sovietico, l’Esercito Rosso, hanno dato un contributo determinante alla vittoria sul nazi-fascismo nella Seconda Guerra Mondiale, in un’eroica lotta che è costata più di venti milioni di vite.
Dopo la vittoria sul nazi-fascismo, con il suo esempio ed enorme prestigio, con la forza delle idee del socialismo, con la solidarietà e l’intervento nella politica internazionale, l’URSS ha offerto un grande appoggio ai popoli che avevano scelto di lottare per la costruzione di società socialiste, alla lotta e alla conquista da parte di milioni di lavoratori di diritti e libertà in paesi capitalisti e alla dinamica e alla lotta del movimento di liberazione nazionale, al crollo del colonialismo e alla conquista dell’indipendenza di numerosi popoli e nazioni da secoli sottomessi al giogo coloniale.
L’Unione Sovietica è stata solidale con i comunisti e il popolo portoghese nella sua lotta contro la dittatura fascista in Portogallo e con la Rivoluzione di Aprile – realizzazione del popolo portoghese, affermazione di libertà, di emancipazione sociale e di indipendenza nazionale.
L’URSS e il sistema socialista sono stati molte volte fattore determinante nelle conquiste e avanzate realizzate per la prima volta dai lavoratori e i popoli nella loro lotta di emancipazione a livello mondiale.
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La scomparsa dell’URSS e le sconfitte del socialismo in Europa Orientale, le cui cause sono state analizzate nei XIII, XIV e XVIII Congressi del PCP, hanno avuto un innegabile e profondo impatto negativo nel rapporto di forze mondiale, nella coscienza delle masse e nello sviluppo della lotta per il socialismo. Si è verificato un enorme passo indietro nelle condizioni politiche, economiche, sociali e culturali dei popoli di questi paesi e degli altri popoli del mondo.
Gli sviluppi mondiali in conseguenza delle sconfitte del socialismo hanno ancor più messo in evidenza l’importanza delle storiche realizzazioni del socialismo e dei progressi civili che ad esso sono associati, e la superiorità del nuovo sistema sociale nella risoluzione dei problemi e nella realizzazione delle aspirazioni dei popoli.
La natura del capitalismo non è cambiata, il che pone l’esigenza del suo superamento rivoluzionario. Il XX secolo non è stato quello della “morte del comunismo”, ma il secolo in cui il comunismo si è manifestato come una forma nuova e superiore di società.
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L’attuale situazione mondiale evidenzia la natura sfruttatrice, oppressiva, aggressiva e predatoria del capitalismo.
Immerso nella sua crisi strutturale, il capitalismo non ha più nulla da offrire ai popoli se non un’ancora maggiore accumulazione, centralizzazione e concentrazione della ricchezza, l’aggravamento dello sfruttamento, l’aumento delle ingiustizie e disuguaglianze sociali, l’attacco ai diritti sociali e del lavoro, la negazione di libertà e diritti democratici, l’usurpazione e la distruzione di risorse, l’ingerenza e l’aggressione alla sovranità nazionale, il militarismo e la guerra, che nella sua fase imperialista coinvolge tutti i continenti.
Milioni di lavoratori sono gettati nella disoccupazione, nella precarietà, nel più violento sfruttamento. A milioni di esseri umani sono negati i loro diritti fondamentali, poiché sono abbandonati alla povertà, alla fame, alla malnutrizione e soggetti al lavoro infantile, al lavoro in condizioni di schiavitù, a ogni tipo di traffici. Milioni di esseri umani sono vittime delle aggressioni imperialiste e fuggono dalla guerra e dalla distruzione. Popoli interi sono condannati al sottosviluppo, alla dipendenza, all’oppressione nazionale.
Il capitalismo, per sua natura, è incapace di superare le proprie insanabili contraddizioni – in particolare tra capitale e lavoro, tra il carattere sociale della produzione e la sua appropriazione privata –, essendo proiettato nell’inesorabile concentrazione di capitale e nel disordine produttivo. Avido di appropriazione e accumulazione di capitale, il capitalismo non solo non offre risposta ai problemi dell’umanità, ma, attraverso l’appropriazione capitalista e la strumentalizzazione delle immense possibilità aperte dal lavoro, dal progresso e dallo sviluppo scientifico e tecnologico, approfondisce le disuguaglianze, le contraddizioni e le ingiustizie sociali. Il capitalismo è un sistema che è permanentemente in contrasto con i bisogni, gli interessi, le aspirazioni dei lavoratori e dei popoli.
Quindi, più che mai, il socialismo si presenta sempre più attuale e necessario nel processo di emancipazione dei lavoratori e dei popoli.
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Il PCP indica come obiettivo al popolo portoghese la costruzione della società socialista, a partire dalla realtà e dall’esperienza della rivoluzione portoghese, attraverso l’assimilazione critica dell’esperienza rivoluzionaria mondiale.
Nel proporre il suo Programma “Una democrazia avanzata – i valori di Aprile nel futuro del Portogallo”, il PCP ritiene che la realizzazione di tale progetto – la democrazia economica, sociale, politica e culturale – rappresenti un processo di profonda trasformazione e sviluppo della società portoghese. Tuttavia, come è scritto nel Programma, “la liquidazione dello sfruttamento capitalista è il compito storico che solo con la rivoluzione socialista è possibile realizzare”.
Il PCP ribadisce la necessità di percorrere le fasi e le tappe indispensabili alla realizzazione di questo supremo obiettivo. Le lotte di oggi per la difesa e la conquista di diritti, per la rottura con la politica di destra e per la realizzazione di una politica patriottica e di sinistra sono parte della lotta per la democrazia avanzata, come pure la lotta per questo obiettivo è parte integrante della lotta per il socialismo.
Nel suo Programma, il PCP “indica come obiettivi fondamentali della rivoluzione socialista in Portogallo l’abolizione dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, la creazione di una società senza classi antagoniste ispirata a valori umanistici, la democrazia intesa nella complementarietà delle sue componenti economica, sociale, politica e culturale, l’intervento permanente e creatore delle masse popolari in tutti gli aspetti della vita nazionale, l’aumento costante del benessere materiale e spirituale dei lavoratori e del popolo in generale, la scomparsa di discriminazioni, disuguaglianze, ingiustizie e flagelli sociali, la messa in pratica dell’uguaglianza di diritti dell’uomo e della donna e l’inserimento dei giovani nella vita del paese, come forza sociale dinamica e creativa”. E aggiunge che “nel quadro degli obiettivi essenziali, il sistema socialista in Portogallo assumerà inevitabilmente particolarità e originalità risultanti non solo dalle realtà oggettive del paese ma anche dalle forme concrete che fino ad allora prenderanno la lotta di classe, lo sviluppo economico, sociale, culturale e politico e la stessa congiuntura internazionale”.
Fedeli ai suoi ideali di liberazione, celebreremo il centenario della Rivoluzione di Ottobre, i cui valori hanno radici profonde, sono una necessità del momento attuale e si proiettano come necessità obiettive, esperienze e aspirazioni nel futuro del Portogallo e dell’umanità.
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Il Comitato Centrale del Partito Comunista Portoghese decide che le celebrazioni del Centenario della Rivoluzione di Ottobre si svolgano sotto il motto “Centenario della Rivoluzione di Ottobre – Socialismo, esigenza di oggi e del futuro”, il cui programma sarà presentato in una Seduta Pubblica che si terrà il 7 novembre di quest’anno.
Il programma delle celebrazioni per il 2017, sarà caratterizzato in particolare dal Comizio del 7 novembre – giorno del Centenario – e dalla sua chiusura il 9 dicembre con un’iniziativa di alto profilo culturale.
Il programma delle celebrazioni, che avrà inizio in gennaio con un’iniziativa in coincidenza con l’anniversario della liberazione da parte dell’Esercito Rosso del Campo di Concentramento di Auschwitz, sarà contrassegnato da eventi storici legati in modo rilevante alla Rivoluzione di Ottobre, sarà integrato da iniziative e azioni che daranno espressione a molteplici aspetti e dimensioni della Rivoluzione e del processo di costruzione del socialismo, e preciserà la natura del capitalismo e delle sue disastrose e rovinose ripercussioni per l’umanità, affermando il socialismo come esigenza del momento attuale e del futuro.
Tra le altre iniziative spiccano: la realizzazione di un ciclo di dibattiti e altre azioni tematiche, in particolare un Seminario sul tema “Socialismo – esigenza del momento attuale e del futuro”; un importante evento alla Festa di Avante! del 2017, con una grande esposizione; lo svolgimento il 9 maggio (Giorno della Vittoria) di un’iniziativa sulle questioni della Pace; la trattazione specifica in Avante!, O Militante e nel sito internet con l’apertura di una pagina speciale; la produzione di materiali di divulgazione, per una più ampia diffusione; sul piano editoriale, la riedizione di opere sulla Rivoluzione di Ottobre e la costruzione del socialismo, soprattutto di Lenin e Alvaro Cunhal, allo scopo di promuoverne la lettura e lo studio, e la pubblicazione di opere dedicate al Centenario; lo sviluppo di iniziative e azioni dirette alla gioventù; la promozione di iniziative nei settori della cultura (cinema, teatro, musica, letteratura, belle arti, ecc.) e della scienza.
Il programma delle celebrazioni, nella sua dimensione, portata e contenuto, dovrà esprimere l’importanza e il significato politico e ideologico che tale evento riveste per la lotta dei lavoratori e dei popoli in difesa dei loro diritti e sovranità, davanti all’offensiva dell’imperialismo e per trasformazioni progressiste e rivoluzionarie, per il socialismo.
Perché le celebrazioni assumano la dimensione e l’impatto necessari, il programma deve essere già preparato con le linee guida e le iniziative inserite per rispondere ai tempi che viviamo e per coordinarsi con l’azione complessiva del Partito.
Il Comitato Centrale esorta ad associarsi a queste celebrazioni tutti coloro che lottano per la pace, la giustizia e il progresso sociale e lottano per una società di libertà e prosperità in cui lo Stato e la politica siano interamente al servizio del benessere e della felicità dell’essere umano.
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Il socialismo, attraverso strade e fasi diverse, si afferma con sempre maggiore acutezza l’obiettivo della lotta dei popoli, quale prospettiva e condizione di un futuro inseparabile dalla completa liberazione e dalla realizzazione umana.
Il PCP ribadisce che “in un periodo storico più o meno prolungato, attraverso la lotta di emancipazione sociale e nazionale dei lavoratori e dei popoli, è la sostituzione del capitalismo da parte del socialismo che, nel XXI secolo, continua a rappresentare una possibilità reale e la più solida prospettiva di evoluzione dell’umanità”.
Il PCP ribadisce la sua ferma determinazione a lottare perché il socialismo diventi la realtà di domani del popolo portoghese.
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L’ACCORDO MILITARE USA-ISRAELE: prove imperialiste di guerra totale
(IL PCI CONDANNA L’ACCORDO MILITARE USA-ISRAELE)
http://www.ilpartitocomunistaitaliano.it/2016/09/22/il-pci-condanna-laccordo-militare-usa-israele/
di Fosco Giannini, segreteria nazionale PCI; responsabile dipartimento esteri
Lo scorso 14 settembre gli USA ed Israele hanno firmato un accordo politico-militare il cui senso rimanda ad un chiaro disegno di rafforzamento e rilancio delle politiche imperialiste USA e NATO in Medio Oriente; rimanda al rafforzamento della politica imperialista israeliana nella stessa regione del mondo e ad un’acutizzazione della lotta israeliana e nordamericana contro il popolo palestinese.
L’accordo politico-militare tra USA e Israele, ultimo dono di Obama alla politica di guerra degli USA e della NATO, prevede uno stanziamento di 38 miliardi di dollari da parte degli USA a favore dell’esercito israeliano e del suo apparato missilistico nucleare: tra i più grandi pacchetti di aiuti militari che gli USA abbiamo mai concesso, storicamente, ad uno Stato alleato.
L’accordo è il segno chiarissimo, da parte degli USA, di proseguire e rafforzare una propria politica di aggressione militare, di tipo planetario, quale risposta ad una propria e profonda crisi di egemonia economica sul piano mondiale.
Dai “golpe” che gli USA sostengono, oggi come e più di ieri, in tanta parte dell’America Latina, sino all’espansione militare ai confini della Russia e della Cina, passando per l’intervento militare continuo e largo raggio in tutto il Medio Oriente, la politica USA sempre più appare come quella che può portarci, a passo spedito, verso una crisi totale, che può sfociare in una terza guerra mondiale. Pericolo che lo stesso Papa Francesco ha più volte denunciato.
Il Partito Comunista Italiano (PCI) stigmatizza e condanna severamente il senso imperialista e guerrafondaio dell’accordo politico e militare tra USA e Israele del 14 settembre ultimo scorso e ancor più rafforza il proprio impegno nella battaglia per l’uscita dell’Italia dalla NATO e per la costruzione di un movimento di massa contro la guerra, il più vasto e forte possibile.
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Il silenzio su Slobodan Milosevic
di Giulietto Chiesa
Si tratta di una notizia di prima grandezza; enormi le implicazioni politiche che essa comporta. Ma stranamente nessuno ne ha parlato tra i grandi media di informazione di massa del mondo intero. Ed è comprensibile che tutti tacciano: coloro che in un coro unanime lo definirono il “macellaio dei Balcani”; coloro che lo paragonarono a Hitler, iniziando la serie che sarebbe poi continuata con Saddam Hussein, con Muhamar Gheddafi, e che vorrebbero continuare con Bashar el Assad. E’ comprensibile che tacciano le cancellerie occidentali, in specie quella americana, che vollero la fine della Jugoslavia e la fine di Milosevic.
Possono farlo, perché la “riabilitazione” di Slobodan Milosevic non c’è ancora stata. La sentenza che la contiene è quella che ha portato lo stesso tribunale a condannare a 40 anni di reclusione Radpvan Karadzic. Dunque bisogna leggere quella lunghissima sentenza per scoprire che Milosevic non fu colpevole delle accuse per cui passò in prigione gli ultimi cinque anni della sua vita, da tutti esecrato. Il trucco è tutto qui. La sentenza contro Karadzic risale al 24 marzo di quest’anno. Siamo quasi alla metà di agosto e tutto il mainstream mondiale non si è accorto di niente. Oppure ha ritenuto utile non accorgersi di niente. Così tutti i leader occidentali non sono costretti a chiedere scusa, alla Jugoslavia, alla Serbia, ai popoli europei ignari. In realtà, a ben vedere, toccherebbe a loro adesso sedere sul banco degl’imputati. Infatti, nella sua sentenza del 24 marzo, il tribunale che processò Milosevic dice che “non è soddisfatto dell’insufficiente prova che Milosevic fu favorevole ” al piano di espulsione dei musulmani bosniaci e dei croato-bosniaci dal territorio della Bosnia preteso dai serbi. Ma la formulazione è qui volutamente fumosa. Non si tratta di “prove insufficienti”.
La stessa sentenza, a più riprese, ribadisce, citando documenti, l’esistenza di divergenze sostanziali tra Milosevic e Karadzic in diversi passaggi cruciali della tragica crisi. Dice la sentenza che Milosevic si oppose alla decisione della costituzione della Repubblica Srpskaja. E tante altre circostanze, ora scoperte, rivelano quello che coloro che volevano sapere già sapevano: e cioè che Milosevic, fino alla fine, cioè fino all’inizio dei bombardamenti della Nato sulla Serbia, aveva cercato un accordo con gli occidentali e che fu la signora Albright che decise che quell’accordo non dovesse essere siglato.
Cinque anni di prigione – gli ultimi della sua vita – furono decisi nelle capitali europee e americana in spregio a ogni giustizia, in nome del sopruso con cui lo stato Jugoslavo venne fatto a pezzi. E la sua morte in carcere avvenne in circostanze estremamente sospette e particolarmente disumane. Ufficialmente ebbe un attacco di cuore. Ma esso arrivò due settimane dopo che il Tribunale gli aveva negato il permesso di essere curato in Russia, come aveva chiesto. Morì nella sua cella, l’ex presidente jugoslavo, tre giorni dopo che il suo avvocato aveva inviato una sua lettera al Ministro degli esteri russo, in cui diceva di temere di essere avvelenato.
Adesso sappiamo quale fu la “giustizia” che quel tribunale perseguiva: quella dei vincitori. Scagiona ora Milosevic, ma tiene nascosta la sua decisione. Non è una distrazione. Il giudice che ha presieduto il processo contro Karadzic, il coreano O-Gon, era anche tra i giudici che stavano processando Milosevic, prima che morisse. Costui conosceva tutti gli atti di entrambi i processi. Adesso non resta che chiedersi chi paga il suo stipendio e quello dei suoi onorati colleghi. L’occidente affonda nella sua stessa melma, insieme ai “valori” che ogni giorno, impunemente, proclama di voler difendere.
(9 agosto 2016)
Link articolo Giulietto Chiesa.
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Palmira e le contraddizioni
DI: Maurizio Musolino
La liberazione della città di Palmira rappresenta simbolicamente un momento importante per la rinascita di un paese messo in ginocchio da 5 anni di guerra. L’esercito di Damasco è riuscito, dopo giorni di dura battaglia, a mettere in fuga l’Isis, grazie anche alla collaborazione dei raid aerei russi e alla preziosa presenza di milizie di Hezbollah. Palmira non ha solo un altissimo valore simbolico per la sua storia e per le sue straordinarie bellezze, rappresenta anche un importante snodo verso est, da lì infatti si raggiungono prima Deir El Zor e poi proseguendo a nord Raqqa, la capitale, insieme a Mossoul (in Iraq), del cosiddetto stato islamico.
Ma proviamo ad analizzare come da noi è stata raccontata questa vicenda. Ricordate i titoli in prima pagina e i servizi su tutte le televisioni quando l’Isis entrò a Palmira abbattendo archi e colonne ed uccidendo il responsabile dei beni archeologici? Bene la sua riconquista è passata invece quasi nel più assoluto silenzio, come se l’Isis non fosse quel mostro che è, e una sua importante sconfitta non rappresentasse un avvenimento importante per tutti gli amanti della pace. A denunciarlo non sono solo i “soliti amici della Siria”, bensì anche un grande del giornalismo mediorientale, Robert Fisk, sul quotidiano inglese Indipendent. Fisk sottolinea come dopo la strage di Bruxelles tutto l’Occidente avrebbe dovuto festeggiare per questa pesante sconfitta dell’Isis, invece sulla liberazione di Palmira è calato un assordante silenzio. Ne Obama, né Cameron, né Hollande nè il nostro Renzi hanno fatto sentire la loro voce. Forse perché Palmira rappresenta la sconfitta della strategia statunitense nell’area a vantaggio di Putin, che si conferma insieme all’esercito siriano e alle milizie di Hezbollah come il vero ed efficace nemico dell’Isis.
La riconquista di Palmira segna anche un notevole rafforzamento del ruolo di Bashar el Assad soprattutto nel pieno delle trattative che accompagnano la fragile tregua che pur sembra reggere, e in vista delle prossime elezioni di aprile quando si rinnoverà il parlamento siriano con un coinvolgimento anche di una parte dell’opposizione. Le elezioni legislative in Siria sono previste ogni 4 anni e Bashar El Assad con questa sua decisione, presa sorprendendo molti, vuole riaffermare la legittimità del sistema Paese. Elezioni che dalla scorsa tornata, svoltasi appunto 4 anni fa, eliminano il controllo assoluto che per decenni aveva avuto il partito Bath introducendo una reale possibilità di votare il partito preferito e il candidato desiderato. Ricordo bene quando proprio sotto le ultime elezioni ero a Damasco con una delegazione internazionale guidata da Socorro Gomes, presidente del World Peace Council , la città era letteralmente tappezzata dai manifesti dei vari candidati e delle tante candidate. A questo proposito sfiora il ridicolo la polemica che si è svolta sui banchi delle Nazioni Unite quando, al latere della seduta di ieri, il giornalista di al Jazeera ha chiesto all’Ambasciatore Saudita come mai fosse così critico sulle elezioni del prossimo 13 aprile in Siria chiedendo elezioni assolutamente libere e democratiche, negando però queste nel paese che lui rappresenta. Una domanda che ha mandato su tutte le furie il diplomatico Saudita.
Impegnato in questa tornata elettorale è anche il Partito comunista siriano che conferma il totale sostegno all’attuale presidente ma nello stesso tempo pone con forza il tema dell’uguaglianza sociale e di politiche da mettere in atto in sostegno delle classi operaie e in generale salariale. “In questi ultimi anni”, mi ha spiegato un membro della segreteria nazionale, “l’inflazione si è divorata i salari: prima il cambio lira siriana dollaro era 1 a 50, mentre oggi è a 5000. Il nostro popolo è orgoglioso della resistenza che in questi anni abbiamo opposto all’Isis e ai tanti mercenari che sono venuti a combattere sotto varie bandiere, ma nello stesso tempo è arrabbiato perché non riesce a sopravvivere”. Sarà questo un tema centrale nella campagna elettorale del PC siriano. I comunisti siriani hanno la consapevolezza che la battaglia che vede impegnata la Siria non si combatte solo con le armi, terreno nel quale sono impegnati in prima persona a fianco dell’esercito nazionale, ma anche facendo della Siria un paese della giustizia sociale e della centralità delle politiche nazionali pubbliche, contro voglie di liberismo e di privatizzazioni pur esistenti. Il possibile business della ricostruzione potrebbe essere dietro l’angolo e sarebbe assurdo se ad arricchirsi fossero gli stessi che in questi anni hanno sostenuto le varie bande terroristi.
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Il PC del Vietnam ospita il 18° IMCWP
International Communist Press (ICP)
26/02/2016
Il gruppo di lavoro dell’IMCWP, Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai, ha tenuto la sua riunione a Istanbul la scorsa settimana, ospitato dal Partito Comunista, Turchia (KP). In tale sede è stato stabilito quale partito ospiterà l’incontro, la data, il luogo e il tema del prossimo IMCWP.
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Frenare i piani bellici degli USA; unire i popoli di Russia, Siria e Turchia; valorizzare la neutralità svizzera!
1 – Al confine fra la Turchia e la Siria è stato abbattuto un aereo militare SU24 della Federazione Russa attivo – su richiesta del governo di Damasco – nella difesa della sovranità e dell’unità nazionale siriana contro il terrorismo islamista dell’ISIS. Da parte del governo turco si tratta di un fatto provocatorio e irresponsabile che condanniamo.
2 – Il governo turco si è reso “utile idiota” degli USA, che da tempo auspicano di far scoppiare una nuova guerra in Medio Oriente. L’abbattimento dell’aereo russo è un tentativo di creare a tutti i costi un “casus belli”: gli USA non possono infatti tollerare il ruolo della Russia orientato a impedire l’espansionismo atlantico a scapito delle entità statuali della regione.
3 – Aver posto Ankara contro Mosca significa ostacolare l’unità euro-asiatica, condizione non solo per garantire l’unità e la sovranità degli stati nazionali della regione, ma anche per sviluppare la loro prosperità economica in forma indipendente dal neo-colonialismo atlantico. Si tratta insomma di una vittoria per Obama, ma una sconfitta per l’economia e il popolo turco.
4 – Il socialismo scientifico – al di là di ogni folklore – nell’evoluzione della propria storia ha chiarito che i movimenti nazionali vanno sostenuti unicamente se tendono a indebolire l’imperialismo: i diritti delle nazioni vanno infatti letti nell’ambito generale dei rapporti di forza di classe e geopolitici. Considerando quindi negativamente nel caso concreto la balcanizzazione etnica (sia essa turcomanna o curda) sosteniamo, al contrario, la necessità per le forze repubblicane, kemaliste e comuniste della Turchia di organizzarsi in un fronte unito e inter-etnico contro l’imperialismo che lavori per la pace, che normalizzi le relazioni con la Russia e la Siria e che nel contempo approfondisca i legami con l’Unione Euroasiatica, la Cina e gli altri attori regionali impegnati nella costruzione di un mondo multipolare; esattamente quello che già avviene in Siria nell’ambito del Fronte Nazionale Progressista. Nel contempo auspichiamo che la politica del governo russo di non cedere alle provocazioni – peraltro continue, come attesta ad esempio il golpe orchestrato dall’Occidente in Ucraina – prosegua a tutto vantaggio della pace.
5 – Rivendichiamo una politica estera della Svizzera che intensifichi la cooperazione con l’Unione Euroasiatica, che normalizzi le relazioni diplomatiche e economiche con la Siria, che blocchi ogni relazione (anche indiretta) con i cosiddetti “ribelli” e che cessi le proprie partnership con la NATO, promotrice indiscussa negli ultimi anni di terrore e caos geopolitico.
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Elezioni in Svizzera: soddisfazione per il risultato della sinistra e dei comunisti
DI: Massimiliano Arif Ay, segretario del Partito Comunista (Svizzera)
Il Partito Comunista ha preso parte alla competizione elettorale federale conscio delle difficoltà che essa comportava. Si sapeva infatti che la presenza di più liste a sinistra, per quanto congiunte, avrebbe comportato un’erosione di consensi alla nostra formazione, pur restando la forza trainante a sinistra del Partito Socialista.
Riteniamo che sia stato utile partecipare alle elezioni per il nostro Partito, il quale ha avuto modo di presentare temi concreti in modo innovativo, nonostante una campagna elettorale che anche i media hanno impostato in modo alquanto superficiale e personalistica, dove al posto di approfondire i dossier si sono preferiti i giochi a quiz coi candidati. Nel contempo il nostro Partito ha potuto promuovere molti volti nuovi in politica, perlopiù giovani che ora continueranno anzitutto la propria formazione politica e, in seguito, saranno sul territorio con impegno e si metteranno a disposizione candidandosi nei rispettivi comuni per il rinnovo dei consigli comunali e dei municipi in aprile.
Per la prima volta vi è poi stata la candidatura comunista al Consiglio degli Stati, che ha permesso di dare maggiore visibilità al nostro progetto politico e, nel contempo, ha offerto al popolo della sinistra la possibilità di non disperdere voti su candidati di area borghese come avveniva in passato, raggiungendo il risultato estremamente positivo di oltre il 4%. Si tratta di un risultato sorprendente, anche perché in passato chi si è candidato agli Stati senza il sostegno dei partiti governativi non era riuscito ad andare di molto oltre alla soglia del 2%, che qui è stata invece doppiata.
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L’analisi e le prospettive dei comunisti portoghesi dopo le elezioni legislative
da pcp.pt
Traduzione dal portoghese di Marx21.it
Comunicato del Comitato Centrale del Partito Comunista Portoghese
Il Comitato Centrale del Partito Comunista Portoghese (PCP), riunito il 6 ottobre 2015, ha analizzato i risultati delle elezioni legislative e il quadro politico, economico e sociale con cui i lavoratori e il popolo portoghese si confrontano, come pure lo sviluppo della lotta di massa. Ha stabilito le linee essenziali dell’azione e dell’iniziativa politica del Partito, e anche quelle per il suo rafforzamento organico, per rispondere alle esigenze che si presentano per il futuro. Ha dibattuto e deciso la presentazione di una candidatura alle elezioni presidenziali del gennaio 2016.
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In Moldavia incombe la minaccia del fascismo
da kprf.ru
Traduzione dal russo di Mauro Gemma
L’organizzazione sovranazionale che riunisce i principali partiti comunisti dell’ex Unione Sovietica interviene contro la brutale ondata repressiva che ha investito la Repubblica di Moldova, con la violenta reazione poliziesca nei confronti delle recenti manifestazioni contro la politica economica attuata dall’attuale governo del paese (che, ricordiamo, è legato da un trattato capestro di associazione con l’Unione Europea, simile a quello sottoscritto dal regime nazional-fascista dell’Ucraina) e l’arresto di esponenti dell’opposizione, tra cui il leader di “Blocco Rosso” Grigory Petrenko, membro onorario dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio di Europa (solidnet). Secondo i partiti comunisti dell’ex URSS sulla Moldavia incombe ora la minaccia di un’aperta dittatura di stampo fascista che, sull’esempio della vicina Ucraina, liquidi la presenza legale di un’opposizione politica e sociale nel paese.
Per parte nostra, esprimiamo l’augurio che quanto sta avvenendo in Moldavia scuota le coscienze dell’opinione pubblica del nostro paese e delle forze democratiche che la rappresentano, che (a parte qualche sporadica eccezione) su alcune derive di carattere fascista presenti in Europa (oltre alla Moldavia, in Ucraina e nei paesi baltici) continuano a conservare un rigoroso e inspiegabile silenzio. (MG)
Dichiarazione dell’Unione dei Partiti Comunisti-PCUS
Il Segretariato del Consiglio Centrale dell’Unione dei Partiti Comunisti-PCUS (UPC-PCUS) denuncia il comportamento del regime oligarchico instaurato nella Repubblica di Moldova che ha costretto il popolo moldavo a interrompere e invertire il cammino del proprio sviluppo storico. I tentativi di ripristinare il capitalismo agonizzante nella Repubblica si sono tradotti nella distruzione delle sue forze produttive, nel degrado sociale e morale della società, nell’impoverimento di massa dei lavoratori, nel dilagare di disuguaglianza e ingiustizia sociale.
Le masse popolari della Moldavia non possono certo approvare la politica controrivoluzionaria delle autorità della Repubblica. Dall’inizio di settembre, nella Repubblica si sono svolte molte affollate proteste pacifiche contro gli attacchi antipopolari del governo oligarchico. In un’operazione diretta a interrompere la protesta di massa dei lavoratori, le autorità moldave hanno fatto ricorso alla repressione contro i leader politici e gli attivisti dell’opposizione. La repressione della protesta popolare sta spingendo il governo moldavo a reazioni estreme: all’instaurazione di un regime fascista, di un’aperta dittatura terrorista.
A nome dei 17 partiti comunisti che operano sul territorio dell’Unione Sovietica distrutta in modo criminale, il Segretariato del Consiglio Centrale dell’UPC-PCUS dichiara: le azioni del regime antipopolare in Moldavia, orientato alla dittatura fascista e indirizzato alla soppressione della protesta popolare, non potranno salvarlo dal crollo imminente. Le aspirazioni controrivoluzionarie dell’oligarchia compradora all’intensificazione dello sfruttamento e dell’oppressione delle masse lavoratrici si scontrano con le leggi oggettive dello sviluppo sociale, generano conseguenze distruttive e, in ultima analisi, sono destinate al completo fallimento.
Il Segretariato del Consiglio Centrale dell’UPC-PCUS
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Il dibattito nella sinistra greca
DA: http://www.comunisti-italiani.it/2015/07/19/il-dibattito-nella-sinistra-greca/
Dopo la pubblicazione di diverse note e materiali esteri di analisi della situazione in Grecia, cominciamo la pubblicazione di documenti utili per conoscere in maniera più approfondita il dibattito in corso nella sinistra greca. Cominciamo con un deliberato del CC del KKE, nelle prossime ore pubblicheremo materiali a proposito del dibattito interno in Syriza
Dichiarazione del Comitato Centrale del KKE sul nuovo accordo-memorandum
1. Il KKE invita gli operai, gli impiegati, gli strati popolari, i pensionati, i disoccupati e i giovani, a dire un vero e proprio inflessibile NO all’accordo-memorandum, che è stato firmato dal governo di coalizione SYRIZA-ANEL con l’UE BCE-FMI e a combattere ovunque, in piazza e sui luoghi di lavoro, contro le misure selvagge in esso contenute. Il nuovo pacchetto di riforme va ad aggiungersi alle misure barbariche del memorandum precedente. Occorre organizzare il contrattacco per evitare che il popolo sia spinto al completo fallimento. Occorre rafforzare il movimento operaio, l’alleanza popolare, aprire la strada perché il popolo si liberi una volta per tutte dal potere del capitale e delle unioni imperialiste, che lo conducono a condizioni sempre più inumane.
Non dobbiamo sprecare un giorno, nemmeno un’ora. Subito, senza alcun ritardo deve essere intensificata l’attività popolare all’interno dei luoghi di lavoro, nelle fabbriche, negli ospedali, nei servizi, nei quartieri, attraverso i sindacati, i comitati popolari e di solidarietà sociale, i comitati di assistenza. L’accordo porterà a una nuova e significativa riduzione del reddito popolare e alla frantumazione dei diritti dei lavoratori. Si legittimerà e si darà il via libera ai licenziamenti, all’espansione del lavoro non retribuito, alle ferie forzose e ad altre misure anti-operaie, già adottate dai maggiori datori di lavoro recentemente, utilizzando le restrizioni sulle transazioni bancarie.
Il popolo non deve permettere che prevalga il consenso, l’intimidazione e il fatalismo, la falsa atmosfera di “unità nazionale” e le false speranze alimentate dal governo, dai partiti borghesi, dai mass-media e dai vari altri centri dell’establishment, così come dalle istituzioni europee. Essi infatti chiedono al popolo di accettare il memorandum di Tsipras e di sentirsi sollevati, perché presumibilmente lo scenario peggiore è stato evitato.
2. Il nuovo memorandum Tsipras è composto da una serie di dure misure antipopolari, che inaspriscono il peso già insopportabile dei precedenti memorandum e delle relative leggi applicative emanate dai governi ND-PASOK. Quest’ultimo memorandum reca già il sigillo di ND, PASOK e POTAMI, perché la dichiarazione congiunta che hanno firmato e il loro voto in Parlamento ha conferito carta bianca al governo per formare il nuovo pacchetto di misure barbariche che accompagnano l’accordo. La posizione assunta da quasi tutti i mezzi di comunicazione di proprietà privata, rivela, che dopo aver accusato SYRIZA di voler portare la Grecia fuori dalla zona euro tramite il referendum, ora plaudono e lodano le sue scelte, perché è stato “restituito” il senso del realismo. Oggi, i partiti del NO (SYRIZA-ANEL) con i partiti del SI (ND-POTAMI-PASOK) chiedono al popolo di dire SI ad un nuovo protocollo, che scarica nuovi oneri sulla classe operaia e sui ceti popolari poveri con misure antipopolari, come quelle che il popolo greco aveva intenzione di respingere nel referendum.
Il governo in sostanza sobbarca il popolo con un nuovo prestito del valore di 86 miliardi di euro e le relative misure selvagge che lo accompagnano, come ad esempio l’ulteriore riduzione dei redditi popolari, nuove ingenti tasse e il mantenimento della ENFIA (la nuova tassa di proprietà), il significativo aumento dell’IVA sui prodotti di consumo popolare di massa e il prelievo di solidarietà, la riduzione delle pensioni, l’implementazione di un nuovo e peggior regime previdenziale, la graduale abolizione di EKAS (previdenza complementare per i pensionati poveri), le nuove privatizzazioni, le misure della “cassetta degli attrezzi” dell’OCSE, ecc.
Contro il popolo vengono utilizzati da 5 anni a questa parte gli stessi ricatti e dilemmi, per costringerlo ad accettare queste misure: un nuovo e ancora più duro memorandum o il fallimento dello stato tramite una Grexit? Lo stesso dilemma sottoposto per il memorandum 1 e 2 è stato ripetuto in ogni occasione prima della restituzione di una rata. Ogni volta la gente deve scegliere il male “minore”, che alla fine si rivela essere il male peggiore. Il governo di coalizione SYRIZA-ANEL oggi usa la stessa tattica e retorica.
3. L’attuale governo ha reso un ottimo servigio al sistema, visto che fin dal primo momento ha “acconciato” il suo compromesso a slogan di sinistra e gli ha dato una maschera di dignità. Ha diretto falsi dilemmi contro il popolo, in un periodo in cui l’opposizione alla UE poteva acquisire un contenuto radicale e indurre al rifiuto del percorso di sviluppo capitalista, che va di pari passo con la partecipazione del nostro paese nelle alleanze imperialiste interstatali, formate sempre sulla base dei rapporti ineguali tra stati. Ha organizzato un referendum attorno a un falso quesito e poi ha trasformato il “no” in un “sì” per un memorandum ancora più barbaro.
SYRIZA sfrutta consapevolmente il desiderio del popolo di esser sollevato dalle conseguenze dei 2 memorandum, che implicherebbe almeno un recupero delle perdite dei ceti popolari. Sfrutta la visione e i sogni delle persone radicali e di sinistra che anelano a un governo “di sinistra”, “pro-popolo”. Ha utilizzato l’inevitabile svalutazione politica di ND e PASOK in modo da arrivare al governo. Oggi, attraverso il nuovo protocollo, sta fornendo un’”assoluzione dai peccati” di ND-PASOK per i memorandum precedenti.
SYRIZA usa la demagogia, come il suo impegno pubblico a favore del grande capitale, di cui sosterrà il recupero di redditività, per impedire il raggruppamento e il recupero del movimento operaio e popolare. Ha conquistato la tolleranza e persino il supporto del nucleo di base della classe borghese in Grecia, così come nei centri imperialisti stranieri, come gli Stati Uniti. Le alleanze con USA, Francia e Italia, delle quali il governo è orgoglioso, non sono in alcun modo uno “scudo” per gli interessi popolari. In realtà, sono “pesi morti” che trascinano la classe operaia e i ceti popolari negli scontri pericolosi e sempre più acuti tra gli imperialisti.
Il KKE fin dall’inizio ha sostenuto e dimostrato che SYRIZA non voleva e non era in grado di preparare il popolo per uno scontro contro i memorandum e i monopoli, sia greci che europei, proprio perché non ha un orientamento alla resistenza e al conflitto. Al contrario, ha fatto quello che poteva per mantenere le persone passive, in attesa di esprimere un “voto di protesta” alle elezioni. Ha ingannato il popolo inducendolo a credere che avrebbe aperto la strada a modifiche favorevoli alle persone nel quadro dell’alleanza predatoria dell’UE.
La piattaforma di sinistra di SYRIZA e di tutti coloro che stanno cercando di nascondere le loro enormi responsabilità dietro l’”astensione” o la “presenza” in Parlamento ha svolto un ruolo particolare nella manipolazione del movimento, intrappolando le persone disposte al radicalismo. Queste forze stanno cercando di salvarsi politicamente e svolgono un nuovo ruolo nel contenimento del radicalismo e l’assimilazione del popolo nel sistema, preparando un nuovo “ammortizzatore” politico, ruolo svolto in passato dal vecchio partito “Synaspismos”.
4. Soprattutto oggi, alcune conclusioni che sono preziose per il popolo devono essere tenute a mente:
La trattativa “tenace” è stata fin dall’inizio un campo minato per gli interessi del popolo, poiché è servita al capitale per il recupero della sua redditività. La partecipazione della Grecia nell’Unione europea e nella zona euro rimane la scelta strategica del capitale greco ed è caratterizzata dalle condizioni ineguali, che esistono oggettivamente in tali alleanze imperialiste. Nel quadro di queste alleanze, lo stato greco è obbligato al compromesso con i centri più forti, come la Germania, scaricando le conseguenze di questi rapporti ineguali sui lavoratori.
Questi sviluppi costituiscono l’espressione più chiara del fallimento della cosiddetta “sinistra di governo” o governo di “rinnovamento”, della teoria che l’UE possa cambiare il suo carattere monopolistico e antipopolare. Hanno messo in evidenza il crollo della cosiddetta linea “anti-memorandum” che ha promosso lo scopo socialdemocratico della ricostruzione della produzione, senza cambiamenti radicali a livello di economia e potere.
E’ stata confermata la linea di lotta del KKE e della sua robusta e coerente presa di posizione, che ha respinto la partecipazione a tali “governi di sinistra” che sono in realtà governi di gestione borghese.
Nel complesso, i processi per la ricomposizione del sistema politico borghese sono stati accelerati dopo i recenti sviluppi. Sia attraverso un rimpasto e l’eventuale ampliamento della base del governo sia attraverso le elezioni e la creazione di nuovi partiti e “ammortizzatori”. In ogni caso, l’offensiva contro il KKE è la scelta coerente del sistema, per evitare che l’indignazione popolare confluisca nella linea antimonopolistica e anticapitalista di lotta. Una nuova alleanza antipopolare di “volenterosi” viene sollevata contro il popolo, per impedire qualsiasi spirito di resistenza e di emancipazione. Oggi, l’intensificazione della repressione di stato e padronale rialza la testa minacciosa, aumenta l’autoritarismo, per prevenire l’organizzazione del movimento operaio e dei suoi alleati nello sviluppo della lotta di classe.
5. Il fatto che l’uscita di un paese dalla zona euro, per la prima volta, sia stata posta così intensamente è dovuto all’acuirsi delle contraddizioni interne e delle ineguaglianze delle economie della zona euro, per la competizione tra i centri imperialisti vecchi e nuovi, emersi dopo la controrivoluzione nei paesi del socialismo. Questi problemi sono cresciuti nelle condizioni della crisi economica prolungata in Grecia e altrove. Le tendenze alla separazione sono aumentate, sostenute dalle forze politiche borghesi che vogliono un’Eurozona con paesi economicamente più forti. In Germania tale tendenza è significativa ed è fomentata dalle principali forze del FMI, per le loro ragioni e interessi, e questo porta all’ampliamento delle contraddizioni all’interno della zona euro. Nel suo ambito si esprimono contraddizioni interimperialiste soprattutto tra la Germania e la Francia. Sulla permanenza della Grecia nella zona euro sono emerse contraddizioni anche tra Stati Uniti e Germania e altri centri imperialisti. Gli Stati Uniti sono intervenuti, volendo limitare l’egemonia della Germania in Europa, senza però, per il momento, desiderare la dissoluzione della zona euro.
Le contraddizioni e gli sviluppi nella zona euro e nell’Unione nel suo complesso, non sono stati risolti dal transitorio compromesso di oggi e la ratifica dell’accordo tra Grecia e la zona euro e il FMI. La tendenza rimane forte, lasciando aperta la possibilità di una Grexit, con la ristrutturazione della zona euro, l’approfondimento dei meccanismi per una politica economica unitaria, norme più severe e meccanismi di monitoraggio dei saldi positivi tra entrate e spesa pubblica. In ogni modo, non è un caso che la Francia e l’Italia, che hanno resistito alla scelta di uscita della Grecia dalla zona euro, sono paesi con disavanzi e debiti elevati e cercano un allentamento delle regole più rigorose.
Lo scontro sulla questione del debito è il risultato di queste contraddizioni. Il governo, in linea con il Fondo Monetario Internazionale e gli Stati Uniti, ha posto l’aggiustamento del debito a obiettivo finale, a tutti i costi e a spese degli interessi popolari. Allo stesso tempo, chiede un nuovo prestito di € 86 miliardi che aumenterà il debito. Si vuole che le persone accettino le misure antipopolari in nome di una nuova gestione del debito, che come in passato saranno accompagnate da attacchi ai diritti operai e popolari. Il capitale sarà l’unico beneficiario del finanziamento, sotto forma di un nuovo prestito-debito o tramite il suo prolungamento.
6. E’ per una soluzione reale a favore delle persone che ci deve essere una vera e propria rottura, rottura che non ha alcuna relazione con la caricatura invocata dalle forze interne ed esterne a SYRIZA che promuove una Grecia capitalistica della dracma come via d’uscita. L’opzione di uscire dall’euro e adottare una moneta nazionale, all’interno del percorso di sviluppo del capitalismo, è una via antipopolare sostenuta da importanti settori della classe borghese in Germania, sulla base del “piano Schauble”, così come da altri stati membri della zona euro, e in effetti da altre forze reazionarie. Oggi, alcune sezioni del capitale nel nostro paese guardano con interesse a questa opzione, sperando in immediati maggiori profitti.
Quelli che sostengono che l’uscita della Grecia dalla zona euro, con una moneta deprezzata, darà impulso alla competitività e alla crescita con conseguenze positive per le persone, sono impegnate in un consapevole inganno. Qualunque crescita capitalistica si possa ottenere in futuro non sarà accompagnata dal recupero degli stipendi, delle pensioni, dei diritti e per questo motivo non andrà a beneficio del popolo. Essa porterà a nuovi sacrifici del popolo sull’altare della competitività dei monopoli.
La Grecia capitalista con una moneta nazionale non costituisce una rottura a favore del popolo. Le forze politiche che promuovono un tale obiettivo come soluzione o come obiettivo intermedio per cambiamenti radicali (la piattaforma di sinistra di SYRIZA, ANTARSYA, ecc.) stanno oggettivamente sostenendo il gioco di alcune sezioni del capitale.
Questa opzione non restituirà il relativo miglior tenore di vita degli anni 1980 e 1990, come alcuni sostengono. Le leggi dello sfruttamento capitalistico e l’inesorabile competizione monopolistica continueranno a “regnare”. L’impegno dell’UE e della NATO sarà quello di stringere la “morsa”. Le leggi barbare sui prestiti valgono su tutti i mercati monetari, tutte le banche di investimento e i fondi delle vecchie e nuove alleanze imperialiste (come i BRICS). In ogni caso, le politiche antipopolari vengono attuate nei paesi dell’euro e anche nei paesi capitalisti con monete nazionali, sia quelli più forti come la Cina, la Gran Bretagna, la Russia e sia in quelli più deboli, come la Bulgaria e la Romania.
Gli slogan sulla presunta dignità di una “Grecia povera ma forte e orgogliosa che resiste” hanno lo scopo di nascondere la verità al popolo e di soggiogarlo alla barbarie. Il popolo non può sentirsi orgoglioso, quando la ricchezza prodotta gli viene estorta ed è proclamata la bancarotta per salvare il sistema capitalista dalla crisi, dentro o fuori dall’euro.
Una cosa è che il popolo scelga di lasciare l’Unione europea, consapevolmente e attivamente, prendendo contemporaneamente le chiavi dell’economia e del potere in mano, un’altra cosa, completamente diversa, è trovarsi al di fuori della zona euro, come risultato delle contraddizioni e della concorrenza dei capitalisti. La prima opzione costituisce una soluzione alternativa in favore del popolo e vale ogni sacrificio, la seconda porta al fallimento del popolo per una delle tante vie.
7. La proposta politica del KKE – proprietà sociale, disimpegno dalla UE e dalla NATO, cancellazione unilaterale del debito, con il potere operaio e popolare – è diretta ai lavoratori salariati e agli strati popolari, ai giovani e alle donne delle famiglie della classe operaia, ai pensionati, perché queste forze erano e sono le vere forze motrici della società. La prosperità sociale può essere garantita sulla base del loro lavoro, senza disoccupazione, fame, miseria, senza sfruttamento. E’ necessario che si facciano protagonisti degli sviluppi politici e sociali, che agiscano per i propri interessi, per la propria vita, con il KKE contro il potere dei loro sfruttatori.
Nulla è stato mai concesso dagli sfruttatori e dal loro stato. Il potere operaio e popolare non sarà concesso dal sistema politico borghese, né da alcun partito “della sinistra”, ma deve essere conquistato. Il corso per un reale cambiamento nei rapporti di forza a favore della maggioranza dei lavoratori richiede che le persone si raggruppino attorno al KKE e che il KKE si rafforzi ovunque, soprattutto nei luoghi di lavoro e nei quartieri popolari.
Il rafforzamento complessivo del KKE e l’unione delle forze attorno ad esso sono il prerequisito per il raggruppamento del movimento operaio e la formazione di una forte alleanza popolare, che condurrano le lotte che riguardano i problemi del popolo, la rivendicazione di misure urgenti, il recupero delle perdite subite, con un fermo orientamento contro i monopoli e il capitalismo.
La loro formazione e accrescimento possono da oggi contribuire all’inversione del rapporto di forze negativo, al rafforzamento dell’organizzazione, alla combattività, allo spirito militante della classe operaia e degli altri ceti popolari contro il fatalismo e la sottomissione del popolo, contro la vecchia e la nuova gestione della barbarie capitalista.
Il CC del KKE
13 luglio 2015
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
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I comunisti portoghesi sugli ultimi sviluppi in Grecia
da www.pcp.pt | Traduzione di Marx21.it
Sulle decisioni annunciate dal Vertice dell’Euro sulla Grecia
Nota dell’Ufficio stampa del Partito Comunista Portoghese
1. Di fronte alle decisioni del Vertice dell’Euro che mirano ad avviare i negoziati di un “nuovo memorandum” per la Grecia, il PCP riafferma la sua condanna del processo di ricatto, di destabilizzazione e di asfissia finanziaria promosso dall’Unione Europea e dal FMI che cerca di imporre al popolo greco la continuazione dell’indebitamento, dello sfruttamento, dell’impoverimento e della sottomissione.
Un processo di ingerenza e di ricatto che non mancando di trarre partito dalle incoerenze, dalle contraddizioni e dai cedimenti del Governo greco, che hanno avuto contorni ancora più gravi negli ultimi giorni, rivela la natura politica e gli obiettivi del processo di integrazione capitalista in Europa e la profonda crisi in cui si dibatte. Un processo che evidenzia che l’Unione Europea di solidarietà e di coesione non esiste.
2. Il PCP condanna l’atteggiamento del Governo portoghese e del Presidente della Repubblica di allineamento alle imposizioni dell’Unione Europea e del suo direttorio delle potenze. Un atteggiamento che, contando sulla complicità del Partito Socialista (PS), mette in causa l’interesse nazionale, e denuncia l’obiettivo del proseguimento, in Portogallo, della politica di sfruttamento, di impoverimento e di sottomissione del Paese ai dettami del grande capitale, dell’Unione Europea e del FMI.
3. Indipendentemente da ulteriori analisi e sviluppi, le decisioni ora annunciate sono profondamente contrarie alle aspirazioni e agli interessi dei lavoratori e del popolo greco e alla volontà di cambiamento della politica espressa nelle elezioni del 25 gennaio e nel referendum del 5 luglio, e rappresentano la continuazione e l’approfondimento del percorso che ha portato la Grecia all’attuale situazione di catastrofe sociale ed economica e di dilapidazione delle sue risorse, patrimonio e ricchezze, e che la mantiene legata ai vincoli e condizionamenti del “Meccanismo di Stabilità Europea”, dell’Euro, del Trattato di Bilancio, della Governance economica e del FMI.
Il PCP registra che, di fronte alla dimensione e alla natura di debiti insostenibili, sono proprio le stesse istituzioni dell’UE ad ammettere la possibilità di modificare termini e interessi. Ma il PCP evidenzia e riafferma che la rinegoziazione del debito deve essere realizzata a favore dei lavoratori e del popolo e integrata in una politica di crescita economica, di risposta ai diritti sociali e di sviluppo sovrano e non a favore dei creditori e usata come moneta di scambio per più sfruttamento e impoverimento.
4. Ciò che il processo relativo alla Grecia dimostra e il metodo e le conclusione del Vertice dell’Euro comprovano è che una politica veramente democratica impegnata nei valori di giustizia e progresso sociale, di sviluppo sovrano e di democrazia, esige la rottura con i vincoli e i condizionamenti dell’Euro e dell’UEM, dettati dagli interessi del grande capitale finanziario e dal direttorio delle potenze dell’Unione Europea e profondamente attentatori della sovranità.
Un processo che dimostra non l’inevitabilità di una posizione di sottomissione davanti alle imposizioni e ai ricatti dell’Unione Europea, ma bensì la necessità della resistenza e della lotta per la rottura con politiche che consistono in diseguaglianze e nella regressione economica e sociale.
5. Il PCP esprime la sua solidarietà ai lavoratori e al popolo greco e alla sua lotta contro le politiche di sfruttamento, impoverimento e sottomissione che gli sono imposte dall’Unione Europea e dal FMI e dai governi che si sono succeduti al servizio del grande capitale.
6. L’evoluzione della situazione nell’Unione Europea e il processo riguardante la Grecia dimostrano la validità e la giustezza dell’analisi e delle proposte del PCP, in particolare in merito all’urgenza di una rinegoziazione del debito portoghese nei suoi termini, montanti ed interessi (ora riconosciuta da molti come inevitabile) e in merito alla necessità dello studio e della preparazione alla liberazione del Paese dalla sottomissione all’Euro, in modo da resistere a processi di ricatto e a garantire la sovranità monetaria, di bilancio ed economica.
In Portogallo, solo una politica patriottica e di sinistra può assicurare lo sviluppo e il progresso economico e sociale e rompere con il percorso di declino e di abdicazione nazionale che PS, PSD e CDS vogliono continuare. E’ su questo percorso di affermazione sovrana, che trova il suo sostegno nella volontà, intervento e forza del popolo portoghese, che il PCP è determinato a proseguire assumendo tutte le responsabilità che il popolo portoghese intenda attribuirgli.
Il PCP, confidando nella forza del popolo portoghese, e degli altri popoli d’Europa, nutre la profonda convinzione che sarà possibile costruire un’Europa di cooperazione tra Stati sovrani e uguali in diritti, di progresso, libertà e di pace, che faccia leva sui valori di solidarietà, di giustizia sociale, di democrazia e di rispetto reciproco.
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Il valore della solidarietà internazionalista
Editoriale di “Vermelho”, portale web del Partito Comunista del Brasile (PCdoB)
Traduzione di Marx21.it
La solidarietà internazionalista nella lotta per la giustizia sociale, la democrazia, la sovranità, l’autodeterminazione dei popoli e la pace mondiale guadagna rilievo per mezzo di eventi di ampia portata. Il tema assume uno spazio rilevante nell’iniziativa dei movimenti sociali.
Con l’animo rivolto alla riflessione e all’azione, rappresentanti dei movimenti sociali dell’America Latina e dell’Europa si incontreranno l’11 giugno al “Vertice dei Popoli”, a Bruxelles, parallelamente alla riunione dei capi di Stato e di Governo della Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (Celac) e dell’Unione Europea (UE). L’agenda abbraccia questioni di vasta portata, come il rispetto dei diritti della donna, l’attenzione alle minoranze, la lotta per lo sradicamento della povertà, il rispetto dei diritti umani, la difesa dell’ambiente e la lotta per la democratizzazione della comunicazione, tra le altre questioni rilevanti che, nel loro insieme, significano la ricerca di alternative a un ordine sociale che nel corso degli ultimi decenni è stato segnato da politiche settoriali e globali neoliberali e conservatrici.
La convocazione dell’evento segnala che nel momento in cui il mondo soffre gli effetti della crisi globale, il 99 per cento della popolazione del pianeta è colpita dalla politica che favorisce solo l’un per cento – la politica della cosiddetta austerità che aumenta i profitti privati, che è lontana dal rappresentare un beneficio per i popoli. Il testo mette in evidenza anche la resistenza e la lotta dei popoli, e richiama l’attenzione sul fatto che esiste un’alternativa alla prospettiva neoliberale di crisi.
Il Vertice dei Popoli esprime così la lotta solidale tra le forze progressiste e i movimenti sociali dell’America Latina e dell’Europa e gli sforzi congiunti per costruire alternative politiche ed economiche che favoriscano l’approfondimento della democrazia e il progresso sociale.
Con un’altra dimensione e avendo al centro un paese specifico, ma con lo stesso significato di solidarietà internazionalista, il Brasile ha ospitato a Recife, dal 4 al 6 giugno, la 22° Convenzione Nazionale di Solidarietà a Cuba, che ha deliberato in merito all’ampliamento e all’intensificazione della lotta per la fine del blocco degli Stati Uniti all’isola socialista e per la restituzione del territorio usurpato di Guantanamo.
Il valore della solidarietà internazionalista ha avuto rilievo anche nel Secondo Foro per la Pace in Colombia, svoltosi nella capitale dell’Uruguay, Montevideo, lo scorso fine di settimana (dal 5 al 7 giugno). Giustizia sociale, democrazia, sovranità, America Latina di pace e libera dal militarismo sono stati i concetti che hanno segnato i dibattiti e le deliberazioni, che hanno contato sulla presenza di rilevanti personalità, tra cui l’ex presidente uruguayano, Pepe Mujica.
Iniziative come queste sono sempre più necessarie in quanto espressione della resistenza multilaterale all’azione delle potenze imperialiste. Il ruolo delle organizzazioni di solidarietà internazionalista è ancora più rilevante quando si constata che l’imperialismo intensifica le politiche di oppressione nazionale e sociale, il militarismo e gli interventi bellici.
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La capitolazione di Palmira stravolge l’equilibrio geopolitico del Medio Oriente
da: http://www.marx21.it/internazionale/medio-oriente-e-nord-africa/25689-la-capitolazione-di-palmira-stravolge-lequilibrio-geopolitico-del-medio-oriente.html
di Thierry Meyssan
da www.voltairenet.org
Nel Medio Oriente la situazione si è notevolmente aggravata con l’interruzione da parte dell’Emirato Islamico (Isis) dell’antica “via della seta”, la via di passaggio dall’Iran al Mediterraneo. Ci sono solo due alternative possibili: o attraverso Deir el-Zor e Aleppo o attraverso Palmira e Damasco. Il primo percorso è interrotto dall’inizio del 2013, il secondo lo è appena diventato. La caduta di Palmira avrà conseguenze significative sull’intero equilibrio regionale.
La stampa occidentale in questi giorni dedica le sue prime pagine alla Siria, una situazione che non si verificava da due anni, dai tempi dei bombardamenti chimici della Ghouta e del progetto d’intervento della NATO. I giornalisti sono preoccupati per l’avanzata dell’Emirato islamico e per l’eventuale distruzione dell’antica città di Palmira.
Eppure pochi conoscono la storia della regina Zenobia, che nel terzo secolo d.C. − approfittando della debolezza di Roma, dalla quale i Galli si erano già affrancati − proclamò il proprio figlio imperatore e sé stessa reggente. Zenobia liberò non solo la Siria ma anche i popoli dell’Egitto, della Palestina, della Giordania, del Libano, dell’Iraq, una parte della Turchia e persino l’odierno Iran. La sua capitale, Palmira, era una città di grande raffinatezza culturale, aperta a tutte le religioni, una luminosa tappa nella via della seta che collega il Mediterraneo alla Cina. Tuttavia, forte di un colpo di Stato a Roma, l’imperatore Aureliano riuscì a ristabilire l’unità dell’impero romano, sconfiggendo l’imperatrice Zenobia e poi l’ultimo imperatore delle Gallie, Tetrico, prima di porre fine alla libertà religiosa, di imporre il culto del Sole Invitto e di proclamarsi Dio. Questa importante storia fa di Palmira il simbolo della resistenza orientale all’imperialismo occidentale di quel tempo.
È sorprendente l’importanza attribuita dalla stampa occidentale alla capitolazione di Palmira, tanto più che questa settimana la maggiore escalation di Daesh (l’ISIS) non si è verificata in Siria o in Iraq ma in Libia con la caduta di Sirte, città cinque o sei volte più popolata della siriana Palmira. Eppure gli stessi giornalisti che negli ultimi due mesi si pronunciavano ampiamente sulla situazione caotica della Libia, e richiedevano un intervento militare europeo per fermare il flusso di migranti, non ne hanno fatto parola. È vero che Daesh in Libia è sotto il controllo di Abdelhakim Belhaj, nominato governatore militare di Tripoli sotto l’egida della NATO e, il 2 maggio 2014, ricevuto ufficialmente a Parigi nella sede del ministero degli Esteri.
Per drammatizzare un po’, i giornalisti occidentali dichiarano all’unisono che ormai «Daesh controlla la metà della Siria» (sic) e tuttavia sono smentiti dalle loro stesse mappe, poiché esse mostrano solamente il controllo su alcune città e su alcune strade, non sulle regioni.
Chiaramente la risonanza mediatica della situazione nel cosiddetto “Medio Oriente allargato” non ha lo scopo di dar conto della realtà, ma di servirsi di alcuni elementi accuratamente selezionati per giustificare determinate politiche.
Daesh e la sfida di Palmira
Vorremmo che l’emozione sollevata dalla caduta di Palmira fosse sincera e che gli occidentali, dopo aver massacrato in un decennio diversi milioni di persone in questa regione, decidessero di porre fine a tali crimini. Ma noi non ci facciamo ingannare. Questa emozione a comando mira a giustificare una risposta militare contro Daesh o in relazione a Daesh: ciò è essenziale se Washington vuole ancora firmare l’accordo che ha negoziato per due anni con Teheran.
Infatti l’Isis è stato creato dagli Stati Uniti con il sostegno della Turchia, delle monarchie del Golfo e di Israele, come abbiamo sempre detto e come dimostra questa settimana un documento della Defense Intelligence Agency (DIA: la principale agenzia militare d’intelligence americana per l’estero, ndt) parzialmente desecretato, che potete scaricare in fondo a questa pagina.
Contrariamente alle assurdità di alcuni giornalisti che accusano il “regime di Bashar” (sic) di aver creato questa organizzazione per dividere gli oppositori e farli scivolare nel radicalismo, la DIA documenta che l’Emirato Islamico è funzionale alla strategia statunitense. Questo rapporto, datato 12 agosto 2012 e che ha avuto ampia diffusione in tutta l’amministrazione Obama, rivelava chiaramente i piani di Washington:
«Se la situazione si sbroglia, ci sarà la possibilità di instaurare un principato di salafiti, riconosciuto o no, a est della Siria (al-Hasaka e Deir el-Zor) − che è esattamente l’obiettivo dei sostenitori dell’opposizione [gli Stati occidentali, gli Stati del Golfo e la Turchia] − al fine di isolare il regime siriano, ritenuto la profondità strategica dell’espansione sciita (Iraq e Iran).»
Come abbiamo sempre detto, l’Emirato Islamico ha preso forma da una decisione del Congresso degli Stati Uniti, riunito in seduta segreta nel gennaio 2014 per realizzare il piano Wright. L’obiettivo era quello di creare un “Kurdistan” e un “Sunnistan” tra Siria e Iraq per interrompere la “via della seta” dopo la presa di Deir el-Zor (la città era stata presa da funzionari corrotti, senza combattere).
Sin da tempi antichissimi, un fascio di vie di comunicazione collegano Xi’an (l’antica capitale della Cina) al Mediterraneo. Questa strada collega l’Iran al mare attraverso il deserto, sia attraverso Deir el-Zor e Aleppo sia attraverso Palmira e Damasco. Oggi viene usata per il transito di armi verso la Siria e verso il libanese Hezbollah, inoltre dovrebbe essere usata per trasportare il gas del giacimento di Fars (Iran) verso il porto di Latakia (Siria).
Palmira − la “città del deserto” − non è solo la testimonianza di un passato meraviglioso, è un elemento strategico nell’equilibrio regionale. Questo è il motivo per cui è assurdo affermare che l’esercito arabo siriano non ha cercato di difenderla. In realtà, questo esercito si è comportato come fa sempre dall’arrivo dei mercenari nel paese: per ridurre al minimo le vittime civili, esso si ritira mentre quelli si muovono in piccoli gruppi coordinati (grazie ai mezzi di comunicazione che gli fornisce l’Occidente) e li colpisce quando si riuniscono.
La coalizione internazionale anti-Daesh, creata dagli Stati Uniti nell’agosto 2014, non ha mai combattuto gli jihadisti. Al contrario, è documentato − non una ma quaranta volte − che aerei occidentali hanno portato armi e munizioni all’Emirato Islamico.
Inoltre la cosiddetta Coalizione dei 22 Stati sostiene di avere un numero più elevato di uomini, meglio addestrati e dotati di attrezzature migliori rispetto a Daesh. Eppure non ha respinto l’Emirato Islamico, che invece continua a conquistare nuove strade.
L’evoluzione degli interessi americani
In ogni caso, Washington ha cambiato strategia. Come dimostra la nomina del colonnello James H. Baker a nuovo stratega del Pentagono, la pagina della strategia del caos è stata voltata: gli Stati Uniti sono tornati a una concezione imperiale classica, fondata su Stati stabili. E per firmare il loro accordo con l’Iran, ora devono evacuare l’Emirato Islamico dal Medio Oriente entro il 30 giugno.
La sproporzionata campagna mediatica sulla caduta di Palmira potrebbe essere solo una preparazione dell’opinione pubblica a un vero e proprio impegno militare contro l’Isis. Questo sarà il senso della riunione dei ventidue membri della Coalizione (e di due organizzazioni internazionali) a Parigi il 2 giugno. Nel frattempo il Pentagono dovrà decidere se distruggere l’Emirato Islamico o se trasferirlo altrove impiegandolo in altre attività. Sono ipotizzabili tre destinazioni: spostare gli jihadisti in Libia; in Africa nera o nel Caucaso.
In caso contrario, l’Iran non firmerà l’accordo e la guerra continuerà fino al suo punto più estremo, perché la presa di Palmira da parte degli jihadisti fabbricati dall’Occidente avrà le stesse conseguenze della sua capitolazione per mano delle legioni di Aureliano. Fin d’ora essa minaccia la sopravvivenza del cosiddetto “Asse della Resistenza“, la coalizione Iran-Iraq-Siria-Libano-Palestina.
Hezbollah sta pensando di dichiarare la mobilitazione generale.
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Aleksej Mozgovoj
da marx21: http://www.marx21.it/internazionale/area-ex-urss/25655-aleksej-mozgovoj.html
di Aleksej Bogachev
da kprf.ru
Traduzione dal russo di Mauro Gemma
Il leggendario comandante dei combattenti antifascisti del Donbass, Aleksej Mozgovoj, è stato vigliaccamente ucciso in un attentato.
Per ricordare la figura di Mozgovoj, il sito del Partito Comunista della Federazione Russa ha ospitato un articolo, in cui vengono illustrate le ragioni che motivavano il suo coraggioso impegno.
“Mentre ci opponiamo con le armi al genocidio del popolo russo sul territorio dell’ex Ucraina, come nessun altro avvertiamo la mancanza di norme legali che riguardino la più grande nazione divisa al mondo” – si legge in un documento firmato dai comandanti popolari. “E nonostante la differenza dei termini “maledetto moskal” (“moskal” è termine usato in modo dispregiativo per indicare i cittadini russi e russofoni in Ucraina, ndt) e “popolazione di lingua russa”, la tendenza appare una sola: la spersonalizzazione e la disintegrazione del popolo russo… Il tempo ha dimostrato che solo in presenza di un progetto nazionale e del consolidamento del popolo russo è possibile rispondere alle minacce che dobbiamo affrontare oggi” (http://www.regnum.ru/news/polit/1926116.html).
Il nemico ha assassinato uno dei più popolari difensori dell’idea di civiltà russa. Ma Mozgovoj non ha difeso solo l’idea russa, ma anche, in una certa misura, l’idea sovietica! E’ stato uno dei pochi che, con decisione e apertamente, si è opposto al potere degli oligarchi e si è espresso per la lotta di classe. Così, in una teleconferenza con Kiev aveva chiaramente dichiarato: “Noi stiamo combattendo… ma non contro il popolo ucraino. Noi combattiamo soprattutto per la giustizia, per l’onestà, affinché non esista l’oligarchia nella nostra società e non eserciti il potere, perché affari e potere rappresentano una miscela pericolosa”.
Sostenendo ciò, Mozgovoj era diventato nemico personale dei vampiri di ogni genere che si trovano su entrambi i lati della frontiera russa. Infatti stava mettendo in pratica un punto essenziale del Programma del Partito Comunista della Federazione Russa e delle forze popolari-patriottiche della Russia, quello relativo alla necessità di collegare la lotta di liberazione nazionale con la lotta sociale e di classe. Sono convinto che sia stato ucciso soprattutto per questa ragione. Ora il sacro dovere di ciascuno di noi è quello di raccogliere la bandiera del comandante di brigata Mozgovoj e combattere per la causa, sul cui altare ha sacrificato la propria vita.
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Baltimora brucia…
http://www.marx21.it/internazionale/stati-uniti-e-canada/25534-baltimora.html
di Mauro Gemma
Baltimora brucia dopo le ennesime violenze razziste della polizia USA e un altro assassinio di un cittadino nero. 5.000 militari della Guardia Nazionale mobilitati. Utilizzato tutto l’arsenale repressivo. Botte, arresti, feriti che non si contano più, mentre l’incendio si propaga a tutto il paese. In decine di città si svolgono manifestazioni imponenti, con la partecipazione di movimenti antirazzisti e radicali e parole d’ordine di denuncia delle politiche, non solo razziali, ma anche sociali (che con quelle razziali si intrecciano strettamente) del governo statunitense. Anche in questo caso la polizia distribuisce botte a non finire, in particolare a New York. Eppure della portata gigantesca della protesta americana, da noi giungono solo gli echi.
La consegna tra gli operatori dell’apparato mediatico, in particolare quelli più vicini al governo a guida PD, è minimizzare il significato della protesta e allineare la nostra opinione pubblica alla versione ufficiale fornita dalle autorità USA: quella secondo cui “occorre mettere fine alla violenza”.
E allora, più che le immagini e i contenuti della manifestazione, ecco che le nostre televisioni preferiscono diffondere fino alla noia le immagini della madre che prende a schiaffoni il figlio che partecipa alla protesta oppure quelle del “veterano del Vietnam” che “coraggiosamente” cerca di fermare i manifestanti, inneggiando ai “valori sani” della società yankee. Un’operazione propagandistica francamente penosa. Condotta da coloro che, senza alcun rispetto della deontologia professionale, nei mesi scorsi, non hanno esitato a schierarsi dalla parte dei criminali fascisti che hanno seminato la morte nelle piazze di Kiev e di Caracas, oppure a descrivere il popolo di Hong Kong, che si opponeva alla gazzarra dei teppisti foraggiati da Washington, alla stregua di sgherri della “triade” cinese.
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Via della seta e collaborazione russo-cinese
nota e traduzione a cura di Diego Angelo Bertozzi per Marx21.it
Un accordo momentaneo che presto lascerà spazio ad una insopprimibile e quasi naturale rivalità: sono molti gli studiosi che ritraggono in questo modo la crescente intesa tra Mosca e Pechino. La volontà politica sottostante è chiara: da un lato ridurre la portata delle conseguenza della politica estera dell’amministrazione Obama, tra le quali, appunto, la convergenza politica di due potenze mondiali ritenute proprie rivali, dall’altro impedire che proprio tale convergenza si trasformi in una alleanza di fatto, in una collaborazione strategica in grado di fungere da nucleo centrale (si pensi alla Shanghai Cooperation Organisation o al forum Brics) di collaborazioni internazionali sempre più ampie e alternative a quelle forgiate dal cosiddetto Washington Consensus. Il timore coltivato sulle rive del Potomac è comprensibile: sarebbe l’avverarsi dell’incubo “Vestfaliano”, cioè di un ordine internazionale libero dall’ipoteca dell’unilateralismo (politico e bellico) statunitense e imperniato sul rispetto della sovranità e integrità nazionale nonché sulla libera scelta della via di sviluppo economico e sociale da intraprendere. Una prossima “Vestfalia con caratteristiche cinesi”, annunciava nell’estate 2014 un preoccupato National Interest, porrebbe fine ai sogni interventisti delle potenze occidentali!
In questo quadro vanno lette le tante prese di posizione e gli studi sulle rivalità tra Mosca e Pechino tanto in Asia orientale, quanto, soprattutto, nell’Asia centrale ex-sovietica ritenuta il “cortile di casa” russo, oggetto di una indebita e pericolosa ingerenza politica ed economica cinese.
L’articolo che qui riportiamo[1], che riassume le posizioni di noti studiosi russi, va, invece nell’altro senso: quello di una sempre più approfondita collaborazione anche in aree geografiche assai “sensibili”. Una prospettiva In linea con quanto già prefigurato da Dimitry Mezentsev, segretario generale della Shanghai Cooperation Organisation: le strategie economiche nazionali dei Paesi membri dovranno essere coordinate, nell’ambito di un piano di sviluppo decennale, con il progetto cinese di Nuova Via della Seta.
Diego Angelo Bertozzi
La via della Seta terreste e marittima cinese porterà benefici alla Russia
La Russia dà il benvenuto alle iniziative cinesi relative alla costruzione della Nuova Via della seta e della Via della Seta marittima del 21° secolo (note anche come “One Belt, one Road), che come sostengono diversi esperti, potrebbero portare più vantaggi che danni allo sviluppo generale della Russia.
Le sessioni annuali degli organi consultivi legislativi e politici della Cina popolare hanno recentemente adottato piani di sviluppo sociale economico, che indicano nello sviluppo delle iniziative collegate nel progetto “One Belt” e “One Road” come una delle “tre strategie chiave” del Paese e hanno espresso la volontà di una loro efficace messa in opera.
Tese a intensificare la connettività regionale attraverso il rafforzamento delle infrastrutture di trasporto, gli investimenti e il commercio, la cooperazione finanziaria e gli scambi culturali, le due iniziative richiedono uno sforzo di tutti i Paesi che si trovano lungo le rotte.
Secondo Vasiliy Kashin, un esperto ricercatore del Centro per l’analisi di strategie e tecnologie, il progetto cinese di Nuova Via della Seta può aiutare la Russia a ridurre la sua dipendenza dai mercati europei e affrontare la difficile congiuntura legata all’imposizione di sanzioni da parte dell’Occidente.
“Entrambe (“One Belt e One Road”) possono dirigere gli investimenti nelle infrastrutture che collegano la Russia con l’Asia e permettere alla Russia l’ampliamento di esportazioni di prodotti non energetici come grano, metalli, prodotti chimici e altro”, ha dichiarato Kashin in una recente intervista concessa a Xinhua.
Pur ammettendo la presenza di preoccupazioni su una inutile e perniciosa concorrenza in Asia centrale e sui possibili impatti del progetto “One Belt-One Road” sull’Unione eurasiatica guidata dalla Russia, Kashin ritiene che ulteriori negoziati e consultazioni dovrebbero puntare alla creazione di meccanismi di coordinamento tra i progetti di integrazione regionale condotti dai due Paesi.
Un parere simile è stato espresso anche da Petr Mozias, della Università Nazionale di Ricerca di Economia, che ha sottolineato come gli interessi della Russia potrebbero essere raggiunti e non danneggiati se il governo russo mostra atteggiamento attivo sia in termini economici che geopolitici.
“Le iniziative cinesi offrono opportunità alla Russia a condizione che essa partecipi alla realizzazione concreta delle strategie”, ha detto Mozias a Xinhua, aggiungendo che la partecipazione della Russia ad entrambe si potrebbe configurare come uno degli strumenti per diversificare la sua economia.
Dal momento che oggi la Russia è sottoposta alle sanzioni occidentali “che non saranno revocate o significativamente ridotte per molti anni a venire”, Kashin ha suggerito che la Russia dovrebbe cogliere l’opportunità e attrarre investimenti cinesi in infrastrutture, energia e produzione, nonché coordinare progetti economici nel Asia centrale.
Mozias ha anche detto che il settore navale della Russia e lo sviluppo delle vie di trasporto marittimo potrebbero beneficiare proprio delle iniziative della Cina, tanto che potrebbe essere ampliato l’accesso russo ai mercati esteri.
In una situazione che vede il rapporto Russia-Cina raggiungere “il periodo migliore nella storia”, entrambi gli esperti ritengono che le iniziative “One Belt-One Road” potrebbero condurre i due Paesi ad una interdipendenza sempre più stretta.
Secondo Kasin, i due Paesi che hanno ora bisogno di discutere e creare una infrastruttura finanziaria che consenta di proteggere il commercio bilaterale da pressioni esterne e interferenze: “La Russia è particolarmente interessata alla cooperazione con la Cina in materia di finanza, tra cui l’aumento degli scambi commerciali in entrambe le valute nazionali e l’accesso ai finanziamenti da parte delle banche cinesi”.
[1] China’s land-sea silk road initiatives to benefit Russia, Xinhua 23 marzo 2015
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A rischio le relazioni tra USA e Repubblica Ceca
di Mauro Gemma
Dura polemica tra il presidente della Repubblica Miloš Zeman e l’ambasciatore USA a Praga
La decisione del presidente della Repubblica Ceca Miloš Zeman di accettare l’invito del presidente russo Putin a recarsi a Mosca in occasione delle celebrazioni del 70° anniversario della vittoria contro il nazifascismo, è stata l’occasione dell’innesco di una dura polemica con l’amministrazione statunitense che rischia di incrinare seriamente le relazioni tra i due paesi.
Con la solita arroganza che caratterizza l’atteggiamento statunitense nei confronti di chi dà segni di insofferenza nei confronti delle pretese egemoniche dell’imperialismo USA, l’ambasciatore a Praga Andrew Schapiro aveva criticato l’accettazione dell’invito russo da parte di Zeman, come “miope” e “imbarazzante”, dal momento che il presidente ceco sarebbe stato il primo capo di Stato di una nazione dell’Unione Europea a dichiarare di voler essere presente alla parata del 9 maggio a Mosca.
La reazione del presidente ceco non si è fatta attendere. Zeman ha così dichiarando senza mezzi termini, in un’intervista concessa al portale web Parlamentni Listy, che a nessun ambasciatore di altre nazioni sono permesse ingerenze accompagnate da avvertimenti in merito alle sue visite all’estero. “Temo che le porte del Castello di Praga saranno sbarrate all’ambasciatore”. Il Castello di Praga è la sede della residenza presidenziale. Una manifestazione di dignità e orgoglio nazionale che dovrebbe essere d’esempio anche per le nostre massime autorità di governo, che non hanno avuto nemmeno il coraggio di reagire a una sfacciata provocazione del presidente dell’Estonia che è arrivato a definire gli italiani (e i greci) “utili idioti di Putin”http://comunicati.russia.it/il-presidente-dell-estonia-da-agli-italiani-e-greci-degli-utili-idioti-di-putin-all-interno-dell-ue.html
“Non riesco proprio a immaginare che l’ambasciatore ceco a Washington possa lanciare avvertimenti al presidente USA in merito a dove debba viaggiare”, ha aggiunto Zeman, precisando che “non sarà permesso a nessun ambasciatore di interferire in merito ai programmi dei viaggi all’estero presidenziali”.
Sempre nell’intervista, Miloš Zeman ha definito questo intervento USA come uno dei tanti tentativi di isolare la Russia. Per il presidente, al contrario, “è essenziale conservare e sviluppare le relazioni con la Russia non solo sul piano commerciale, ma anche con una partnership strategica nella lotta contro il terrorismo internazionale”.
Zeman, in precedenza, aveva dichiarato che la sua visita in Russia vuole rappresentare anche “un gesto di gratitudine per il fatto che non ci troviamo a dover parlare tedesco nel nostro paese”.
Le frizioni tra i due paesi non sono limitate all’episodio della visita presidenziale a Mosca. Nelle settimane scorse, in previsione dell’arrivo del convoglio militare NATO, con la partecipazione di centinaia di mezzi militari, denominato “Cavalcata del drago”, che, snodandosi dalle Repubbliche Baltiche, si è spinto fino alla Repubblica Ceca, con la manifesta intenzione di rappresentare un minaccioso segnale di sfida nei confronti della Russia, il presidente Zeman non aveva mancato di criticare severamente l’iniziativa voluta in particolare dall’amministrazione di Washington, che è stata anche accompagnata da forti manifestazioni di protesta, animate da gruppi pacifisti e dai militanti del Partito Comunista di Boemia e Moravia.
Il contenzioso apertosi tra le due nazioni accentua l’incrinatura che, dopo il golpe del febbraio 2014 in Ucraina, è venuta manifestandosi tra i paesi ex socialisti oggi appartenenti alla NATO. Mentre le Repubbliche Baltiche (dove l’isteria contro la Russia dilaga anche con la discriminazione delle minoranze etniche e dove si glorifica il nazifascismo e i partiti comunisti sono messi al bando) e la Polonia (con l’opposizione del piccolo partito comunista e di alcuni gruppi informali, ma anche con le riserve dell’opposizione socialdemocratica nel parlamento http://www.marx21.it/internazionale/area-ex-urss/25347-anche-i-socialdemocratici-polacchi-sono-preoccupati-per-la-rinascita-e-lesaltazione-del-fascismo-in-ucraina.html) sono allineate alle posizioni più oltranziste e minacciose nei confronti della Russia, a rimorchio dei “falchi” statunitensi, in altri paesi dell’Europa centro-orientale, le perplessità ad accodarsi alla campagna guerrafondaia della NATO sembrano manifestarsi con frequenza.
E’ quello che avviene in Ungheria, dove incidono le preoccupazioni sulla sorte della minoranza magiara in Ucraina e le strette relazioni commerciali in corso con la Federazione Russa, che hanno inciso nel limitare, almeno parzialmente, le conseguenze della crisi economica che ha colpito con durezza questo paese. E anche in Romania (che pure è fedele alleato degli USA) non sono mancate le reazioni preoccupate per lo stato in cui versa la minoranza romena in Ucraina, minacciata di discriminazioni dalla politica di esasperato nazionalismo attuata dall’attuale dirigenza di Kiev. In Bulgaria, poi, le perplessità ad accodarsi supinamente alla strategia di Washington, sono determinate dall’esistenza di tradizionali legami storici e culturali con la Russia. Segnali che anche il movimento pacifista e le sinistre dell’Europa Occidentale farebbero bene a non sottovalutare.
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Come si è arrivati all’accordo sul nucleare iraniano
Alla vigilia della firma, le riflessioni di Demostenes Floros, a confronto con altri analisti a TGcom24
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Gli USA e i Sauditi in soccorso di Daesh e Al Qaeda nello Yemen
DA: http://www.marx21.it/internazionale/medio-oriente-e-nord-africa/25364-gli-usa-e-i-sauditi-in-soccorso-di-daesh-e-al-qaeda-nello-yemen.html
di Bahar Kimyongur
da www.michelcollon.info
Traduzione di Marx21.it
Nel mondo arabo e musulmano, niente di nuovo. Ci si batte tra arabi e musulmani la più grande gioia dei nemici americani e israeliani. Gli Stati Uniti e i Sauditi sono all’offensiva in tutti i paesi che resistono, soprattutto in Siria, in Iraq e nello Yemen.
In Siria, le forze saudite attaccano su due fronti: il Nord e il Sud.
A Nord, la città lealista e in maggioranza sunnita di Idlib è accerchiata dalle milizie legate a Al Qaeda. Queste milizie utilizzano armi americane, in particolare missili TOW per avere la meglio sulla resistenza dell’esercito siriano e delle forze popolari che difendono la loro città e le loro terre. Uno dei comandanti di Al Qaeda dell’operazione di Idleb è uno sceicco saudita chiamato Abdallah al Mouhaisni.
A Sud, c’è l’antica città di Bosra el Sham, nel cui cuore si erge un anfiteatro romano, che rischia di cadere nelle mani di una coalizione di gruppi jihadisti pilotata dal Fronte al Nusra, filiale di Al Qaeda in Siria.
Mentre il comando americano si sciacqua la bocca con discorsi anti-terroristi, nessun aereo dell’asse USA/UE/CCG (*) si è levato in volo nel cielo siriano sopra Idleb e Bosra el Sham.
Come rivela il dispaccio Reuters del 23 marzo scorso, gli eserciti occidentali hanno persino intensificato le loro forniture di armi a Al Qaeda sul Fronte Sud. E’ attraverso la frontiera giordano-siriana che queste armi, per la maggior parte offerte dall’Arabia Saudita, il più grande importatore di armi al mondo, pervengono alla coalizione anti-Assad del Fronte Sud. Israele non è da meno, poiché anche fonti ufficiali riconoscono che fornisca aiuto alle forze anti-Assad, tra cui Al Qaeda sul Monte Bental nelle colline del Golan (Yaroslav Trofimov, Wall Street Journal, 12 marzo 2015).
In tal modo, le nostre anime belle occidentali innamorate dell’arte e della raffinatezza, le stesse che si lamentano per la distruzione dei musei e del patrimonio dell’Oriente da parte di Daesh, offrono a Al Qaeda Bosra el Sham, una antica città patrimonio mondiale dell’UNESCO.
In Iraq, gli USA avvertono che stanno perdendo il controllo della resistenza contro Daesh. Forze curde, sciite e sunnite appoggiate dal vicino e alleato iraniano sono riuscite a formare un’alleanza anti-terrorista che sta portando i suoi frutti.
Molte città e villaggi delle province di Salaheddine e Anbar sono state così liberate dalla presenza terrorista. Temendo questa unità che va oltre le etnie e le confessioni, l’aviazione USA ha bombardato le posizioni di Daesh nella città di Tikrit nel timore di perdere terreno in questo paese diventato alleato dell’Iran.
A questo intervento USA a Tikrit non hanno partecipato le milizie sciite che rifiutano ogni forma di alleanza con Washington.
Anche i miliziani legati all’Esercito del Mahdi di Moqtada Sadr e alle Brigate degli Hezbollah iracheni hanno deciso di ritirarsi dai combattimenti.
Sul fronte di Tikrit, non c’è dunque collaborazione, come lasciano intendere numerosi analisti mainstream, ma concorrenza tra l’Iran e gli USA, un po’ come quella che esisteva tra l’Esercito sovietico e le truppe del generale Patton di fronte all’Impero hitleriano.
Per ostilità atavica nei confronti dell’Iran, i Sauditi da lungo tempo incoraggiano Daesh. Oggi la dinastia wahabita ha un timore crescente del prestigio accumulato da Teheran presso le popolazioni della Siria e dell’Iraq che vivono sotto il giogo di Daesh.
E’ finalmente nello Yemen, il loro cortile di casa, che i Sauditi hanno deciso di lanciare i loro bombardieri contro la resistenza anti-Daesh.
Precedentemente campo di battaglia tra marxisti e panarabi da una parte e forze reazionarie filo- saudite dall’altra, lo Yemen è oggi il teatro di una guerra dei filo-sauditi con le milizie houthi di ispirazione sciita.
Negli ultimi giorni, le milizie houthi di Ansar Allah hanno attuato un’avanzata spettacolare verso Aden, la grande città del Sud dello Yemen dove si era rifugiato il presidente deposto e agente saudita Abd Rabbo Mansour Hadi.
Contrariamente a ciò che affermano i media occidentali, le milizie houthi non conducono una politica confessionale ma assolvono a una missione patriottica.
Malgrado la loro identità confessionale, coltivano una visione panislamica e panaraba, guadagnando così la simpatia di un largo settore dell’esercito nazionale yemenita, e anche della Guardia repubblicana e di numerose tribù sunnite, il che spiega la loro travolgente avanzata.
Mentre Daesh massacra circa 200 sciiti in un attacco kamikaze alle moschee, il regime wahabita lancia un’operazione militare aerea contro i ribelli dello Yemen.
Non è stato il ministro saudita della difesa, il principe Mohammed Bin Salman, e neppure il Re dell’Arabia Saudita, Salman Ben Abdel Aziz, ad annunciare l’entrata in guerra contro la sovranità dello Yemen, ma l’ambasciatore saudita a Washington. Lo scenario è degno di un film arabo di serie B.
Per ora, i media arabi, in particolare Al Mayadeen, parlano di una ventina di civili yemeniti massacrati dai bombardamenti sauditi.
Dai tempi dell’eroe terzomondista egiziano Gamal Abdel Nasser, il regime collaborazionista e decadente dei Sauditi combatte le forze della sinistra arabe (marxiste, nazionaliste, panarabe) con l’appoggio USA.
Dopo avere distrutto le ultime vestigia del socialismo arabo, i Sauditi se la prendono ora con le uniche forze della resistenza panaraba ancora presenti, da Hezbollah libanese ad Ansar Allah yemenita, passando per il Baath siriano.
In un’articolo allarmista apparso nel Washington Post il 23 novembre 2012, la segretaria di Stato USA dell’era Bush, Condoleeza Rice, aveva definito l’Iran come “Karl Marx di oggi”.
Se l’Iran equivalesse a Marx come afferma questo falco dell’imperialismo USA, allora il regime dei Sauditi incarnerebbe dopo la sua creazione nel 1744 la controrivoluzione e la tirannia di Adolphe Tiers, l’affossatore della Comune di Parigi.
*CCG: Consiglio di Cooperazione del Golfo, Alleanza che raggruppa le 6 petromonarchie del Golfo.
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La Federazione Internazionale dei Resistenti sulla situazione in Ucraina
da www.fir.at | Traduzione di Marx21.it
La Federazione Internazionale dei Resistenti (FIR) (link), l’organizzazione che raccoglie le associazioni europee degli ex combattenti delle formazioni partigiane impegnate nella lotta contro il nazifascismo (a cui aderisce anche l’ANPI) ha diffuso una dichiarazione dopo la sigla degli ultimi accordi di Minsk per un regolamento pacifico del conflitto nel Donbass
La Federazione Internazionale dei Resistenti, in quanto organizzazione che raggruppa le organizzazioni degli ex partigiani e combattenti della coalizione anti-hitleriana, dei perseguitati dal regime nazista con le proprie famiglie, nonché degli antifascisti di oggi, in qualità di “Ambasciatore di pace” delle Nazioni Unite di fronte alla situazione attuale in Ucraina si vede costretta a diffondere la seguente dichiarazione:
Chiediamo la protezione di tutte le persone in questo paese, che la cessazione del fuoco annunciata venga rispettata da tutte le parti.
Sosteniamo gli accordi di Minsk e ci aspettiamo che su tale base siano portate avanti serie trattative politiche riguardanti la vita, l’autonomia e i diritti di libertà di tutti gli abitanti di questo paese.
Consideriamo la vendita delle armi e le altre interferenze esterne come tentativi di estendere la guerra civile e il confronto militare a spese del popolo.
Sosteniamo la risoluzione proposta dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che rende responsabile la comunità mondiale nel processo di pace.
In particolare, ci aspettiamo che l’Unione Europea, schierandosi contro inutili sanzioni, svolga un ruolo costruttivo di pace, basato sulla parità di livello in Ucraina e sul rifiuto delle forze nazionaliste e neo-fasciste in Ucraina piuttosto che sul sostegno a queste.
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Vince Netanyahu, Israele sceglie la destra e l’occupazione
http://www.comunisti-italiani.it/2015/03/18/vince-netanyahu-israele-sceglie-la-destra-e-loccupazione/
Israele va sempre più a destra. I risultati delle elezioni in Israele non cambiano – come era facile pronosticare – la vera natura della politica coloniale di questo stato. L’unica novità vera di questa tornata elettorale è l’unità della lista dei palestinesi, che ha avuto 14 seggi divenendo così la terza forza nella Knesset. Un segnale a tutti i palestinesi e alle loro leaderships.
La vittoria del Likud (30 seggi), contro ogni pronostico degli ultimi giorni, è la prova concreta della schizofrenia della politica israeliana. Una società assediata o meglio auto assediata dalla paura e dal complesso dominante della sicurezza, inventato e studiato a tavolino, dai governanti israeliani di destra, di centro destra, come di sinistra e di centro sinistra. Sentimenti infatti presenti anche nella coalizione Campo sionista (24 seggi), che in queste settimane di campagna elettorale non ha mai affrontato il nodo dei rapporti con i palestinesi.
Paura e insicurezza, in uno stato che viene considerato la prima potenza regionale e la quarta potenza mondiale, dotato di 200 testati atomiche. E davvero difficile da comprendere da dove e da chi dovrebbe venire questa minaccia.
L’elettorato israeliano, confermando la sua preferenza per Netanyahu, ha preferito lo status quo, la perpetuazione di una occupazione criminale e selvaggia. Non che con Herzog ci sarebbe stata una sostanziale novità, lo stesso nome scelto dalla coalizione parla alla storia di questi decenni, ma sarebbe innegabilmente stato un segnale diverso, verso un certo tipo di moderazione, meno aggressivo e meno intollerabile (anche se altrettanto pericoloso).
Alla luce dei risultati elettorali, il presidente israeliano Reuven Rivlin smentendo le prime dichiarazioni fatte sulla base delle proiezioni che vedevano le due principali forze su un sostanziale pareggio, riconsegnerà a Netanyahu l’incarico di formare il nuovo governo. Un esecutivo che come ha dichiarato il leader del Likud guarderà decisamente a destra.
Si prospetta così un governo di destra con Netanyahu presidente del governo, con gli alleati di Focolare Ebraico, il partito dei coloni di Naftali Bennet, i centristi di Kulanu, di Moshe Khalon (ex Likud ed ex ministro di Netanyahu), Yisrael Beiteinu del falco ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, la destra religiosa sefardita dello Shas di Aryeh Deri, e quella dello United Torah Judaism. Sulla carta quindi 67 deputati sui 120 della nuova Knesset.
Rimane il nocciolo duro della questione palestinese, condannata all’attesa e allo stallo. Con il voto di ieri Israele ha detto no alle trattative, a chiuso le porte in faccia a qualsiasi ipotesi negoziale. Quale dovrà essere la risposta dei palestinesi? Aspettare che Israele risolvi i suoi problemi interni, mentre l’occupazione continua ad uccidere giorno dopo giorno? Dalle prime dichiarazioni fatte alla luce dei risultati di questa notte risulta che leadership palestinese, è determinata ad andare avanti con il suo programma di internazionalizzazione della causa palestinese, a tutti i livelli, dal Tribunali penale internazionale, al Consiglio di sicurezza, per il pieno riconoscimento dello Stato di Palestina. Nello stesso tempo si deve alzare il livello della campagna internazionale del Bds e contemporaneamente intensificare la lotta popolare contro l’occupazione, la colonizzazione e contro il muro.
di Bassam Saleh
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I comunisti brasiliani si mobilitano per sbarrare la strada alle manovre golpiste
Editoriale di José Reinaldo Carvalho
Editor di “Vermelho”
Traduzione di Marx21.it
Il 13 marzo, in numerose città del Brasile si sono svolte imponenti manifestazioni popolari a sostegno del mandato presidenziale di Dilma Rousseff, la cui piena legittimità democratica è messa in discussione dai tentativi di natura apertamente golpista delle opposizioni della destra neoliberista, che cerca di strumentalizzare uno scandalo che ha coinvolto i vertici del colosso petrolifero statale Petrobras. Nelle manifestazioni, che hanno visto la partecipazione di molti movimenti sociali attivi nel paese, ha avuto un ruolo trainante il Partito Comunista del Brasile (PCdoB), presente nei cortei con migliaia di suoi militanti.
Alla vigilia dell’evento, nel prestigioso portale web comunista “Vermelho” è stato pubblicato un editoriale del suo editor, José Reinaldo Carvalho, che proponiamo ai nostri lettori.
Notizie, video e foto delle imponenti manifestazioni a sostegno di Dilma Rousseff
http://www.vermelho.org.br/noticia/260555-6
http://www.vermelho.org.br/noticia/260556-1
http://www.vermelho.org.br/noticia/260558-1
Il Brasile sta vivendo un momento cruciale della sua storia, di intensa polarizzazione politica. Le forze sconfitte in quattro successive elezioni presidenziali, il particolare il PSDB e i suoi alleati, hanno deciso di ricorrere alle manovre politiche più turpi, che non escludono le offese di più infimo livello alla più alta carica della nazione, le minacce fasciste, l’istigazione all’odio e il tentativo golpista rappresentato dall’irrealistica proposta di impeachment della presidente della Repubblica.
Queste forze politiche fanno parte del consorzio dell’opposizione a cui partecipa anche un conglomerato di media che si sono trasformati in un laboratorio di intrighi e menzogne.
Ad ogni costo queste forze vogliono impedire che il capo del governo e dello Stato eserciti il suo mandato, conquistato legittimamente in base alla decisione della maggioranza dell’elettorato nell’ultima consultazione presidenziale, e applichi il programma vittorioso. Pretendono così di interrompere, attraverso un golpe giudiziario, legislativo o in qualsiasi altra forma che senza alcun ritegno e in modo sfrontato riceve la denominazione di “golpe soave”, il ciclo politico progressista iniziato a partire dalla prima elezione di Lula, nel 2002.
In nome della lotta alla corruzione hanno montato un’operazione di polizia e giudiziaria in cui si mischia il grano con il loglio e i metodi di inchiesta e i riti processuali dell’operazione Lava Jato (in merito allo scandalo di corruzione che ha investito il colosso petrolifero Petrobras, ndt) e della commissione di inchiesta del Legislativo convivono con abusi di ordine giuridico, demagogia di bassa lega nello stile dell’opera buffa, dove ciò che importa non è la lotta propriamente detta alle ruberie nei confronti dell’erario, ma la criminalizzazione delle forze di sinistra e del governo, con accuse false, amplificate dai media.
L’essenza di tutta l’offensiva consiste nel colpire le conquiste democratiche, la sovranità del paese e l’economia nazionale, che si vorrebbe vedere controllata dal capitale finanziario internazionale.
Si sta ingannando chi si lascia confondere dalla demagogia del PSDB e dei suoi alleati quando si esercitano nella propaganda alla televisione “difendendo” diritti del lavoro che sarebbero violati da quella che designano come “appropriazione indebita elettorale” della presidente Dilma.
Nella polarizzazione politica attuale non ci sono mezzi termini. O si difende in maniera conseguente il mandato della presidente Dilma o si fa il gioco del nemico della democrazia e della patria.
Le forze progressiste e i movimenti popolari saranno nelle strade il 13 marzo per difendere la democrazia, il che implica respingere il tentativo golpista e le proposte di impeachment e appoggiare il mantenimento del mandato presidenziale; fanno parte delle rivendicazioni che i movimenti sociali portano nelle strade la difesa di Petrobras come espressione della forza dell’economia nazionale, la lotta per la riforma politica democratica e per la conservazione delle conquiste del lavoro.
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Voci contro la guerra dall’Ucraina occidentale
https://www.youtube.com/watch?v=d0SYWQ0OcTY
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I comunisti portoghesi in merito all’accordo dell’Eurogruppo sulla Grecia
da www.pcp.pt | Traduzione di Marx21.it
http://www.marx21.it/internazionale/europa/25189-i-comunisti-portoghesi-in-merito-allaccordo-delleurogruppo-sulla-grecia.html
Nota dell’Ufficio stampa del Partito Comunista Portoghese (PCP)
20 febbraio 2015
Il PCP denuncia l’intero processo di ricatti, pressioni e imposizioni che circonda l’accordo ora annunciato, in cui risulta ben evidente l’ipocrisia dell’Unione Europea e dei suoi principali responsabili.
Indipendentemente da un’ulteriore analisi del contenuto e delle conseguenze di tale accordo, ciò che emerge in questo processo è che gli orientamenti e i limiti imposti dall’Unione Europea e dall’Unione Economica e Monetaria rappresentano inaccettabili vincoli allo sviluppo di politiche a favore dei legittimi interessi e aspirazioni dei popoli, rispettose della loro volontà e sovranità.
Ciò che l’attuale accordo testimonia è non solo la natura e gli obiettivi della politica dell’Unione Europea di intensificazione dello sfruttamento e di riduzione dei diritti dei lavoratori e dei popoli, ma anche l’evidente imposizione di limiti ad affrontare tali obiettivi senza affermare coerentemente il diritto di ogni popolo a una scelta sovrana.
Il PCP esprime la sua solidarietà ai lavoratori e al popolo greco e valorizza il ruolo della sua lotta, come pure il ruolo della lotta dei rimanenti popoli d’Europa, per la difesa e la conquista di diritti e del miglioramento delle proprie condizioni di vita che, come l’accordo ora annunciato dimostra ancora una volta, sono sistematicamente negati dai fondamenti e dalla natura del processo di integrazione capitalista in Europa.
Il PCP condanna il comportamento del governo portoghese che si è vergognosamente dimostrato come uno dei più devoti esecutori dell’offensiva scatenata dall’Unione Europea che mira all’imposizione della continuazione di queste politiche di regressione sociale e impoverimento. Un comportamento tanto più condannabile in quanto contrario all’interesse e alla dignità nazionali.
Ciò che tale processo sta confermando è che solo una politica alternativa, patriottica e di sinistra può promuovere in Portogallo lo sviluppo e il progresso economico e sociale e rompere con il corso di declino in cui il Paese è stato trascinato. E’ il corso dell’affermazione sovrana che il PCP propone e che è determinato a percorrere assumendo tutte le responsabilità che il popolo intenda attribuirgli e che si fonderà sempre sulla volontà, l’intervento e la forza dei lavoratori e del popolo portoghese.
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Le repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk si battono per la libertà, la dignità, l’indipendenza
da kprf.ru | Traduzione dal russo di Mauro Gemma
Dalla conferenza stampa di Ghennady Zyuganov, presidente del Partito Comunista della Federazione Russa (PCFR), 17 febbraio 2015
“Si sono svolte nuove trattative a Minsk. Apparentemente su tutto ci si sarebbe accordati. E tuttavia, continuano i bombardamenti. Il che avrebbe dovuto indurre la giunta a Kiev e i suoi protettori americani a dare l’ordine ai soldati ucraini a Debaltsevo di consegnare immediatamente le armi e a tornarsene a casa! E invece si continua a utilizzare soldati e ufficiali come carne da cannone”, ha affermato emozionato il leader del PCFR.
“Il capo dello Stato e militare della Repubblica Popolare di Donetsk Aleksandr Zakharchenko – è un vero comandante e dirigente. Egli ha suggerito ai combattenti ucraini accerchiati a Debaltsevo: “Deponete le armi e andatevene dove volete, a Occidente come a Oriente. Noi ci comporteremo con onore verso di voi. Non vogliamo che vi trasformiate in carne da cannone. Ma né Poroshenko, né i suoi scagnozzi, né i loro protettori americani trovano il coraggio di trattare umanamente i soldati dell’esercito ucraino, come dovrebbero fare i veri comandanti e dirigenti”, – ha fatto notare G.A. Zyuganov.
“Intendo fare una dichiarazione ufficiale a nome delle forze patriottiche e popolari. Il popolo ucraino deve assolutamente convincersi che alla sua attuale dirigenza non basta assolutamente un esercito normale. E neppure un servizio militare dignitoso in nome della libertà, dell’indipendenza e dell’integrità territoriale dell’Ucraina. La giunta di Kiev punta a un’altra provocazione per scavare una nuova trincea in Europa. E in questa operazione sono pesantemente coinvolti gli americani”, – ha sottolineato il leader comunista russo.
Zyuganov ha raccontato che il deputato del partito di opposizione “Die Linke” al Bundestag tedesco, Wolfgang Gehrcke, si è incontrato a Mosca con la leadership della Duma di Stato. “Ha parlato con Ivan Ivanovich Melnikov (vicepresidente del PCFR). Il loro incontro è proseguito a Narishkin. In seguito, Gehrcke ha chiesto di andare a Rostov sul Don. Quando là ha visto in che condizioni versano i rifugiati, insieme ai suoi colleghi ha raccolto dei fondi per acquistare tre vetture di medicinali”.
“Il deputato Gehrcke si è poi recato nel Donbass – ha proseguito il leader del PCFR -. E’ stato a Donetsk, dove si è incontrato con Zakharchenko. Si è trovato sotto il fuoco e i bombardamenti. Si è personalmente convinto che le repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk si battono per la loro libertà, dignità e indipendenza. Sono sicuro che Gehrcke, un deputato onesto e coraggioso, interverrà in modo appropriato nel Bundestag, raccontando ai colleghi che cosa ha visto con i propri occhi. E in che modo oggi gli accordi di Minsk sono rispettati dalla giunta di Kiev”.
“Allo stesso tempo – ha rilevato Zyuganov – in questo contesto sono state imposte nuove sanzioni alla Russia e ai politici russi. Quale bisogno hanno i rappresentanti dell’Unione Europea di continuare la politica delle sanzioni contro il nostro paese? Allargandole a 151 persone. E chi inseriscono nel nuovo elenco? I comandanti militari, a cui possono essere eventualmente presentati reclami, dal momento che è loro dovere eseguire onorevolmente il proprio compito. Ma quando in questo elenco compare un artista popolare, una dignitosa persona come Joseph Kobzon (http://en.wikipedia.org/wiki/Joseph_Kobzon), non ci troviamo di fronte solo ad una stranezza. Tutto ciò è sorprendentemente cinico. Francamente disgustoso”, – ha aggiunto il leader del PCFR.
Io conosco da lungo tempo Joseph Davidovich. E’ stato in tutti i punti caldi. Ha visitato decine di volte l’Afghanistan, quando là eravamo in guerra. Ha rischiato la sua testa, per proteggere bambini. Ha aiutato le persone dopo l’attacco terroristico a Dubrovka. Nei giorni sanguinosi dell’ottobre 1993 ha fatto di tutto per salvare coloro che erano rimasti nella Casa dei Soviet. E’ coraggioso e onesto, un uomo molto sincero”.
Kobson si è recato nella sua patria, il Donbass. Ha studiato a Kramatorsk, Slavyansk, Donetsk. E’ cittadino onorario di alcune di quelle città. Ciò dovrebbe essere gradito a tutti. Perché svolge un ruolo straordinario come rappresentante della pace, della democrazia e degli autentici diritti dell’uomo”.
“Mi rivolgo alla leadership della Germania e dell’Unione Europea. Da vent’anni intervengo al Consiglio di Europa. E vi ho invitato all’unità di azione in nome della pace, del bene comune, della giustizia, contro il nazismo, il fascismo, l’eredità di Bandera. Ho sostenuto l’idea di un’Europa da Dublino a Vladivostok”.
“Ma voi che cosa fate? – continua Zyuganov – Punite un uomo che gode di indiscussa autorità nel nostro paese. Recentemente con Kobzon abbiamo organizzato il movimento “I bambini della Russia per i bambini del Donbass”. Abbiamo organizzato con lui un concerto per i bambini della Novorossija. Insieme a lui centoventi bambini che vivono in condizioni disagiate. Avreste dovuto vedere che esibizione! I bambini applaudivano, piangevano e lo accompagnavano nella musica, abbracciandolo”.
“Perché non volete ascoltare, presunti democratici e cinici, la voce della gente comune? Almeno la voce di quei bambini che Joseph Davidovich vuole salvare nel Donbass”, – ha affermato il leader dei comunisti russi.
“Per quanto riguarda le sanzioni imposte a Valery Rashkin, nostro compagno di partito (uno dei massimi dirigenti del PCFR, ndt), assicuro che le sopporterà senza problemi. Considero le sanzioni che hanno colpito Rashkin una sorta di onorificenza per la sua inflessibile posizione, onesta e di principio”.
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A Tripoli, a Tripoli!
da: http://www.marx21.it/internazionale/pace-e-guerra/25155-a-tripoli-a-tripoli.html
di Diego Angelo Bertozzi per Marx21.it
L’articolo 87 della nostra Costituzione è ancora fresco di modifica nell’ambito della riforma costituzionale approvata dalla Camera dei Deputati, che già l’Italia del governo Renzi si prepara alla avventura bellica che metterà fine allo spirito pacifista della nostra Carta fondamentale, relegando il già bistrattato articolo 11 tra i rottami del “secolo breve”. Basterà una semplice maggioranza, frutto di una legge elettorale che concede la maggioranza assoluta dei seggi ad una minoranza del Paese, per dichiarare guerra.
Ma meglio agire d’anticipo e lanciare subito il messaggio: nella nuova spartizione “neocoloniale” del mondo ci siamo pure noi, senza più tentennamenti e mal di pancia di sorta. E più velocemente senza lacci e laccioli del processo democratico con le sue interminabili discussioni, le sue trattative e i suoi compromessi. Ed ecco quindi la Libia, la nostra “quarta sponda” sulle cui macerie cresce la minaccia dell’Isis. Il dovere ci chiama: per l’ennesima volta la difesa della civiltà ci chiama. Che la stessa civiltà da difendere sia la prima responsabile della distruzione dello Stato libico e dell’avanzare del nuovo nemico pubblico, poco importa. Ricordarlo è semplice disfattismo, quando non dimostrazione della alleanza tra residui del comunismo e estremisti islamici in nome della lotta all’occidente capitalista.
Mentre suonano i tamburi di guerra – A Tripoli, a Tripoli! – a generare più sconcerto è ancora una volta la dimostrazione di subalternità di una parte – quella maggioritaria – della sinistra italiana. A dichiararsi favorevole ad un intervento di “Peace keeping” in Libia è Sinistra, Ecologia e Libertà, allo stesso modo con il quale nel 2011 approvò l’idea di una “no fly zone” che presto si rivelò per quel che era in realtà: una campagna di bombardamenti senza quartiere sulla Libia in appoggio alle milizie – anche quelle dell’estremismo islamico – che combattevano contro Gheddafi. Ancora una volta la logica dell’interventismo umanitario trova una sinistra culturalmente e politicamente disarmata pronta ad accodarsi.
A stupire e sconcertare è l’assoluta leggerezza (o furbizia?) con la quale si utilizzano specifiche definizioni come quella di “Peace keeping” che ha contorni ben precisi: operazione, sotto mandato Onu, che ha il compito di vigilare su un processo di pace già in essere fra i contendenti sul terreno. Un quadro diametralmente opposto a quello libico nel quale la guerra civile, con interventi di combattenti stranieri, è in pieno svolgimento con un portato terrificante di violenza. Un intervento in Libia non potrà essere altro che una guerra vera e propria con bombardamenti massicci che coinvolgeranno le popolazioni dei centri urbani. Sarà una “guerra coloniale” a tutti gli effetti, con lo spiegamento di truppe di terra che dovranno affrontare tutte le insidie di una guerriglia diffusa, col suo portato di torture e oppressione, in confronto al quale il precedente della Somalia rischia di essere stato una passeggiata. Altro che Libano! Le parole del generale Carlo Jean non lasciano dubbi a proposito: “Neanche se inviassimo diecimila o centomila uomini la situazione si tranquillizzerebbe, dal momento che sul territorio ci sono un milione di armati divisi in 1500 gruppi che tentano di ottenere profitti per prendere il potere politico. Di conseguenza il problema non è di fare un peace keeping, ma un peace enforcement: avere una forza tale da riuscire a imporre la pace alle varie milizie disarmandole. Un risultato tutt’altro che semplice.”
E a condurre questa missione saranno gli stessi Paesi responsabili del disastro in corso. La sinistra gli presterà ancora soccorso?
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“C’è gente, non sparate!” – una testimonianza dal Donbass
Traduzione di Alena Afanasyeva per Marx21.it
Evdokija Sheremeteva è una blogger di Mosca. Questo racconto è stato postato sul suo blog littlehirosima.livejournal.com il 4 gennaio 2015, dopo il suo primo viaggio a Pervomaisk dove ha portato aiuti umanitari raccolti con l’aiuto dei suoi amici e conoscenti. Dopo questo viaggio ce ne sono stati altri due – Pervomaisk, Krasnodon, piccole città nella regione di Lugansk dove l’aiuto umanitario non arriva e dove la situazione è pessima.
– Ira, non piangere! Non stanno sparando, ti è sembrato!
In cucina si svolge la distribuzione del cibo. La gente è venuta con vasetti di vetro a una mensa sociale.
Avvicino le donne che lavorano in mensa e dò degli assorbenti igienici. La seconda di loro, l’amica di Ira, si mette a piangere.
– Cari miei, grazie!
– Non dovete. È da molto che hanno sparato?
– Ma, sembra che ieri hanno sparato con i Grad.
– Ma c’è la tregua, no?
Il cuore stringe. E se lo faranno ancora?
Loro invece ridono. E poi piangeranno di nuovo.
– Oh mio Dio, ma loro sanno che ci stanno martellando! Ma non ce l’hanno delle madri e dei figli?
Tutti a Pervomaisk sono vicini alle lacrime. Manca poco. Quasi tutti hanno il cuore straziato dal dolore. Il dolore che non si può descrivere, né trasmettere. La città è stata assediata ancora il 22 luglio. Da quel giorno fino al 9 dicembre ha vissuto sotto un costante bombardamento quotidiano. Adesso c’è una tregua, ma i cittadini dicono che sempre sentono delle salve o dei tiri. A volte vengono bombardati. Già da sei mesi vivono in terrore, paura e morte.
– Nonostante la tregua, i nipoti dormono sempre vestiti. E con i documenti.
L’amica la spinge.
– E tu mica non dormi vestita?
Nel frattempo in fila ci sono quasi esclusivamente dei pensionati. Salgono con fatica le scale e dopo aver mostrato il passaporto e messo la firma ricevono da mangiare. Gli sguardi sono pesanti, come i passi e le parole.
– Perché non andate via che è pericoloso qui?
– E dove andiamo? Chi ha bisogno di noi? D’estate molti sono partiti. Adesso stanno tornando indietro. Qui c’è la nostra casa. Dove andiamo da qui?
Mi sento come mi avessero messo sopra un masso e mi avessero schiacciato.
D’estate, di 60 mila abitanti ne sono rimasti 5 mila, adesso già sono circa 15 mila. La gente è tornata nella città che è costantemente bombardata.
– Per fortuna, non soffriamo più di fame. Ma il cibo basta appena.
Tengo la porta aperta, c’è una signora anziana.
– Siete voi che ci avete portato da mangiare?
– Sì, noi.
Ha le lacrime negli occhi.
– Carissima, grazie a te! Dio esiste!
Questa è già la terza mensa e dappertutto piangono tutti. Poi ci baciano le guance e piangono di nuovo. E grazie, grazie, grazie. Il cuore è alla rovescia. Sono stata sviscerata, sono stata sventrata e adesso dentro c’è solo un vuoto infinito.
Entrare a Pervomaisk non si può. La città è in un ferro di cavallo, circondata da tutte le parti dalle forze armate ucraine e dalla guardia nazionale. Per arrivare qui da Lugansk bisogna passare più di un posto do blocco. Ma è impossibile entrare in città se non sei residente. Il passaggio è chiuso. Il nostro carico umanitario era scortato da Rostislav, un bel miliziano altissimo.
– Rostislav, come ti fai chiamare?
– Non ho uno pseudonimo. Sono Rostislav, Rostik. Sono nato e ho vissuto qui. Non ho bisogno di aver paura. In rete e dappertutto scrivo il mio indirizzo, dico – vieni e parliamo.
Rostislav ci fa salire nella sua macchina. Guardo giù – c’è una granata con attorno il filo dell’iphone, come con il cordone ombelicale di un bambino.
– È vera?
Ride.
– Prendila. Tu guarda dietro.
La prendo in mano e le mani tremano. Dietro c’è un oggetto molto grande. Ovviamente più grande di un mitra. Vorrei proprio sapere che cos’è.
– Mamma mia, ma che cos’è?
Il mio amico che accompagna il carico umanitario, Ruben, risponde:
– Mukha (“Mosca” nome del RPG-18, un razzo anticarro sovietico – NdT).
– No, è un RPG-26. Andiamo, vi faccio vedere che hanno fatto con la nostra città.
Rostislav con calma fuma una sigaretta dopo l’altra. è più giovane di me, ma mi sento accanto a lui una bambina – uno sguardo preciso e chiaro.
Guardo dal finestrino e cerco di trovare almeno una casa che non è stata colpita. Dove non sono state rotte almeno le finestre. E non riesco a farlo.
– Tanto è stato già ricostruito. Vedi quel tetto? È stato messo qualche giorno fa. E qui – vedi? – hanno messo dei sacchi di plastica sulle finestre. Hanno fatto già tanto. Ma puoi vedere da sola che sta succedendo. ecco, vedi, un cratere – proprio qui una famiglia è uscita per preparare sul fuoco da mangiare… Vedi quella casa? – un uomo non ha fatto in tempo nemmeno a saltare giù nella cantina, la porta è rimasta aperta. Ed i resti sono dappertutto. Con il primo colpo.
Dopo qualche minuto la mano è già stanca di fare le foto ed aprire il finestrino. Non ho le forze per uscire. Rimane solo l’impotenza e la debilitazione. Una debilitazione svogliata e cupa. Quante volte ho visto nei giornali e in rete delle innumerevoli foto dopo i bombardamenti, ma niente aiuta a comprenderlo quando lo vedi con i propri occhi.
Non ci sono dei vaccini speciali che aiuterebbero ad osservarlo con calma.
– Ma lo fanno apposta?
– Ma no, mica apposta. Il bombardamento non è preciso.
– I correttori lavorano?
– Prima sì, ma adesso non più.
– Cercano di colpire la milizia, voi?
– Sai, li catturavamo. Tra loro ci sono dei ragazzi, persone in gamba. Quando hanno visto che non combattono l’esercito russo, ma colpiscono anziani e bambini, molti hanno cercato di scappare. Erano stati tutti zombizzati, convinti che liberavano la gente da Putin. Ma insomma, semplicemente bombardano la città a mazzo. Scuole, istituti, il palazzo dello sport – tutto senza discriminazione. Hanno crivellato la città…
Rostik fa un tiro di sigaretta, socchiude gli occhi.
– Entriamo nel portone.
Con passi lenti saliamo le scale.
– Mio Dio, che cos’è?
– I nostri figli tutti sanno distinguere dal suono che cosa spara – un obice, un grad, un mortaio. Questo viene dall’aria, da un aereo…
– Ma che razza di roba è? I bambini, i vecchi – perché loro?
– A tutti loro hanno lavato il cervello. Ma ci sono delle persone normali. Una volta hanno bombardato un campo. Quindi è rimasto qualcosa di umano. Non possono non adempiere ad un ordine, ma capiscono che ad ogni cluster va via una vita oppure qualcuno perde per sempre la propria casa.
– Magari è meglio lasciare la città in modo che la gente può vivere? Ciò vale la vita di centinaia di persone?
Rostislav mi guarda e questo sguardo mi penetra fino alle ossa:
– Uccideranno la metà qui oppure la metteranno in prigione. Non sai mica che siamo tutti “terroristi” qui. Non tradiremo la gente.
Nel centro di Pervomaisk di recente, dopo l’annuncio di tregua, la gente ha iniziato a portare dei proiettili conservati. Proprio al monumento di Lenin.
Accanto c’è una bandiera ucraina, calpestata nella neve e fango.
La gente costantemente viene e resta a lungo. Poi va via in silenzio. Verso il cimitero.
– Faremo un monumento con questi. Che si sappia
Ancora due settimane fa non usciva nessuno di casa.
– Venivamo a distribuire il pane, chiamavamo, e la gente gridava dai sotterranei – “Butta qua giù”. Avevano paura di uscire fuori. A volte, durante le pause, alcuni, che avevano ancora appartamenti intatti, correvano a casa per lavarsi e prendere delle cose necessarie. Molti erano colpiti così. E tutti stavano nelle cantine e nei rifugi.
Con un dito mostra dei proiettili.
– Questi sono di un grad, questi di un mortaio, questi invece sono proiettili dirompenti. Questi sono dall’aria…
Un mucchio di tubi mezzo arrugginiti. Come se avessero tagliato decine di grondaie, se non porre l’occhio. Ognuno di loro è una morte o una disgrazia.
Adesso c’è già gente per le strade. Ma in generale la città sembra morta. Sembra che sei arrivato a Pripiat dopo l’esplosione (la città ucraina 3 km dalla nucleare di Cernobyl, abbandonata dopo l’incidente del 1986- NdT).
Rostik ci porta per cortili, ma non si vede ormai niente. Come se gli occhi fossero coperti con un velo. Non ci sono delle persone. Non ci sono delle case. Parchi con giochi storti. Morte.
Su tante case è scritto: “GENTE”.
– Rostik, che cos’è?
– La gente lo ha scritto, ma mica aiuta…
La gente ha scritto, per chi – per la gente?
Un grido dal fondo del cuore scritto con il sangue. Quasi su ogni casa.
Un grido scritto con lacrime e dolore. Siamo UOMINI. Non uccidete! UOMINI.
Questa scritta sarà con me per sempre. è stata incisa con l’acido, non è più rimovibile. Sta sempre davanti agli occhi.
– Andiamo nel rifugio. Ti faccio vedere dove vivono quelli che sono rimasti senza niente e dove si nascondono.
Scendiamo in un sotterraneo. Dappertutto ci sono appese delle coperte. In mezzo c’è una stufetta panciuta. Materassi, coperte, sacchi con vestiti, taniche dell’acqua. La gente inizia ad agitarsi. Hanno visto il miliziano e subito l’hanno circondato e riempito con tante domande. Si è unito a noi un amico di Rostik, Sania. Il suo nomignolo è “Velocità”. Sania, circondato dalle donne, cerca di difendersi.
– Ci sono tante persone che vivono qui?
Una donna mi guarda attraverso.
– Quando bombardano il rifugio è pieno. Adesso noi viviamo qui.
Vedo un ambiente a parte, separato a mezzo di panni. Li sposto per vedere una donna anziana che mi guarda spaventata. Appena vede che siamo venuti con del cibo, i suoi occhi diventano colmi di lacrime.
– Lei è da sola qui?
– I figli sono andati via e la casa è stata distrutta da due razzi. Vivo qui.
– Perché i figli non la portano via?
– Non lo so. Ma io non andrò da nessuna parte. La mia casa è qui, qui morirò.
E lacrime, lacrime, lacrime. E un dolore straziante.
Nei sotterranei di questo genere vivono in comune. Mangiano e fanno tutto insieme.
I miei occhi sono gonfi. Rostik mi guarda:
– Non sei abituata. Non fa niente. Andiamo avanti.
La conversazione è caotica, ci sono mille domande – che cosa, chi, perché. E negli occhi c’è solo quella anziana e la scritta “GENTE”.
– Prima la gente si comportava orribilmente – toglievano l’uno all’altro delle razioni, litigavano. Tutti cercavano di afferrare qualcosa per se stessi. Adesso tutto è cambiato. La guerra ha svegliato nelle persone il lato umano. Adesso portiamo il cibo e versano l’olio nei bicchieri, chiamano l’uno l’altro. Tutti condividono tutto.
Ma bisogna vivere per sei mesi sotto bombardamenti per diventare Uomo?
All’uscita dalla città, al posto di blocco c’è un ragazzo. Ha 18 anni, non di più. Gli diamo delle caramelle e sorride felicemente.
– Nella vostra città hanno messo l’albero di Natale?
– Si, l’hanno messo.
– Anche da noi. è Capodanno alla fine!
Eravamo poche persone che hanno portato a Pervomaisk l’aiuto umanitario da Mosca. L’abbiamo raccolto con l’aiuto degli amici, conoscenti, tramite internet. Siamo di posizioni politiche molto diverse,ma non c’era nessuno che non piangeva sulla strada del ritorno. Piangevamo, soffocandoci, girandoci, inghiottendo le lacrime dall’impotenza totale davanti a questo orrore.
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I comunisti ucraini e degli altri paesi contro il fascismo e la sua guerra nel Donbass
da www.kpu.ua
Traduzione dal russo di Mauro Gemma
Il Partito Comunista di Ucraina ha partecipato alla riunione del Gruppo di Lavoro per la preparazione del 17° Incontro dei Partiti Comunisti e Operai (link)
Una delegazione del Partito Comunista di Ucraina ha preso parte (a Istanbul, ndt) alla riunione del Gruppo di Lavoro per la preparazione del 17° Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai. Alla riunione hanno partecipato i rappresentanti di 14 partiti.
I membri della delegazione ucraina hanno esposto ai compagni degli altri paesi le considerazioni del Partito Comunista di Ucraina. Nel documento presentato si afferma:
“Il Partito Comunista di Ucraina si rivolge ai partecipanti al Gruppo di Lavoro per la preparazione del 17° Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai con un appello a rafforzare gli sforzi nella lotta contro la fascistizzazione dell’Ucraina e per prevenire la diffusione dell’ideologia disumana del fascismo in Europa e nel mondo.
Dopo il colpo di Stato armato del febbraio 2014 al potere in Ucraina sono arrivate forze apertamente fasciste e borghesi-nazionaliste, che hanno alimentato il conflitto civile, che si è trasformato in una guerra sanguinosa in cui ucraini uccidono altri ucraini. Una guerra, in cui vengono uccise persone innocenti: donne, anziani, bambini. Una guerra che ha portato alla catastrofe umanitaria nel Donbass. Migliaia di morti, decine di migliaia di feriti, più di un milione di profughi. Scuole e asili distrutti – i bambini privati della possibilità di studiare. Sono state annientate aziende e infrastruttura e molti hanno perso il lavoro. Gli arretrati del salario sono raddoppiati. Non sono pagate le pensioni e le prestazioni sociali sono state interrotte. Non ci sono luce, gas, acqua.
Con il sostegno finanziario e politico dei circoli più reazionari del capitale internazionale, il regime oligarchico al governo ha scatenato il genocidio sociale del popolo dell’Ucraina. Battaglioni di combattenti apertamente nazisti ufficialmente incorporati nelle strutture del Ministero dell’Interno e del Ministero della Difesa vengono anche usati dalle attuali autorità per reprimere il dissenso e seminare il terrore, persino con l’eliminazione fisica degli oppositori politici.
Pratica abituale del regime al potere in Ucraina è diventata la censura più feroce nei media, l’impedimento ai cittadini a ricevere un’informazione obiettiva, la bugia più sfacciata e la disinformazione da parte delle strutture governative e dei funzionari ad ogni livello.
Il Partito Comunista di Ucraina critica duramente la politica degli oligarchi fascisti, che si sono impadroniti del potere nel nostro paese, e chiede la fine immediata della guerra fratricida. Per tale corretta posizione di principio, i comunisti sono perseguitati. Sono arrestati sulla base dell’accusa inventata di separatismo, e torturati nelle segrete della SBU (Servizio di Sicurezza dell’Ucraina, ndt). Le prigioni e i centri di detenzione sono sovraffollati di prigionieri politici.
Tutta la potenza del regime è indirizzata ad annientare il Partito Comunista, a sopprimere la volontà del popolo, a vietare addirittura l’ideologia comunista, come è prerogativa dei regimi fascisti e dittatoriali.
A tal fine, il potere nazional-fascista ha avviato contro il Partito Comunista un processo politico, che continua ancora oggi. Questo regime ha approvato delle leggi che permettono di vietare senza processo qualsiasi forza politica che si pronunci per la fine della guerra, contro l’oppressione sociale, per i diritti e le libertà dell’uomo, garantiti dalla Costituzione e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, in quanto considerata organizzazione terroristica.
Il Partito Comunista invita tutti i partiti comunisti e operai ad assicurare aiuto e sostegno ai comunisti e al popolo lavoratore dell’Ucraina nella lotta contro il fascismo e l’oligarchia. Esortiamo a fare di tutto per costringere il regime a rispettare gli accordi da esso firmati a Ginevra e a Minsk e a fermare il fratricidio.
Solo attraverso lo sforzo congiunto di tutte le forze progressiste potremo impedire l’orrore della Terza Guerra Mondiale, che gli USA, i loro satelliti e marionette sono pronti a scatenare dal territorio dell’Ucraina”.
Nel corso della riunione del Gruppo di Lavoro i rappresentanti del PCU hanno sostenuto le iniziative del Partito Comunista di Boemia e Moravia e del Partito Comunista della Federazione Russa riguardanti il coordinamento degli sforzi per contrastare l’utilizzo da parte del capitale mondiale di organizzazioni fasciste per combattere le forze di sinistra, il che attualmente avviene particolarmente in Ucraina.
Gli incontri internazionali dei partiti comunisti e operai si sono affermati come una realizzazione storica del movimento comunista di oggi. Il fatto stesso che si svolgano incontri annuali dei comunisti di tutto il mondo assume un grande significato politico, teorico e pratico.
Gli incontri consentono uno scambio di informazioni e di esperienze di lotta tra i partiti comunisti e operai, di concordare iniziative comuni, di rafforzare i principi dell’internazionalismo proletario.
Gli incontri, cominciati per iniziativa del Partito Comunista di Grecia per lo scambio di informazioni, in tutti gli anni precedenti hanno cambiato il loro contenuto, sono diventati una piattaforma per l’esame dei problemi più attuali, del carattere della crisi del sistema capitalista, dell’acutizzazione delle contraddizioni inter-imperialistiche, ecc.
Tutti i partecipanti al Gruppo di Lavoro hanno espresso la loro indignazione per quanto sta accadendo in Ucraina, in particolare per i tentativi di divieto del Partito Comunista, per le persecuzioni contro membri del PCU, per la presenza di attivisti del partito tra i prigionieri politici. I comunisti del mondo esprimono unanime sostegno e solidarietà nei confronti del Partito Comunista di Ucraina.
Ufficio stampa del Partito Comunista di Ucraina
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La Russia deve fermare l’offensiva del neonazismo nella Novorossija
dichiarazione del Partito Comunista della Federazione Russa
da kprf.ru | Traduzione dal russo di Mauro Gemma
“Il 70° anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz da parte delle truppe sovietiche sarebbe dovuto servire come importante monito sulle conseguenze dell’indulgenza nei confronti del fascismo. Ma in Europa si preferisce evidentemente far finta che non esista alcuna connessione tra il nazismo hitleriano in Germania e il fascismo degli eredi di Bandera in Ucraina”.
Con il pretesto dei discorsi “sulla costruzione della pace” e degli appelli all’attuazione degli accordi di Minsk, i russofobi a Kiev sono di nuovo scesi sul sentiero di guerra. Ciò dimostra ancora una volta che il potere neonazista in Ucraina fin dall’inizio dell’armistizio del settembre scorso non ha mai pensato a una soluzione pacifica. Si è utilizzato la tregua, che era stabilita dall’accordo di Minsk, per ripristinare l’efficacia di combattimento delle truppe, il loro rifornimento, la loro riorganizzazione e preparazione per una nuova fase di guerra.
Il PCFR ritiene che le speranze in una soluzione pacifica della guerra civile in Ucraina siano state incerte fin dall’inizio. Il fatto è che ora al potere a Kiev si trova un gruppo oligarchico estremista che fa affidamento su terroristi esplicitamente eredi degli scagnozzi di Bandera. Inoltre, il vertice di Kiev è solo uno strumento di aggressione nelle mani degli USA, il cui scopo è quello di sprofondare russi e ucraini in una guerra fratricida e, allo stesso tempo, destabilizzare l’Europa.
La nuova strage in Novorossija, perpetrata dalla giunta di Kiev, e il completo silenzio dell’Occidente su quanto è accaduto, rivelano la sfacciata ipocrisia dei loro appelli alla democrazia e all’osservanza dei diritti dell’uomo. L’Europa fa sentire la sua voce quando muoiono giornalisti parigini, ma cinicamente osserva il più totale silenzio nel momento in cui, ogni giorno, in Novorossija viene massacrata la popolazione civile.
Inoltre, l’Occidente fornisce la tribuna per le dichiarazioni pubbliche ai leader del governo colpevoli dell’omicidio di decine di persone ogni giorno. La dichiarazione del signor Poroshenko al forum economico di Davos rappresenta la prova convincente del fatto che le “democrazie” occidentali sono pronte a chiudere gli occhi sui più feroci crimini di guerra a sostegno dei propri vassalli a Kiev. In tal modo, di fatto, favoriscono il rapido sviluppo del fascismo in Ucraina.
L’Europa è già stata sommersa dal sangue e dalle lacrime nello scorso secolo, quando a Hitler fu permesso di andare al potere, drogando la nazione tedesca. Oggi i dirigenti dell’Unione Europea si sono avviati sulla medesima strada. Il 70° anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz da parte delle truppe sovietiche sarebbe dovuto servire come importante monito sulle conseguenze dell’indulgenza nei confronti del fascismo. Ma in Europa si preferisce evidentemente far finta che non esista alcuna connessione tra il nazismo hitleriano in Germania e il fascismo degli eredi di Bandera in Ucraina.
Non è ancora troppo tardi per fermare lo sviluppo del cancro in Europa Orientale. Non è ancora troppo tardi per fermare la sofferenza e il massacro di migliaia di persone nelle regioni di Donetsk e Lugansk. Tutte le persone oneste dell’Europa e della Russia devono difendere con risolutezza il popolo della Novorossija, rivelare pubblicamente e denunciare l’apparizione del mostro nazifascista che si nasconde dietro il velo lacerato della democrazia occidentale.
La Russia, in quanto successore dell’Unione Sovietica che ha fermato il fascismo negli anni 40, ha l’obbligo di fare tutto quanto è possibile per impedire la propagazione dell’infezione nazista in Europa, per difendere la popolazione della Novorossija dal vero e proprio genocidio attuato dal regime filo-americano di Kiev. Per ottenere ciò è necessaria non solo la volontà politica, ma è anche indispensabile varare una nuova politica economica, il cui scopo non sia quello di assicurare i profitti eccessivi degli oligarchi, ma la creazione di uno stato forte e indipendente. Solo così la Russia potrà essere un alleato affidabile per i popoli fratelli. Solo così sarà possibile difendere le nostre frontiere dai pericoli esterni.
Il presidente del Partito Comunista della Federazione Russa
G. A. Zyuganov
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Riflessioni sul voto del Parlamento europeo sulla questione Ucraina
di Fausto Sorini, segreteria nazionale PCdI, responsabile dipartimento esteri
Già si è scritto molto sulla vergognosa risoluzione approvata a larghissima maggioranza dal Parlamento europeo, che suona come una dichiarazione di guerra alla Russia, di sostegno esplicito al governo nazional-fascista che si è insediato con un golpe in Ucraina e alla linea oltranzista degli Stati Uniti sulle sanzioni contro Mosca (le sanzioni sono, di fatto, un atto di guerra nei confronti di un Paese sovrano).
Questa risoluzione, sostenuta dalla quasi totalità dei parlamentari conservatori e socialdemocratici (con qualche lodevole eccezione), e con la sola contrarietà del GUE-NGL (comunisti e sinistre) e di alcuni settori nazionalisti di destra o regionalisti (tra cui la Lega), rappresenta l’ennesima genuflessione dell’Unione europea alla linea oltranzista degli Stati Uniti e della Nato.
E’ una linea che si predispone da tempo a creare un clima di ostilità e di conflittualità politica, economica e militare nei confronti della Russia di Putin, come primo passo volto ad un conflitto strategico più globale nei confronti dei BRICS e dell’asse russo-cinese che ne rappresenta il più robusto architrave economico, politico e militare.
Viene da sorridere, a tale proposito (se non ci fosse da piangere..) quando si ascoltano affermazioni ricorrenti da parte di alcuni esponenti europei ed italiani socialdemocratici (come lo stesso Massimo D’Alema, ma anche il greco Tsipras) secondo i quali sarebbe sufficiente dare maggiori poteri e qualche correttivo a questo Parlamento europeo per poter operare una “svolta democratica e di sinistra” nella politica economica dell’Ue in materia di Euro, di politica economica, di politica estera e di sicurezza.
Il voto a larghissima maggioranza su quella risoluzione demolisce affermazioni di questo genere, e indica che le questioni relative ad una svolta effettiva della politica dell’Europa (che non è solo la Ue, ma anche la Russia e altri paesi) richiede non già maggiori poteri del Parlamento Ue (che rappresenta solo una parte dell’Europa), bensì che vengano intaccati alcuni parametri strategici e strutturali su cui si è costruita l’Unione europea, tra cui l’appartenenza alla Nato, il predominio dei grandi gruppi monopolistici nella politica economica, il primato dell’Euro; e si affermino le modalità di una possibile concertazione monetaria continentale, paneuropea e globale, che non escluda, ma integri la salvaguardia di prerogative nazionali sovrane. Appunto: un’altra Europa, non una mera correzione di questa Ue strutturalmente irriformabile.
La discussione sulla mozione Ucraina al Parlamento europeo ha messo però in evidenza anche un confronto politico serrato, di natura strategica e non meramente tattico o congiunturale, nell’ambito della sinistra comunista e “alternativa” che si ritrova nel Gue-Ngl. Tale discussione ha provocato nei giorni scorsi un dibattito animato a sinistra e tra i comunisti anche in Italia, surriscaldato dal fatto che alcune notizie sul voto finale del Gue sono state riferite in modo inesatto da un sito da tutti considerato altamente professionale e indipendente, legato al Parlamento europeo (un errore tecnico peraltro subito corretto nel giro di poche ore con appropriate rettifiche, precisazioni e scuse per l’involontario errore da parte di chi ne aveva ripreso le informazioni).
Su questo aspetto della discussione va fatta però chiarezza politica, perchè nel vortice di precisazioni e controprecisazioni si rischia di smarrire e rimuovere (in modo non sempre innocente) il senso politico effettivo della discussione che vi è stata nel Gue, e le sue ragioni.
Va detto innanzitutto che sul voto finale del Gue sulla mozione del Parlamento europeo non esiste una registrazione ufficiale, perchè il voto si è svolto, curiosamente, con alzata di mano e non con una incontrovertibile registrazione elettronica ed ufficiale del voto, come invece è avvenuto per gli emendamenti.
Secondo una precisazione dell’on. Barbara Spinelli tale votazione conclusiva avrebbe visto tutti i deputati del Gue votare contro la mozione. Prendiamo per buone le sue parole, fino a prova contraria od eventuale dichiarazione difforme di altri presenti al voto. Ma non è questo il punto. Come vedremo infatti, non è nel voto finale, ma nella votazione su una serie di importanti emendamenti alla mozione, presentati e votati in modo difforme da gruppi non omogenei interni al Gue-Ngl, che si è manifestata la discussione vera, di sostanza strategica e assolutamente trasparente tra posizioni diverse e in alcuni casi opposte presenti nel gruppo e anche all’interno di alcune delle sue componenti nazionali.
Entriamo quindi nel merito, indicando – come correttamente ha fatto il sito di Marx21.it (e solo esso..) – i link e le fonti dove tali votazioni trasparenti e ufficialmente registrate in modo nominale, deputato per deputato, possono essere verificate in modo incontrovertibile (senza rimozioni interessate e niente affatto innocenti..).
Di seguito, tutta la documentazione sui risultati delle diverse votazioni e la posizione assunta dai deputati di tutti i gruppi sui vari emendamenti presentati:
http://www.votewatch.eu/en/term8-situation-in-ukraine-joint-motion-for-resolution-after-paragraph-1-amendment-7.html
http://www.votewatch.eu/en/term8-situation-in-ukraine-joint-motion-for-resolution-after-paragraph-1-amendment-8.html
http://www.votewatch.eu/en/term8-situation-in-ukraine-joint-motion-for-resolution-after-paragraph-1-amendment-9.html
http://www.votewatch.eu/en/term8-situation-in-ukraine-joint-motion-for-resolution-after-paragraph-1-amendment-10.html
http://www.votewatch.eu/en/term8-situation-in-ukraine-joint-motion-for-resolution-after-paragraph-1-amendment-11.html
http://www.votewatch.eu/en/term8-situation-in-ukraine-joint-motion-for-resolution-after-paragraph-1-amendment-12.html
http://www.votewatch.eu/en/term8-situation-in-ukraine-joint-motion-for-resolution-after-paragraph-3-amendment-6.html
http://www.votewatch.eu/en/term8-situation-in-ukraine-joint-motion-for-resolution-paragraph-6-amendment-2.html
http://www.votewatch.eu/en/term8-situation-in-ukraine-joint-motion-for-resolution-paragraph-7-amendment-13d.html
http://www.votewatch.eu/en/term8-situation-in-ukraine-joint-motion-for-resolution-after-paragraph-8-amendment-3.html
http://www.votewatch.eu/en/term8-situation-in-ukraine-joint-motion-for-resolution-paragraph-13-amendment-4.html
http://www.votewatch.eu/en/term8-situation-in-ukraine-joint-motion-for-resolution-paragraph-14-amendment-5.html
Lasciamo al lettore attento che abbia il tempo e la voglia di cercare la verità (anche il dettaglio) nella abbondante documentazione fornita, e ringraziamo quanti vorranno eventualmente mettere per iscritto un’analisi dettagliata del voto su ognuno di questi emendamenti, che risulterebbe senz’altra molto istruttiva. Ci limitiamo qui ad un solo esempio emblematico.
Uno degli emendamenti provenienti dall’interno delle diverse aree del GUE-NGL,
l’emendamento n.7 al paragrafo 1 – paragraph-1-amendment-7.html – recita testualmente:
“Il Parlamento europeo condanna con vigore il colpo di Stato condotto in Ucraina nel febbraio 2014 e denuncia il sostegno che esso ha ricevuto dall’Unione europea, dagli Stati Uniti e dalla NATO; denuncia le condizioni nelle quali si sono svolte le successive elezioni, in palese violazione dei diritti politici e civili e in concomitanza con un’estesa persecuzione e repressione della popolazione”.
Questo emendamento è stato presentato dai seguenti 11 deputati europei del Gue (tra cui 6 donne..):
Inês Cristina Zuber, João Ferreira, Miguel Viegas (tutti e tre deputati del PC portoghese);
Javier Couso Permuy, Lidia Senra Rodríguez, Marina Albiol Guzmán, Paloma López Bermejo, Ángela Vallina (5 deputati di Izquierda Unida spagnola, di cui 4 compagne);
Fabio De Masi, Sabine Lösing (due degli 8 deputati della Linke tedesca, ed anche gli unici due tra questi che lo hanno sostenuto nel voto..);
Neoklis Sylikiotis (uno dei due deputati di AKEL di Cipro).
L’emendamento ha ottenuto, nel Palamento europeo: 63 voti a favore (9.5%), 71 astensioni (10,7%), 532 contrari (79,9%).
Tra i 52 deputati del GUE:
-22 hanno votato a favore (una minoranza del gruppo). E precisamente:
*2 dei 3 deputati del PC portoghese (il terzo, tra i presentatori e dell’emendamento, era assente giustificato o, come si dice nel linguaggio ufficiale del Parlamento europeo, assente documentato);
*i 2 deputati di AKEL di Cipro;
*i 5 deputati di Podemos spagnola;
*5 su 6 deputati di Izquierda Unida-Pce spagnola;
*1 deputata su 3 dell’italiana Lista Tsipras (la compagna del Prc, Eleonora Forenza, con la quale ci congratuliamo);
*1 deputato su 4 del Sinn Fein irlandese;
*2 deputati su 4 del Front de Gauche francese (il socialista Melenchon e la deputata dell’isola africana di Reunion);
*2 deputati su 3 del PC di Boemia e Moravia;
*2 deputati su 8 della Linke tedesca;
-6 hanno votato contro:
*4 degli 8 deputati della Linke tedesca;
*1 su 3 dell’italica Lista Tsipras (Barbara Spinelli..);
*l’unico deputato del Partito della Sinistra svedese;
-18 si sono astenuti (il voto di astensione ha qui una valenza più negativa perchè tecnicamente ostacola la possibilità all’emendamento di passare):
*tutti e 6 i deputati di Syriza;
*1 deputato (su 6) di Izquierda Unida spagnola;
*4 su 5 dei deputati del Sinn Fein irlandese;
*1 su 3 dell’italica Lista Tsipras (Curzio Maltese);
*i 3 deputati olandesi (lista rosso-verde);
*l’unica deputata danese (sinistra verde);
*l’unico deputato finlandese (sinistra verde);
*1 deputata su 4 del Front de Gauche francese (indipendente);
-2 non hanno partecipato al voto (pur essendo presenti):
*la presidente del Gue-Ngl, Gaby Zimmer (della Linke tedesca);
*1 su 4 del Front de Gauche, Patrick Le Hyaric, uno dei massimi dirigenti del PCF e direttore de l’Humanité;
-4 erano assenti:
*un deputato del PCP (di cui si è detto);
*1 deputato su 3 del PC di Boemia e Moravia (Miloslav Randsorf, leader della minoranza interna di “destra“ del KSCM, vicina alla Sinistra Europea);
*l’unica deputata del Bloco de Esquerda portoghese, e vice-presidente della Sinistra Europea, Marisa Matias;
*1 deputato su 8 della Linke tedesca.
Il lettore attento e informato avrà già tratto le sue conclusioni analitiche, quali che siano i suoi giudizi di valore; magari dopo avere riletto il testo dell’emendamento, che non lascia molti margini interpretativi sul significato politico dei diversi approcci.
Ci sia concessa una sola, sintetica valutazione conclusiva.
Il nuovo Gue-Ngl, uscito dalle elezioni dell’anno scorso, anche se assai più numeroso del precedente, appare segnato da una maggiore eterogeneità e da un minor peso politico dei comunisti e delle forze che si collocano su posizioni coerentemente antimperialiste, anti-Nato, non subalterne alle compatibilità strategiche dell’Unione europea.
L’uscita dal GUE dei due euro-deputati del KKE, confluiti in un gruppo misto tecnico senza alcun peso politico, non ha certo favorito le posizioni più avanzate all’interno del GUE (ma ognuno è responsabile delle proprie scelte sovrane).
All’interno del GUE-NGL sono oggi più forti le spinte che provengono dalla Sinistra Europea, e in particolare dalle sue componenti meno avanzate sul terreno antimperialista e di netta demarcazione dalla socialdemocrazia (come quelle prevalenti nella Linke tedesca e in Syriza), che sono oggi le due forze più influenti del Gue.
Interessante e positiva – oltre alla storica tenuta dei comunisti portoghesi e ciprioti – è l’evoluzione della componente spagnola, dove il riavvicinamento tra PCE e PCP ha sicuramente un’influenza benefica sulla sinistra spagnola; e dove va guardata con interesse la nuova dinamica prodottasi in Podemos: un’entità ancora magmatica e variegata, suscettibile dei più diversi sviluppi; ma il cui posizionamento unanime in questo frangente così complesso e delicato all’interno del GUE, sulla questione Ucraina, non può che essere apprezzato.
Non infieriamo sulla performance europea dell’italica Lista Tsipras: un esito annunciato dopo le note vicende dello scorso anno. Ci limitiamo ad apprezzare la scelta della esponente del PRC, come già detto.
Quanto al futuro del Gue-Ngl, della Sinistra Europea e dell’evoluzione in corso bella sinistra comunista e alternativa, registriamo il manifestarsi di ulteriori segnali inquietanti di cedimento atlantico, che vi sono stati in questo caso in materia di pace e guerra, in una situazione così pericolosa del quadro internazionale e in presenza di pulsioni di guerra globale dei settori più oltranzisti dell’imperialismo. C’è ampia materia su cui riflettere e su cui operare per chi non vuole arrendersi e capitolare in questa parte del mondo.
P.S.
Ci attendiamo le scuse di quanti, mossi da inguaribile e patologica ostilità preconcetta nei confronti del nostro partito e delle nostre compagne/i che operano in Marx21, si sono abbandonati ad accuse infondate, insulti e offese personali: essi squalificano solo chi li compie.
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Imposizioni dell’UE e dell’euro. Rottura con il blocco imperialista o adattamento?
http://www.marx21.it/comunisti-oggi/in-europa/24994-imposizioni-dellue-e-delleuro-rottura-con-il-blocco-imperialista-o-adattamento-.html
di Albano Nunes*
Traduzione di Marx21.it
“Non deve esserci alcuna confusione tra proposte che, come quelle del PCP, si collocano in una dinamica di rottura con il blocco imperialista che si considera irriformabile e con un sistema capitalista che esige il suo superamento rivoluzionario, e posizioni che nella loro essenza mirano solo a “moralizzare” e a “correggere gli eccessi” del capitalismo e affermano la loro professione di fede “europeista”, come nel caso, tanto mediatizzato, di Syriza in Grecia. Tra rottura e adattamento c’è la distanza che separa la conseguente posizione di sinistra, rivoluzionaria da qualsiasi variante riformista del keynesismo”.
La Rivoluzione portoghese, incompiuta certamente, è stata una rivoluzione democratica, profondamente popolare, antimonopolista, anti-latifondista e antimperialista che il Partito Comunista Portoghese (PCP) ha definito, e la pratica ha confermato, come una “Rivoluzione Democratica e Nazionale”.
Il PCP ha sempre affermato che la difesa e il consolidamento della libertà stessa e la risoluzione dei più urgenti problemi del Paese, dalla fine delle guerre coloniali al miglioramento delle condizioni di vita del popolo, non richiede solo un cambiamento di regime politico – della “dittatura terrorista dei monopoli (associati all’imperialismo) e dei latifondisti” con un regime rispettoso delle più ampie libertà e diritti democratici -, ma esige anche trasformazioni economico-sociali profonde che creerebbero in Portogallo una società che, seppur non ancora socialista, sarebbe profondamente differente da quelle esistenti nei paesi capitalisti dell’Europa.
Le campagne anticomuniste che questa così chiara e ferma posizione aveva suscitato, furono così violente ed ebbero una grande risonanza internazionale. Anche nel movimento comunista ci fu chi criticò pubblicamente il nostro Partito (“eurocomunismo”). Ma il Partito non vacillò. E i fatti hanno confermato che questa posizione del PCP corrispondeva a un’esigenza fondamentale della situazione concreta del nostro Paese. Basta vedere che, nella sua versione originale, la Costituzione della Repubblica Portoghese configura un ordinamento istituzionale e una struttura economica e sociale che si differenzia profondamente dal “modello” del capitalismo monopolistico di Stato prevalente nell’Europa Occidentale che la Rivoluzione Portoghese aveva già distrutto.
Non era, tuttavia, questo che volevano altre forze politiche. Il PS (Partito Socialista) di Mario Soares, dopo avere considerato il rapporto di forze favorevole, scatenò la controffensiva del recupero capitalista, della ricostituzione del potere dei monopoli e dell’imperialismo che dura ormai da 38 anni. Per “salvare la democrazia” da quello che affermava essere un “golpe comunista”, non esitò ad allearsi con la reazione interna e con gli imperialismi, nordamericano ed europeo, con l’obiettivo di creare ostacoli esterni supplementari al processo rivoluzionario. L’ingresso del Portogallo nella CEE, in seguito Unione Europea, si inserisce nella strategia controrivoluzionaria che PS, PSD e CDS hanno messo in pratica contro il sentire e la volontà del popolo portoghese e quanto disposto dalla Costituzione.
Coraggio e determinazione
La rottura con 38 anni di politica di destra che il PCP preconizza come condizione dell’alternativa patriottica e di sinistra esige anche la rottura con le politiche di sottomissione del Portogallo all’imperialismo e, in particolare, la rottura con 28 anni di partecipazione al processo di integrazione capitalista europeo. Per essere libero, il popolo portoghese deve necessariamente rigettare la sottomissione alle imposizioni dell’euro e della UE recuperando al Paese la sua sovranità economica, di bilancio e monetaria.
Come la Rivoluzione di Aprile è stata una rivoluzione “nazionale”, una rivoluzione patriottica, anche l’alternativa alla disastrosa situazione attuale deve necessariamente esserlo. Il Portogallo con un futuro è incompatibile con l’adattamento, inoltre nella condizione di Paese dipendente e subalterno, al “modello” capitalista prevalente in Europa. Il Portogallo non può conformarsi a imposizioni esterne, vengano esse dall’UE, dal FMI o da qualsiasi altro centro imperialista, deve rifiutarle, cercare alleati in questa lotta, e collocarsi in modo indipendente nel quadro della divisione internazionale del lavoro.
La rottura che si impone non sarà certamente un atto immediato ma un processo complesso che passa attraverso battaglie intermedie e obiettivi concreti e immediati. Ma non deve esserci alcuna confusione tra proposte che, come quelle del PCP, si collocano in una dinamica di rottura con il blocco imperialista che si considera irriformabile e con un sistema capitalista che esige il suo superamento rivoluzionario, e posizioni che nella loro essenza mirano solo a “moralizzare” e a “correggere gli eccessi” del capitalismo e affermano la loro professione di fede “europeista”, come nel caso, tanto mediatizzato, di Syriza in Grecia. Tra rottura e adattamento c’è la distanza che separa la conseguente posizione di sinistra, rivoluzionaria da qualsiasi variante riformista del keynesismo.
Il Portogallo non ha alternativa se non quella di affrontare la necessaria rottura con l’imperialismo con coraggio e determinazione. Con l’appoggio e la mobilitazione dei lavoratori e del popolo nulla è impossibile. Con incertezze, rischi e sacrifici, senza dubbio. Ma non esiste rottura delle catene dell’oppressione né balzo in avanti nel processo di liberazione che non abbia i suoi dolori di parto.
Albano Nunes è membro della Segreteria del Partito Comunista Portoghese (PCP)
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Forte avanzata del Partito comunista giapponese: un risultato che ha un valore generale
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Il contributo del Partito Comunista del Brasile (PCdoB) al 16° IIPCO
Il contributo del Partito Comunista del Brasile (PCdoB) al 16° IIPCO
http://www.marx21.it/comunisti-oggi/nel-mondo/24869-il-contributo-del-partito-comunista-del-brasile-pcdob-al-16d-iipco.html
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Intervento del PdCI al 16° Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai
di Fausto Sorini, segreteria nazionale del PdCI, responsabile esteri
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L’America Latina dopo le elezioni
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Si tiene quest’anno in Ecuador l’Incontro Internazionale dei Partiti comunisti e operai
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“La caduta del muro di Berlino” e la campagna anticomunista di intossicazione dell’opinione pubblica da “Avante”, organo centrale del Partito Comunista Portoghese
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Il PdCI incontra il Segretario generale del Partito comunista sudafricano
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Dalla risoluzione approvata dal Comitato Centrale del Partito Comunista Portoghese, il 19 ottobre 2014
1. Il Comitato Centrale del PCP denuncia la manovra intorno al cosiddetto inizio del “nuovo ciclo” dell’Unione Europea, mentre questa si prepara a continuare ad approfondire il suo cammino neoliberale, federalista e militarista, sotto il dominio delle grandi potenze e del grande capitale.
L’indicazione di Carlos Moeda a commissario– uno degli esecutori del patto di aggressione contro i lavoratori, il popolo e il Paese – è solo un altro esempio rivelatore della connivenza e della subordinazione del governo PSD/CDS si dettami dell’Unione Europea, dei gruppi monopolisti e della sua politica di abdicazione nazionale.
2. Il Comitato Centrale del PCP mette in guardia dalle gravose conseguenze del cosiddetto “Trattato Transatlantico del Commercio e degli Investimenti” (TTIP) che è in corso di negoziato tra l’Unione Europea e gli USA a danno dei popoli e che, se ratificato, rappresenterebbe un nuovo sviluppo nell’offensiva contro i diritti del lavoro e sociali, l’ambiente, i servizi pubblici e la sovranità e indipendenza nazionali.
3. L’approfondimento della crisi strutturale dell’imperialismo – che accentua il suo carattere sfruttatore, oppressore, aggressivo e predatorio – continua a segnare l’evoluzione della situazione internazionale, in cui, allo stesso tempo, ha luogo un complesso processo di aggregazione delle forze che nonostante l’esistenza di contraddizioni rappresentano un fattore di contenimento dell’instaurazione di un “nuovo ordine mondiale” egemonizzato dall’imperialismo nordamericano.
Dopo sei anni dall’esplosione della crisi negli USA, la situazione economica e sociale negli Stati Uniti, nell’UE e in Giappone, continua ad essere caratterizzata da una crescita anemica e dalla stagnazione – sotto la minaccia della recessione e il rischio del manifestarsi di nuove esplosioni della crisi -, nel quadro dell’intensificazione dello sfruttamento, dell’aumento della disoccupazione e delle disuguaglianze sociali, della rapina delle risorse e di una sempre maggiore concentrazione e centralizzazione del capitale e della ricchezza.
4. L’imperialismo, sotto la guida dell’imperialismo nordamericano, rafforza le sue alleanze politico-militari – come è risultato evidente nel recente Vertice della NATO, realizzato nel Regno Unito -, moltiplica i focolai di tensione, incrementa l’ingerenza, strumentalizza gruppi xenofobi e fascisti e la loro azione terrorista e fomenta l’aggressione, promuovendo un permanente stato di guerra contro quelli che resistono o che considera rappresentare un ostacolo all’imposizione e alla salvaguardia della sua egemonia mondiale.
In questo quadro, assume una particolare gravità la situazione in Ucraina e nel Medio Oriente. In Ucraina prosegue l’ondata di repressione attuata dalle autorità di Kiev, appoggiata dagli USA, dall’UE e dalla NATO, contro la popolazione ucraina che respinge e resiste al potere golpista dell’oligarchia e dei gruppi fascisti. Nel Medio Oriente e in conseguenza della criminale aggressione di Israele alla popolazione palestinese nella Striscia di Gaza, gli USA guidano una nuova scalata bellicista in Iraq e in Siria che, con il pretesto di combattere il gruppo denominato “Stato Islamico”, racchiude nuovi e tragici pericoli per i popoli di questa regione.
Il Comitato Centrale del PCP denuncia l’ingerenza imperialista in America Latina e nei Caraibi, valorizza la vittoria delle forze progressiste nelle recenti elezioni che si sono svolte in Bolivia e richiama l’attenzione sull’importanza delle elezioni presidenziali in Brasile, dove il grande capitale e l’imperialismo hanno scommesso sulla sconfitta delle forze che sono protagoniste di un processo, iniziato nel 2003, che converge con i processi di affermazione sovrana, progressisti e rivoluzionari, che si sono verificati nella regione.
5. Il Comitato Centrale del PCP valorizza la lotta dei lavoratori e dei popoli contro lo sfruttamento, l’oppressione e in difesa della sovranità e indipendenza nazionali, che si sta sviluppando in un quadro di situazioni complesse e molto differenti e che si propone obiettivi immediati diversi.
La situazione presenta la necessità di approfondire e sviluppare la lotta e di agire per la convergenza delle più ampie forze sociali e politiche che possano confluire nell’azione contro l’imperialismo, la guerra, la minaccia fascista e per la pace, affermando un vasto fronte antimperialista.
Il Comitato Centrale del PCP rileva l’importanza dell’iniziativa del movimento della Pace e della solidarietà antimperialista e saluta la realizzazione dell’Assemblea del Consiglio Portoghese per la Pace e la Cooperazione e del Concerto per la Pace del 22 novembre.
Una situazione che evidenzia la necessità del rafforzamento del movimento comunista e rivoluzionario internazionale, dei partiti comunisti e delle altre forze rivoluzionarie e degli sforzi per la loro cooperazione, in cui si inserisce la realizzazione del 16° Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai, che avrà luogo dal 13 al 15 novembre, in Ecuador.
Il PCP si impegna nello sviluppo dell’iniziativa internazionalista evidenziando e valorizzando, nel quadro di un’intensa attività, la realizzazione del Seminario Internazionale “La Rivoluzione Portoghese e la situazione in Europa e nel mondo 40 anni dopo”, realizzato il 5 settembre, ad Almada – che ha contato sulla partecipazione di 42 partiti comunisti e forze progressiste di 34 paesi.