Rileggere Friedrich Engels 123 anni dopo

Friedrich Engels (Barmen, 28 novembre 1820 – Londra, 5 agosto 1895)
L’abitudine di utilizzare le ricorrenze per parlare degli importanti personaggi della storia alla quale ci richiamiamo, la storia del movimento operaio, dà talvolta l’impressione di volere estinguere un debito di riconoscenza nei loro confronti, riducendo però tali personaggi a figurine dell’album di famiglia o dei quadri appesi in sezione.
Questa abitudine potrebbe avere un significato più serio e meno religioso se la ricorrenza fosse un pretesto per riaprire la discussione, riannodare il filo della riflessione, se cioè servisse ad interrogare la nostra storia, confrontarci con essa e apprendere. Rompendo il vetro del quadretto in sezione, scopriremmo in tal modo che certi volti, certe menti, continuano ad avere molto da dirci.
Credo sia questo il caso di Engels e, proprio per questo, in occasione del centoventitreesimo anniversario della sua morte, non vorrei riservargli un ricordo imbalsamato, ma cercare di mostrare la vitalità della sua lezione con una serie di appuntamenti per delinearne la vita e l’opera e per compiere delle valutazioni sulla attualità politica e ideologica della sua proposta teorica.
Credo che un giovane militante comunista debba pensare a questi giganti della nostra storia come a suoi compagni: cercare di percorrere le vie tortuose del loro impegno intellettuale e politico, raccoglierne l’esempio, riflettere sulle loro proposte e, nel caso, anche litigarci. Litigarci però a partire da una considerazione, che si tratta cioè di teorici che non meritano di essere trattati come «cani morti»: la loro riflessione, infatti, era non solo il frutto di decenni di studio, ma dell’impegno politico dalla parte della causa dell’emancipazione delle classi subalterne.
Friedrich Engels era innanzitutto questo: un grande teorico del movimento operaio, l’amico e collaboratore più stretto di Marx, un compagno, cioè un rivoluzionario che fino alla sua morte ha dispensato preziosi consigli e indicazioni politiche e organizzative a tutto il movimento operaio europeo.
La vita e l’opera di Engels (prima parte: dall’adolescenza al 1848).
Engels nacque a Barmen nel 1820, in una delle regioni che più sentirono l’influenza della Rivoluzione francese e dell’ascesa di Napoleone e che però mantenne una sua marcata religiosità propria del protestantesimo pietista.
La sua famiglia era di estrazione borghese e tale religiosità devozionale fu parte consistente dell’educazione ricevuta dal giovane: da certe premesse, sembrava avere una strada spianata verso una grigia tranquillità borghese, in un contesto, quello di Barmen, caratterizzato dal paternalismo dei mercanti manifatturieri strettamente collegati alla predicazione pietista.
Tutt’altro era il carattere di Engels, che a più riprese evase da questo piccolo mondo e, durante la sua adolescenza maturò, tramite molte e svariate letture («scandalose», agli occhi dei suoi familiari), una sostanziale rottura col pietismo, in nome del cristianesimo liberale.
Emancipatosi da esso prima e dal cristianesimo poi, alla fine degli anni ’30 entrò in contatto con la sinistra hegeliana. La Vita di Gesù di David Friedrich Strauss fu decisiva per introdurlo alla lettura di Hegel ed il contatto con gli ambienti politici ed intellettuali della sinistra hegeliana lo condussero a posizioni democratico-radicali e poi, successivamente, al comunismo che in tali ambienti cominciava ad affermarsi.
Nel 1842 Engels partì alla volta di Manchester, al seguito del padre, socio di un’impresa tessile. Si tratta di un evento decisivo nella sua vita.
In Inghilterra, Engels venne a contatto con il socialismo inglese (ispirato alle idee di Robert Owen) ed al movimento operaio cartista (che chiedeva diritti politici universali). La conoscenza approfondita tanto del funzionamento del sistema industriale e del regime di fabbrica, quanto delle condizioni di vita e di lavoro degli operai, sfociarono in due opere che hanno segnato la storia del marxismo: i Lineamenti di una critica dell’economia politica (1843) e La situazione della classe operaia in Inghilterra (1844). Nello stesso periodo, Engels, tra alterne vicende, divenne amico e collaboratore di Karl Marx.
Queste due opere si situano su un terreno già molto avanzato rispetto al comunismo di cui si discuteva negli ambienti giovani-hegeliani: la descrizione degli effetti del regime di fabbrica si lega ad un tentativo di sottoporre a critica le categorie dell’economia politica classica e di contrapporre la realtà concreta alle rappresentazioni armoniose della società proprie sia dei corifei del libero commercio quanto di sostenitori del protezionismo (come Friedrich List).
Come sottolinea Engels, ciò che Adam Smith definisce un «vincolo di unione e di amicizia fra le nazioni come fra gli individui», cioè la libertà del commercio, altro non è che l’universalizzazione dell’«ostilità fra gli uomini», che muta «l’umanità in una rapace orda di belve (ché altro non sono gli uomini lanciati nella concorrenza)».
Engels discute le categorie dell’economia politica per demistificarle: esse mistificano in una falsa totalità interclassista la realtà degli antagonismi sociali: «L’espressione ricchezza nazionale fu introdotta la prima volta per la smania di generalizzare, propria degli economisti liberali. Finché dura la proprietà privata, questa espressione non ha senso. La “ricchezza nazionale” degli inglesi è grandissima, eppure essi sono il popolo più misero della terra. O bisogna abbandonare questa espressione, o bisogna ammettere i presupposti che le danno un significato. Lo stesso può dirsi delle espressioni economia politica, economia nazionale, economia pubblica. Finché sussistono le presenti condizioni, questa scienza dovrebbe chiamarsi economia privata, poiché tutto quello che essa ha di pubblico non esiste che in vista della proprietà privata».
Eppure queste espressioni prive di senso non solo sono in uso tuttora, ma costituiscono una parte consistente del senso comune (che tocca, talvolta, anche il movimento comunista), che assume che si possa realizzare un “bene comune”, che si possa perseguire una prosperità “nazionale” prescindendo dalla concretezza dei rapporti e delle lotte tra le classi.
Questi primi tentativi critici si possono discutere, nella misura in cui pongono al centro della critica scientifica la concorrenza sul mercato e non il costituirsi del modo di produzione come rapporto sociale di capitale e lavoro salariato e nella misura in cui sono spinti da una vigorosa indignazione morale. Se, come avrebbe detto Hegel, «nulla di grande è stato compiuto nel mondo senza passione», occorre considerare questi primi tentativi (che Marx comunque continuerà a citare più di vent’anni dopo nel Capitale) come l’avvio di una ricerca: a pochi mesi dalla pubblicazione dei Lineamenti di una critica della economia politica, Marx redigerà, a Parigi, i cosiddetti Manoscritti economico-filosofici del 1844, nei quali l’opera engelsiana è citata con apprezzamento quale notevole antecedente.
Il socialismo diventa scientifico quando alla nostalgia dell’immaginario bel tempo andato ed al culto feticistico dell’esistente (che assume l’esistente come naturale) sostituisce la considerazione storica della situazione presente: quando cioè se ne mostra la necessità, che non è caduta dal cielo, ma è storicamente determinata (e quindi, di conseguenza, storicamente superabile, ma solo a partire dalle condizioni realmente esistenti e non a partire dal sogno e dall’utopia).
Abbiamo distinto la posizione engelsiana dal comunismo “filosofico” tedesco, ma occorre distinguerla anche dalla posizione dei socialisti utopisti (come Owen): i socialisti utopisti non vanno oltre la loro filantropia borghese, Engels, invece, comprende come la questione della lotta per una società socialista sia da legare alla lotta degli sfruttati stessi. Il passo successivo dovrà essere la costruzione per via politica di un soggetto storico capace di fare la storia a partire dalla comprensione della posizione che occupa in essa.
Proprio questi tentativi precedono infatti l’avvio di una ricerca comune, quella di Marx ed Engels, che porta alla fondazione del materialismo storico. In scritti come La Sacra Famiglia e L’Ideologia Tedesca, Marx ed Engels “faranno i conti” con la loro formazione nella sinistra hegeliana cominciando ad avvertire la necessità di costruire una nuova concezione del mondo, dando così, nella critica a Feuerbach, una prima esposizione della concezione materialistica della storia.
Se l’emancipazione degli sfruttati deve essere compito degli sfruttati e non di un gruppo di uomini illuminati delle classi colte, diventa inservibile la forma cospirativa che molti gruppi socialisti avevano: si tratta invece di incontrare le masse proletarie, elevarne il livello di coscienza e organizzarle.
Marx ed Engels entrarono così nella Lega dei Giusti e, facendole assumere la forma di una società di propaganda e combattendo altre tendenze interclassiste, la trasformarono al suo primo congresso in Lega dei comunisti.
Marx ed Engels ebbero il compito di redigere un Manifesto della Lega dei Comunisti. Dopo alcuni tentativi engelsiani, fu principalmente Marx (sebbene esso sia firmato da entrambi) a redigere il Manifesto del Partito Comunista: in esso si supera la forma catechistica dei primi tentativi di spiegare cosa sia il comunismo, per delineare una teoria della lotta di classe, una lettura complessiva della modernità capitalistica, i compiti storici del proletariato.
Il Manifesto uscì a Londra nel febbraio del 1848. Quell’anno avrebbe visto, in Europa, l’esplosione di moti rivoluzionari dai quali il proletariato europeo, alleato della borghesia, sperava di ottenere una forma di governo democratica che liquidasse i ceti aristocratici. Non fu così e non poteva che essere così: la borghesia, infatti, di fronte al costituirsi del proletariato come classe consapevole di sé dismise i panni rivoluzionari e le idee dell’89 e intraprese la difesa dello status quo e la controrivoluzione. L’antagonismo tra borghesia e proletariato, con buona pace dei sogni utopistici, si è imposto palesemente al proletariato europeo.
Marx ed Engels parteciparono al movimento rivoluzionario in Germania, ma l’avvento della controrivoluzione li spinse nuovamente in esilio forzato. Stavolta anche Marx si recò in Inghilterra, a Londra. A Londra, Marx ed Engels rifondarono la Nuova Gazzetta Renana, ma si trovarono presto isolati anche tra gli esuli tedeschi. Questo fu il clima che li costrinse a ritornare ad approfondire le loro conoscenze ed i loro studi: Engels tornò alla fabbrica tessile di Manchester e Marx restò a Londra dove, tra qualche scritto giornalistico per il «New York Daily Tribune» e l’altro, cominciò ad avviare studi sempre più approfonditi sull’economia politica. Sono gli studi che lo condurranno a pubblicare, di lì a qualche anno, Per la critica dell’economia politica (1859) e, successivamente, Il Capitale (1867, prima edizione tedesca del primo libro).
Anche Engels avviò, nei limiti del tempo che gli era concesso, studi ad ampio raggio. Colpisce, di Engels, la capacità di entrare rapidamente in possesso di una scienza e di osservarla con sguardo acuto: dalla storia e critica militare alla filologia comparata, dall’economia politica alle scienze naturali, Engels era dotato di un grande spirito enciclopedico e tuttavia era privo del dilettantismo proprio dei positivisti del tempo suo.
Engels era convinto che la concezione del mondo rivoluzionaria, propria delle classi sfruttate, dovesse essere una visione scientifica del mondo. Vedremo, negli articoli successivi, cosa intendesse Engels per tale “visione scientifica del mondo” e che significato abbia oggi la sua proposta teorica.
di Salvatore Favenza, Comitato Centrale PCI
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Il comunismo spiegato ai bambini capitalisti
Per il secondo anno consecutivo il compagno Elis Ferracini viene premiato a Ferrara.
Lo scorso anno il compagno Ferracini aveva conquistato lo stesso premio nella sezione “teatro civile”, con lo spettacolo “Una storia d’Imelda”, quest’anno con “Il comunismo spiegato ai bambini capitalisti” nella sezione “quando gli ideali incontrano l’arte”, vogliamo ricordare lo spettacolo di burattini che il compagno Elis ha fatto, lo scorso anno, per il PCI della sezione di Gallarate
GALLARATE: UN POMERIGGIO CON I BURATTINI
e ci uniamo alla gioia e alla soddisfazione di Elis e dello scenografo Dario Alvisi per il premio che riceveranno il 13 maggio al Museo Agricolo Ferrarese. BRAVI
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Cangemi (PCI): una gigantesca questione morale nell’università italiana
Dichiarazione di Luca Cangemi, responsabile nazionale scuola e università del Partito Comunista Italiano.
“Sette docenti arresti, decine d’indagati, l’individuazione di un sistema ramificato di corruzione che inquina la vita accademica e professionale. Siamo di fronte ad una gigantesca questione morale nel sistema universitario in Italia “- ha dichiarato Luca Cangemi, responsabile nazionale scuola e università del PCI.
“L’università italiana è a un bivio: stretta tra tagli, caduta verticale d’iscritti e crisi del suo ruolo sociale rischia di essere definitivamente consegnata a gruppi di potere, interni ed esterni a essa, che mirano a trasformarla in terreno di saccheggio e di scorrerie”. -ha continuato Cangemi.
“E’ necessario innanzitutto accendere i riflettori dell’attenzione pubblica, da troppo tempo spenti, su questo decisivo comparto. La corruzione, il clientelismo, i criminali intrecci tra settori accademici e professionali e potentati economici si combattono imponendo meccanismi democratici e trasparenti, attivando il controllo sociale cioè riaffermando l’idea di un’Università democratica, qualificata di massa” – ha concluso Luca Cangemi.
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EROS DRUSIANI…..LA VERITA’ SUL PDS
Il testo che propongo all’attenzione di compagne e compagni è tratto da “avrei preferenza di no” ed Feltrinelli 1993. Il libro è ormai introvabile mi risulta, come sempre meno reperibile è la capacità di
scrittura di cui l’autore Eros Drusiani ci fa gentile concessione (e a cui va un grande grazie). Questo libro e questo scritto, giuntomi fra le mani qualche anno dopo la sua uscita (erano gli anni in cui muovevo i primi passi nel teatro e incontravo il miglior ‘cabaret’) , mi ha stupito a quel tempo per l’intelligenza e la lucidità e la coscienza dell’autore che racconta con una semplicità disarmante qualcosa che dentro di sé qualche compagno e compagna sa o ha percepito…una sensazione come ‘l’ovo sodo’ di Virzi, quello ‘che non va né in su né in giù’, ma che da sempre, ad esempio, mi accompagna. Oggi mi stupisce per la sua terrificante attualità, per quanto possa essere terribilmente vera, più che verosimile, quella storia che Drusiani intitola ‘la verità sul PDS’. Di fronte a noi tutti giorni l’esito di quella storia lunga quasi cinquanta anni. Non mi dilungo oltre e vi lascio alla lettura e ai pensieri che potranno seguire.
elis ferracini
La verità sul PDS
(di Eros Drusiani da:”avrei preferenza di no” ed. feltrinelli 1993….)
Quando negli anni settanta il PCI attuò il sorpasso elettorale nei confronti della Democrazia Cristiana, proprio mentre nelle piazze la gente festeggiava quella che sembrava l’imminente fine dell’allora (sigh) ventennio di malgoverno democristiano, si svolse a Piazza del Gesù un’importantissima riunione fra i capi storici della DC e alcuni esponenti della CIA. Oggetto della riunione? Impedire a tutti i costi che i comunisti, seppur democraticamente, potessero prendere i potere. La discussione si protrasse per lunghe ore e le conclusioni, dati alla mano, rivelatisi poi veritieri, erano sconfortanti: la DC sembrava destinata a calare ancora, i socialisti a crescere pochissimo, mentre i laici, al massimo, potevano aspirare alla sopravvivenza.
La gente era stanca, la voglia di cambiare era nell’aria e tutti la respiravano. “Cosa si può fare per frenare l’ascesa dei comunisti?” si chiedevano disperatamente i partecipanti a quella riunione. E all’improvviso a qualcuno, pare Giulio Andreotti, venne un’idea: minare all’interno il PCI e ottenere così l’autodistruzione del partito. L’idea all’inizio venne osteggiata dagli americani che pretendevano di risolvere il caso con le maniere forti sterminando tutti gli iscritti al PCI, i simpatizzanti riconosciuti, quelli riconoscibili e, per sicurezza e antipatia personale, anche tutti i rossi di capelli.
Prevalse l’ipotesi “Andreotti” e tutti chiesero cosa si dovesse fare. Questa in sintesi era l’idea: quattromila giovani democristiani rampanti, laureati,arroganti, presuntuosi e vogliosi di potere, si sarebbero immediatamente iscritti al Partito comunista. Considerate le relatà delle sezioni comuniste, era logico prevedere che nell’arco di due anni una buona parte di quegli “infiltrati” si sarebbe trovata a essere eletta in primis caposezione e, di li a poco, funzionario di partito. A quel punto, seguendo i “consigli” che di volta in volta sarebbero stati dati, si doveva creare confusione tra gli iscritti, confusione che in qualche modo avrebbe condizionato la politica del partito.
Si costituì una commissione di esperti che doveva istruire i falsi comunisti sulle iniziative più idonee da intraprendere al fine di far perdere consenso al PCI e il tutto fu chiamato PDS ovvero (Piano Disfacimento Sinistra).
Innanzitutto, i giovani che frequentavano le case del popolo e i circoli furono presto allontanati proponendo loro iniziative da istituto geriatrico e, in qualche caso, psichiatrico.
Il piano funzionò a meraviglia e appena due anni dopo, nel turno elettorale successivo a quello storico del sosrpasso, il PCI calò tanto che la DC, pur non crescendo, risultò essere di nuovo il partito di maggioranza in Italia. Ma i danni maggiori cominciarono a farsi sentire quando la banda dei quattromila si indediò nelle federazioni. La linea del partito divenne schizofrenica: si perseguì una politica di austerità chiedendo ai lavoratori di affrontare “pesanti sacrifici” per salvare l’economia del paese pur essendo la maggiore forza di opposizione.
Si partecipò al governo di unità nazionale senza avere un ministero, un sottosegretario, un usciere nel palazzo.
Finita l’esperienza dell’unità nazionale ci si considerò partito di lotta e di governo tuonando contro la maggioranza e contemporaneamente salvandola in parlamento con “responsabili astensioni.
La base e il vertice non riuscivano più a comunicare fra loro in quanto la maggior parte dei quadri intermedi, a questo preposti, perseguiva un disegno opposto e da entrambi incomprensibile (fino ad oggi). Intanto la confusione aumentava e ad ogni tornata elettorale il PCI subiva pesanti flessioni.
Più potere ottenevano i quattromila e più la politica del partito diventava contraddittoria e sconcertante. All’interno fiorivano le discussioni e si aprivano dibattiti su tutto ciò che poteva screditare all’esterno l’immagine del partito stesso.
Le strategie mutavano in continuazione, si cominciarono a formare correnti e quando a qualcuno dei quattromila si sono spalancate le porte del comitato centrale, l’inevitabile è successo: il PCI si è sciolto per diventare “una cosa” e, per aggiungere la beffa al danno, il nome di quella “cosa” ha le iniziali del piano che ha sancito la fine: PDS.
Questo documento si basa su notizie rivelate da fonti non sospettabili: mio nonno.
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LA STORIA DELLA NOSTRA COOPERATIVA
26 maggio 2017 ore 21
Cuac, Via Torino 64, Gallarate
LA STORIA DELLA NOSTRA COOPERATIVA
La storia della nostra cooperativa dagli inizi del ‘900 ai giorni nostri…
Ore 19:30 Aperitivo
Ore 21:30 inizio presentazione
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Una storia d’Imleda
Dopo l’ottimo riscontro e i successi ottenuti in aprile, nella zona di Bologna, da “il miele di Thomàs” ispirato al libro “Il Comunismo spiegato ai bambini capitalisti” di G.Thomas, realizzato da Elis Ferracini e da Dario Alvisi, e alla replica di “Una storia d’Imelda” sui temi della Resistenza andato in scena per Anpi Barona a Milano il 25 aprile, il Partito Comunista Italiano annuncia, con grande gioia, il conferimento di un riconoscimento al testo realizzato da Elis Ferracini e da Maurizio Mantani (FéMAteatro), proprio per lo spettacolo “Una storia d’Imleda”.
Tale attestato di apprezzamento per il duro e intenso lavoro realizzato dai due scrittori teatrali per la pièce, giunge da lontano, da Ferrara e da una rivista di settore importante e con una storia prestigiosa. Si tratta, per altro, come lo stesso Ferracini ha tenuto a sottolineare nel comunicarci tale conferimento, vivendo in questi nostri territori “per me (e per noi) più prossimi, quelli della ‘pingue ed immane frana’, di riattivare uno sguardo aperto e capace di cogliere e valorizzare tutto ciò che sia immaginare un mondo migliore ed impegnarsi per realizzare quell’antico ed intramontabile sogno….perché se siamo in tanti a sognare quel sogno, quel sogno può diventare, grazie a tutti, una splendida realtà.”.
Rivolgiamo loro i nostri più sinceri complimenti e invitiamo tutti ad assistere a tale spettacolo che promette di essere ed è già stato, non solo particolarmente educativo, ma anche coinvolgente e interessante, grazie alla capacità degli autori di porre tematiche particolarmente importanti, in maniera fruibile, senza mancare mai di profondità intellettuale.
https://www.rivistailcantastorie.it/burattini-marionette-e-pupi/
PREMI RIBALTE DI FANTASIA 2016
La Giuria del Premio Nazionale “Ribalte di Fantasia” 2016, nel trentennale della sua istituzione, si complimenta con i partecipanti per l’alto livello culturale degli elaborati presentati, il cui numero ha registrato il record assoluto.
Assegna i seguenti Premi “Ribalte di Fantasia”:
All’Arte come impegno civile:
Compagnia Le Calzebraghe, Catania/La Spezia
Elis Ferracini e Maurizio Mantani
(“FéMateatro”), Busto Arsizio, Varese e Anzola Emilia, Bologna
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Rivoluzione è:
DA: http://www.marx21.it/index.php/comunisti-oggi/nel-mondo/27417-rivoluzione-e
di Fidel Castro Ruz
da pcc.cu
Traduzione di Marx21.it
Ci associamo all’unanime cordoglio per la morte di Fidel Castro Ruz e rendiamo omaggio alla figura di uno dei grandi rivoluzionari della storia, pubblicando un pensiero che racchiude il significato di un’intera vita dedicata alla causa degli sfruttati e degli oppressi, e intendiamo farlo allo stesso modo con cui il suo partito, il Partito Comunista di Cuba, ha annunciato la scomparsa del Líder Máximo al mondo intero.
Marx21.it
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Rivoluzione è il senso del momento storico;
è cambiare tutto ciò che deve essere cambiato;
è uguaglianza e libertà piene; è essere trattato e trattare gli altri come esseri umani;
è emancipare noi stessi e con i nostri propri sforzi;
è sfidare potenti forze dominanti dentro e fuori l’ambito sociale e nazionale;
è difendere i valori in cui si crede al prezzo di qualsiasi sacrificio;
è modestia, disinteresse, altruismo, solidarietà ed eroismo;
è lottare con audacia, intelligenza ed eroismo;
è non mentire mai né violare principi etici;
è la convinzione profonda che non esiste forza al mondo capace di schiacciare la forza della verità e delle idee.
Rivoluzione è unità, è indipendenza, è lottare per i nostri sogni di giustizia per Cuba e per il mondo, che è la base del nostro patriottismo, del nostro socialismo e del nostro internazionalismo
Fidel Castro Ruz (1 maggio 2000)
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Film su “crimini partigiani”: ennesimo oltraggio alla Resistenza
di Alessandro Fontanesi, segretario prov. PCdI Reggio Emilia
Con sdegno e preoccupazione nuovamente dobbiamo constatare l’ennesimo oltraggio alla Resistenza e sono ormai diversi che si susseguono in ordine temporale nella nostra provincia, infatti il prossimo 22 aprile presso l’hotel ristorante Gemmi di Cadelbosco, verrà proiettato questo presunto film sui crimini partigiani, che vede tra gli organizzatori la lista civica “Sei di Cadelbosco” e l’ormai immancabile Tadolini. A parte le solite ribalderie ideologiche per accreditarsi ad uso politico verginità ormai perse da tempo, si citano esecuzioni sommarie ai danni di militi della GNR fascista e dei torturatori e assassini fascisti delle Brigate Nere, conclamati protagonisti della guerra voluta da Mussolini e dal fascismo, spacciandoli invece per inermi ed incolpevoli terze figure catapultate nella storia per caso; ci domandiamo perchè il gestore di quel ristorante si presta a una tale messa in scena in evidente spregio ai principi fondanti della nostra Costituzione? Cos’è quello un ristorante o un cinema? E questo lo chiediamo anche anche alle forze preposte all’ordine pubblico. Stessa cosa vorremmo chiederla alla signora Tellini sindaco di Cadelbosco, se con la medesima risolutezza con cui si è opposta alla ripubblicizzazione dell’acqua pubblica, non ha nulla da dire in merito a tutto ciò e non ha nulla da rilevare per questa evidente offesa alla memoria del suo predecessore Giuseppe Carretti, partigiano e per un quarto di secolo presidente dell’Anpi reggiana, che si consuma proprio nella terra di cui oggi ella è prima rappresentante e garante istituzionale?!
Invitiamo pertanto tutti i cittadini, gli antifascisti, i sinceri democratici, nell’occasione del prossimo 22 aprile, a partecipare ad un presidio democratico e antifascista per respingere ancora una volta queste insopportabili provocazioni ai danni della Resistenza e dei partigiani.
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UNA LEZIONE DI STORIA DALL’ANTICO EGITTO
Interessante articolo pubblicato da “Il Fatto Quotidiano” scritto dal Prof. Orazio Licandro***
Il primo sciopero dei lavoratori nel XII secolo a.C.
*** ORAZIO LICANDRO (Catania, 1962), professore ordinario presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche, Storiche, Economiche e Sociali dell’Università Magna Græcia di Catanzaro, ove insegna Diritto romano, Diritto romano II, Epigrafia e Papirologia giuridica. Insegna altresì Epigrafia giuridica presso il Corso di Alta Formazione in Diritto Romano dell’Università La Sapienza di Roma. Dirigente nazionale del Pdci, è stato responsabile nazionale dell’organizzazione e coordinatore della segreteria nazionale. Dal 1997 al 2005 è stato consigliere comunale. Mentre nel 2006 è stato eletto alla Camera dei Deputati nella XV legislatura, ricoprendo gli incarichi di capogruppo Pdci nelle Commissioni parlamentari ‘Affari costituzionali’ e ‘Antimafia’. Attualmente Assessore alla Cultura del Comune di Catania.
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Cascinetta di Gallarate 17 gennaio 2016 cippo di Angelo Pegoraro: commemorazione ufficiale tenuta dal compagno Alberto Visco Gilardi, a nome dell’ANPI di Gallarate, nel 71° anniversario dall’assassinio.
Ci ritroviamo oggi per commemorare la morte, anzi l’assassinio di Angelo Pegoraro. Non è, la nostra, una presenza scontata, una commemorazione rituale. Ci ritroviamo qui perché sentiamo l’urgenza, la necessità di riaffermare con forza i valori di quelle ragazze e di quei ragazzi, Angelo non era ancora diciottenne quando entrò nella Resistenza, che facendosi Partigiani divennero degli eroi.
Io sono sempre stato impressionato dalla scelta di queste ragazze e di questi ragazzi che misero in gioco tutta la loro vita. Potevano anche non farlo, potevano anche decidere di non occuparsi di quello che gli succedeva intorno. Avevano tutta la vita davanti a loro, una vita che sarebbe stata riempita dagli affetti, rivedere il sorriso della propria madre, innamorarsi, costruire una famiglia, mettere al mondo dei figli. Una vita piena di tante gioie, probabilmente anche di dolore, comunque una vita piena, una vita che sarebbe stata degna di essere vissuta, come lo è, o dovrebbe essere, per tutti gli esseri umani. Non fu la disperazione, il non avere niente da perdere che li obbligò ad imbracciare le armi: al contrario avevano tutto da perdere, Angelo perse la vita per la sua scelta.
È stata la speranza a farli diventare Partigiani, qualunque fosse il loro credo politico (comunisti, socialisti, cattolici, azionisti), la speranza che incredibilmente continuava a brillare nonostante i tempi bui, violentati dalla barbarie nazifascista e dalla guerra, in cui vivevano. La speranza in un mondo diverso in cui venisse bandita la guerra, la violenza, la sopraffazione e l’ingiustizia. Una scelta completamente diversa dai loro coetanei che scelsero di stare con le bande fasciste. I fascisti, come diceva il titolo di romanzo poco conosciuto ma molto popolare tra i neofascisti nel dopoguerra, erano “alla ricerca della bella morte”. I ragazzi e le ragazze che facendosi Partigiani divennero degli eroi sceglievano la Vita, non la propria che appunto mettevano coscientemente a rischio, ma di tutti gli esseri umani, di tutte le donne e di tutti gli uomini che abitano il nostro meraviglioso pianeta. Hanno fatto una scelta di parte, Partigiani appunto, non per il proprio tornaconto personale, non per un interesse individuale, ma per tutte le loro sorelle e i loro fratelli, non solo quelli a loro contemporanei, ma anche quelli futuri, anche per noi.
Quello che ci hanno lasciato i Partigiani non è un contributo statico, qualcosa di storicamente dato ma ormai passato. Non ci hanno lasciato “solamente” la libertà, la democrazia e la nostra bellissima Costituzione, qualcosa a cui guardare con ammirazione e con rispetto ma dicendo, come troppo spesso si sente dire, sono cose passate ed ormai acquisite, voltiamo pagina ed andiamo avanti. L’eredità della Resistenza è un contributo dinamico che vive ancora in mezzo a noi. È, appunto, la speranza in mondo migliore.
E proprio di questa speranza noi abbiamo bisogno oggi che viviamo in tempi bui, segnati dalla guerra, dalla violenza, dal terrorismo. Tempi in cui assistiamo a scene apocalittiche di migrazione dove decine e centinaia di migliaia di donne e uomini abbandonano la loro terra, loro sì perché non hanno scelta, non hanno alternativa, in fuga dalla guerra, dalla violenza e dalla fame e affrontano viaggi in condizioni disumane, trovando spesso la morte ricevendo dal nostro mondo ostilità ed indifferenza. Tempi in cui il sentimento religioso viene usato non per creare fratellanza ma per affermare un’identità con cui schiacciare e distruggere quella degli altri e non mi riferisco solo all’estremismo islamico ma anche a chi tra noi, nel nostro mondo, parla di identità cristiana da difendere. Quanto poi siano criminalmente strumentali queste posizioni è facile dedurlo dalle scelte passate di questi falsi nuovi crociati, chi riempiva le ampolle del dio Po, chi si è fatto sposare con un rito celtico da un druido, chi adesso urla contro gli imam ma trent’anni fa vaneggiava di un’alleanza armata con gli estremisti islamici. Tempi in cui si dice di voler imporre ed esportare la pace e la democrazia con la guerra. Ed invece la guerra genera nuove guerre e nuove dittature svelando così l’inganno.
È in questi tempi bui che noi sentiamo più il bisogno che rinasca la speranza, la speranza di un mondo diverso, senza violenza, senza guerra e senza ingiustizia. Ma è una speranza che vediamo vivere ogni giorno, magari nascosta dai mass-media che preferiscono rotolarsi negli aspetti più torbidi, nell’attività di volontariato delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi a favore dei migranti, nei movimenti per la pace, per il diritto allo studio ed al lavoro.
Io, ovviamente, non ho conosciuto Angelo Pegoraro, ho imparato a conoscerlo dai racconti di altri. Ma dentro di me lo immagino sorridente, perché la speranza è sempre accompagnata dal sorriso, Guccini diceva che gli eroi sono tutti giovani e belli, io ci aggiungerei anche con il sorriso. È questo sorriso che ci deve impegnare ancora una volta ed ancora di più a lottare per un mondo migliore. Lo dobbiamo ad Angelo, lo dobbiamo a tutti gli eroi della Resistenza, lo dobbiamo ai miliardi di donne e uomini che vivono e soffrono sul nostro pianeta, lo dobbiamo alle generazioni future.
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La guerra è alle porte
Comitato Contro la Guerra Milano
DA: http://www.marx21.it/index.php/internazionale/pace-e-guerra/26177-la-guerra-e-alle-porte
A Milano venerdì 23 Ottobre si è svolta presso la Camera del Lavoro Metropolitana una partecipata iniziativa promossa dal Comitato contro la Guerra Milano, in collaborazione con il Comitato No Guerra No NATO Nazionale, il cui titolo “la guerra è alle porte” è stato sviluppato da relazioni di Manlio Dinucci, Marinella Correggia ed Ugo Giannangeli. Il Consolato Venezuelano ha inviato il suo saluto così come il gruppo musicale “Banda Bassotti”; si è inoltre avuto modo di ascoltare il saluto di Jean Toschi Marazzani Visconti, che ha brevemente parlato della Yugoslavia “prima e dopo” l’intervento della NATO. La Sala Di Vittorio (400 posti) era quasi piena.
Milano il 23 Ottobre, Napoli il 24, sono le città che hanno ospitato iniziative contro le manovre NATO Trident Juncture, Lunedì 26 se ne terrà un’altra a Roma. Occorre dare slancio ad un lavoro che potrà produrre i suoi frutti nel medio termine. Non ci nascondiamo che quello che si sta avviando è solo l’inizio di una attività, che dovrà parlare della NATO, dei suoi crimini, i cui costi ricadono a cascata sullo Stato Sociale del nostro Paese.
Dunque la guerra è contro i lavoratori in Italia, nel Donbass, in Siria piuttosto che in Libia; sono infatti circa due milioni coloro che si erano trasferiti in Libia per trovarci una occupazione. Di questo, dei loro destini e della questione del diritto internazionale abbiamo trattato nella iniziativa del 23 Ottobre. Lo abbiamo fatto con Manlio Dinucci, che ha trattato il periodo che dal dopo guerra fredda arriva alle soglie di quello attuale e ha dedicato una parte di relazione alle dinamiche attuali che coinvolgono Libia, Siria, Iraq, Russia e Cina. Marinella Correggia ha parlato degli effetti che producono i crimini della NATO anche sull’ambiente e della vita delle vittime dei Paesi coinvolti: qualcosa di cui generalmente non si ha notizia. Ugo Giannangeli ha trattato dello stato di salute del diritto internazionale e delle implicazioni che il quadro attuale ha per la nostra Carta Costituzionale. Jean Toschi Marazzani Visconti, ha invece fatto una panoramica su come si sia disgregata la Yugoslavia in seguito all’intervento della NATO. Il Comitato contro la Guerra Milano li ringrazia, per aver indubbiamente contribuito a diradare le brume della confusione, che non vorremmo regnasse sovrana. Infatti va contrastata alla radice l’idea che pervade certi ambienti, più o meno in buona fede, un’idea che viene declinata con “gli imperialismi” o “tutte le guerre”. A tale proposito si è esaminato anche l’episodio della “marcia degli scalzi”. Purtroppo, a partire dagli anni 90, c’è un unico Paese che ha creduto bene di ritagliarsi il ruolo di “gendarme del Mondo”: gli Stati Uniti d’America. Il Comitato No Guerra No NATO con il quale lavorano i compagni e gli amici del Comitato contro la Guerra Milano ha ripreso quella parola d’ordine che è parso si fosse smarrita per strada: fuori la NATO dall’Italia, fuori l’Italia dalla NATO.
http://comitatocontrolaguerramilano.wordpress.com/
email: comitatocontrolaguerramilano@gmail.com
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Riflessione sull’AMSC
Lettera aperta dei comunisti gallaratesi
1.
Sono passati quasi due mesi dal Consiglio comunale del 30 marzo. Sconcerta il silenzio quasi totale calato su un atto amministrativo di così grande importanza, un silenzio che suona strano e inaspettato. Neanche tutti i giornali locali ne hanno parlato, cartacei o elettronici che siano, e non si sono registrati commenti di alcun genere, fatta eccezione per due puntualizzazioni apparse sui blog, una nostra e una di Sel, riprese con puntualità da un solo quotidiano locale.
E dire che all’odg c’era una decisione storica, il futuro o, meglio, lo smantellamento dell’Amsc. Una decisione presa in una serata di consiglio senza pubblico, solo una sparuta rappresentanza dei cobas del personale: un consiglio comunale autoreferenziale che ha fatto le cose quasi di nascosto
E’ opportuno riflettere sul perché di questo disinteresse, di questa mancanza di informazione, di questo scarto ormai incolmabile tra istituzioni e cittadinanza: una cittadinanza che o se ne frega ma ne paga poi le conseguenze sulla propria pelle o non è stata minimente messa al corrente di quanto stava accadendo.
E’ un problema che l’Amministrazione comunale dovrebbe porsi, se non altro perché c’è un apposito assessorato alla partecipazione democratica
2.
Nel merito: è difficile non essere d’accordo con lo striscione srotolato dai lavoratori dell’AMSC che recitava “No allo smembramento di Amsc, no alla privatizzazione dei servizi”; né con il loro volantino che parlava di azienda pubblica smantellata all’insaputa dei cittadini e parlava di esternalizzazioni, di privatizzazioni, di abbassamento del livello dei servizi
Giustamente, perché è da febbraio che l’assessore al bilancio Alberto Lovazzano ha reso pubblica la situazione senza girarci tanto attorno: “ nonostante le vendita di Commerciale Gas la gestione dell’azienda continua a produrre debiti, per cui, dato che gli indirizzi governativi ritengono le partecipate un colabrodo, io, facendo salva la tutela dei lavoratori, sto lavorando alla progressiva chiusura di AMSC. La fase è avanzata perché il piano sul futuro della multi servizi deve essere obbligatoriamente portato in consiglio comunale per l’approvazione entro il 31 marzo”.
3.
Per capire le ragioni delle scelte parafrasiamo la metafora della foglia di fico: non dipende da noi, ce lo chiede il Governo, lo dice l’Art.43 della Legge di stabilità del 2015.
Rubricata come legge di “razionalizzazione delle società partecipate locali”, ha l’obiettivo di smantellare il “rovinoso sistema clientelare messo in piedi negli anni dagli Enti locali” attraverso risparmi previsti di € 500 milioni di euro nel 2015 e € 2 miliardi nel triennio 2015-17.
Ebbene, nel merito del portato dell’art.43 nessuno ha mosso sostanziali obiezioni, né nella maggioranza né nell’opposizione. Anche se proprio nella maggioranza si sono indubbiamente manifestate sensibilità diverse.
Lovazzano ad esempio ha detto che dal suo punto di vista si sarebbe potuto procedere più speditamente delle direzione delle privatizzazioni; e Terreni ha rivendicato una sorta di primogenitura su questa strada, per cui il binario su cui l’Amsc è stato incanalato sarebbe perfettamente in linea con le direttive nazionali che prevedono la razionalizzazione, l’efficientamento e la semplificazione delle società municipalizzate. In altri termini, questo è il giro di vite voluto dal governo Renzi per le cosiddette “partecipate colabrodo”, quindi, a tutti gli effetti, la migliore delle scelte possibili.
Per qualcun altro viceversa è stata una scelta dolorosa, dolorosa ma comunque sempre l’unica possibile. Sel ha parlato del fatalismo della politica: la strada è già stata segnata, ha detto il consigliere Mazza, che tuttavia si è sentito sereno perché il tema del lavoro compare più volte nel documento d’indirizzo. In fondo gli si dovrebbe riconoscere in attivo il mantenimento almeno temporaneo della gestione di piscine, farmacia e trasporti. Il comunicato apparso sul blog di Cinzia Colombo ritorna su questa auto attribuzione di merito: se non ci fossimo stati noi le scelte sarebbero state peggiori.
Quindi in estrema sintesi, alcuni dicono “ci viene richiesto e ne siamo contenti”, altri “non ne siamo contenti ma dobbiamo farlo ugualmente”.
La logica comunque è la stessa: è il mercato che indica la strada, la strada delle privatizzazioni e dell’abdicazione del pubblico rispetto al privato, l’abdicazione delle politica amministrativa locale. Alla faccia delle autonomie locali, il Governo impone e gli enti elettivi più vicini ai cittadini eseguono.
Ma allora, stando così le cose, che senso ha fare politica a livello locale? Che senso ha parlare ancora di autonomia politica locale?
5.
Perché il messaggio è disarmante: buono o cattivo che sia, c’è un governo che fa delle scelte e a noi tocca ubbidirgli.
Ma non è così, noi non ne siamo fuori, ne siamo responsabili e come, perché il colore politico dell’Amministrazione Comunale di Gallarate è lo stesso del Governo Renzi, che sostanzialmente è un monocolore PD.
E la sinistra PD e Sel non possono far finta di non saperlo. Il fatto è che non possono, o non sanno fare altro che attenersi alle direttive nazionali, del loro governo e del loro partito, come del resto hanno fatto in occasione delle elezioni provinciali.
Senonchè il loro è l’ennesimo Governo che trasferisce poteri, diritti, risorse, da soggetti sociali deboli a soggetti sociali forti. E la Spending review altro non è se non uno degli strumenti di ricollocazione di tali poteri, diritti, risorse.
Ma perché si è arrivati a questo?
Il programma elettorale con cui il Centrosinistra ha vinto le elezioni era in gran parte incentrato sull’AMSC: prometteva diminuzione delle scatole cinesi, trasparenza, razionalizzazione, efficienza dei servizi.
Da allora sono passati quattro anni, anni di polemiche e demonizzazioni dell’avversario, dall’una come dall’altra parte, e allo stato delle cose possiamo affermare che almeno 3 obiettivi su 4 possono considerarsi falliti. Perché l’ azienda, nonostante la vendita di Commerciale Gas, ha continuato a produrre debiti, con un disavanzo di gestione ormai attestato sul milione di euro all’anno.
Ma, a proposito, come sono stati spesi i 12/13 milioni incassati con la vendita di Commerciale Gas?
Per non parlare dell’improvvisazione gestionale, di cui è sintomo incontrovertibile la girandola di dimissioni di presidenti e direttori generali, fino all’attuale amministratore unico che brilla per la sua assenza da ogni sede di confronto, come è emerso anche nell’ultimo Consiglio comunale.
Un’incapacità di gestione quindi, ma anche di controllo di cui purtroppo sono testimonianza i ripetuti furti.
7
La china ha avuto inizio con la vendita di Commerciale Gas.
Lo dicemmo allora, e purtroppo avevamo ragione: “Se è vero che la vendita frutterà un’entrata di circa 13 milioni euro, è altrettanto vero che così l’AMSC, e per AMSC intendiamo il Comune di Gallarate che di AMSC è proprietario al 99%, rinuncia alla sua principale fonte di utile, un milione e 800 mila euro all’anno, mentre gli altri rami dell’AMSC o sono in passivo, come i trasporti e i servizi sportivi, o risultano in sostanziale pareggio. Quindi, stando così le cose e limitandoci al piano della pura e semplice convenienza economica, come farà l’AMSC ad andare avanti? Quali servizi dovrà tagliare, quali ritocchi tariffari applicare, quali nuove imposte dovrà imporre il Comune, quale sarà la prossima vendita. O addirittura, pezzo dopo pezzo, non si venderà tutto per fare cassa, chiudendo in poco tempo l’intera esperienza AMSC?”.
E’ andata proprio così, si è venduta Commerciale Gas per fare cassa, senza un disegno strategico. E ora tocca alla rete. E poi a breve a tutto il resto.
8
Esprimemmo allora un dissenso di principio, un dissenso di ordine storico-culturale, politico, economico. Ecco i punti:
AMSC è un pezzo importante della storia e dell’identità gallaratese. Lo stesso statuto recita: “La missione dell’AMSC trae origine dalla sua storia più che centenaria e dal suo radicamento sul territorio”. Le origini dell’attuale AMSC risalgono infatti al 1907, anno in cui venne realizzata l’Officina del gas “per la gestione del servizio di erogazione gas nel comune di Gallarate”.
AMSC è un patrimonio comune, di cui in piccola parte ogni cittadino è proprietario. E’ vero che per legge viene gestito da società per azioni, ma è altrettanto vero che oltre il 99% delle azioni è del Comune. Quindi ogni cittadino gallaratese ha giustamente il diritto di pretendere che vengano gestite nel migliore dei modi, con oculatezza e trasparenza.
Con le scelte di oggi non si tiene conto che AMSC è un patrimonio pubblico, è una risorsa economica, e non è la stessa cosa che resti patrimonio comunale o cambi di proprietà.
AMSC infine ha la funzione statutaria di “garantire ai clienti del comune di Gallarate, nonché delle comunità contigue, l’erogazione dei servizi pubblici primari meglio di qualsiasi Ente esterno, sia in termini di qualità, di soddisfazione d’uso, sia in quelli economico gestionali”. E ancora “di assicurare il mantenimento del controllo pubblico sul capitale, preservare la centralità della connotazione di erogatore di servizi rivolto al pubblico”.
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E adesso scopriamo la foglia di fico.
Il tanto citato art 43 della legge di stabilità non imponeva nulla di costrittivo, indicava una urgente necessità di risanamento e lasciava al Comune la discrezionalità su quattro strade:
1.La cancellazione delle società o partecipazioni societarie non indispensabili mediante la loro messa in liquidazione o
cessione.
2.L’eliminazione delle partecipazioni societarie mediante operazioni di fusione o di internazionalizzazione.
3.L’aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica.
4.Il contenimento dei costi di funzionamento, anche tramite la riorganizzazione degli organi amministrativi e di controllo e delle strutture aziendali, nonché attraverso la riduzione delle relative remunerazioni.
Tempistica: il termine ultimo entro cui razionalizzare è il 31/12/2015, ma già entro il 31/03/2015 l’ente locale doveva predisporre il piano operativo di razionalizzazione, che è quanto ha fatto un mese fa.
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Perché allora non si è scelta la quarta strada? Perché questa smania di vendere, esternalizzare, dismettere?
Il problema vero non era seguire alla lettera facili soluzioni governative o vendere per far quadrare i conti.
Era dare una prospettiva a una delle principali aziende di Gallarate, una prospettiva espansiva e imprenditoriale ( il tanto decantato promesso e mai effettuato piano industriale), per impedire che finisse nelle mani di speculatori e imprenditori ammanicati che dopo aver svuotato l’azienda ne decretassero la liquidazione.
Con una gestione capace, oculata e irreprensibile.
In dieci punti abbiamo sinteticamente riassunto la nostra riflessione politica. Non abbiamo certezze assolute, ma nutriamo la ferma convinzione che il percorso di risanamento votato in Consiglio comunale il 30 marzo non sia irreversibile: indica appunto un percorso, con delle scadenze e delle verifiche in corso d’opera se non dovesse funzionare o se dovessero maturare scelte politiche diverse.
Allo stato delle cose crediamo che proprio questo sia il punto: far maturare scelte politiche diverse, una volta appurato che c’è ancora tempo per farlo.
E’ con questo spirito che ci rivolgiamo alle forze politiche, sociali, culturali, ai cittadini che in varie occasioni si sino dimostrati sensibili e dubbiosi fronte a queste problematiche. Noi ci siamo. Ci mettiamo a disposizione, senza primogeniture, per trovare una strada comune.
Segreterie PRC e PCdI di Gallarate
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«No Guerra No Nato. Per un paese sovrano e neutrale»
Perché è urgente lottare contro la NATO e riscoprire il senso dell’agire politico
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di Domenico Losurdo
da domenicolosurdo.blogspot.it
A quanti anche a sinistra esprimono riserve ed esitazioni sull’appello e sulla campagna «No Guerra No Nato. Per un paese sovrano e neutrale» vorrei suggerire di riservare particolare attenzione a quello che scrivono da qualche tempo la stampa e i media statunitensi. Al centro del discorso è ormai la guerra; ed essa, ben lungi dal configurarsi come una prospettiva del tutto ipotetica e comunque assai remota, viene sin d’ora discussa e analizzata nelle sue implicazioni politiche e militari. Su «The National Interest» del 7 maggio scorso si può leggere un articolo particolarmente interessante. L’autore, Tom Nichols, non è un Pinco Pallino qualsiasi, è «Professor of National Security Affairs at the Naval War College». Il titolo è di per sé eloquente e quanto mai allarmante: In che modo America e Russia potrebbero provocare una guerra nucleare (How America and Russia Could Start a Nuclear War). È un concetto più volte ribadito nell’articolo (oltre che nelle lezioni) dell’illustre docente: la guerra nucleare «non è impossibile»; piuttosto che rimuoverla, gli USA farebbero bene a prepararsi a essa sul piano militare e politico.
Ma come? Ecco lo scenario immaginato dall’autore statunitense: la Russia, che già con Eltsin nel 1999 in occasione della campagna di bombardamenti della Nato contro la Jugoslavia ha profferito terribili minacce e che con Putin meno che mai si rassegna alla disfatta subita nella guerra fredda, finisce con il provocare una guerra che da convenzionale diventa nucleare e che conosce una progressiva scalata anche a questo livello. Ed ecco i risultati: negli USA le vittime non si contano; la sorte dei sopravvissuti forse è ancora peggiore sicché, per accorciare le sofferenze, occorre somministrare loro la morte mediante eutanasia; il caos è totale e a far rispettare l’ordine pubblico può essere solo la «legge marziale». Ora vediamo quello che succede nel territorio del nemico sconfitto, e colpito non solo dagli USA ma anche dall’Europa e in particolare da Francia e Gran Bretagna, esse stesse potenze nucleari:
«In Russia, la situazione sarà ancora peggio [che negli USA]. La piena disintegrazione dell’Impero Russo, iniziata nel 1905 e interrotta solo dall’aberrazione sovietica, giungerà finalmente a compimento. Scoppierà una seconda guerra civile russa e l’Eurasia, per decenni se non più a lungo, sarà solo un miscuglio di Stati etnici devastati e governati da uomini forti. Qualche rimasuglio di Stato russo potrebbe riemergere dalle ceneri ma probabilmente sarà soffocato una volta per sempre da una Europa non intenzionata a perdonare una così grande devastazione».
Nel titolo l’articolo qui citato fa riferimento solo alla possibile guerra nucleare tra Stati Uniti e Russia, ma chiaramente l’autore non si accontenta delle mezze misure. Il suo discorso prosegue evocando una replica in Asia dello scenario appena visto. In questo caso non è Mosca ma Pechino a provocare la guerra prima convenzionale e poi nucleare con conseguenze ancora più terrificanti. Il risultato però è lo stesso: «Gli Stati Uniti d’America in qualche modo sopravvivranno. La Repubblica Popolare di Cina, analogamente alla Federazione Russa, cesserà di esistere in quanto entità politica».
È una conclusione rivelatrice, che involontariamente getta luce sul progetto o meglio sul sogno accarezzato dai campioni della nuova guerra fredda e calda. Non si tratta di respingere l’«aggressione» attribuita alla Russia e alla Cina, e non si tratta neppure di disarmare questi paesi e di metterli nella condizione di non nuocere. No, si tratta di annientarli in quanto Stati, in quanto «entità politiche». Almeno per quanto riguarda la Russia, l’autore si lascia sfuggire che la sua «disintegrazione» è il risultato di un processo benefico iniziato nel 1905, disgraziatamente interrotto dal potere sovietico ma che potrebbe «finalmente» (finally) giungere alla sua conclusione. A ritardare la «disintegrazione» totale della Russia che s’impone è stata solo l’«aberrazione» del paese scaturito dalla rivoluzione d’ottobre. Sembrerebbe che l’autore statunitense qui citato esprima disappunto e delusione per la disfatta subita dalla Germania nazista a Stalingrado.
Una cosa è certa: distruggere la Russia quale «entità politica» era il progetto caro al Terzo Reich. E dunque non è un caso che la NATO, almeno in Ucraina, collabori apertamente con movimenti e circoli neonazisti. Distruggere la Cina quale «entità politica» era invece il progetto caro all’imperialismo giapponese, emulo in Asia dell’imperialismo hitleriano. E, dunque, non a caso gli Stati Uniti rafforzano il loro asse con un Giappone che rinnega la sua costituzione pacifista e che è impegnato in un forsennato revisionismo storico, con la riduzione a bagattella o quasi di uno dei capitoli più orribili della storia del colonialismo e dell’imperialismo (i crimini di cui si è macchiato l’Impero del Sol Levante nel tentativo di assoggettare e schiavizzare il popolo cinese e altri popoli asiatici).
L’articolo che ho lungamente citato è sintomatico. Già in base alla dottrina proclamata da Bush jr, gli USA si attribuivano il diritto di stroncare tempestivamente l’emergere di possibili competitori della superpotenza allora del tutto solitaria. Chiaramente tale dottrina continua a ispirare nella repubblica nordamericana circoli militari e politici pronti a correre il rischio anche di una guerra nucleare.
È a questa minaccia che intendono rispondere – finalmente! – l’appello e la campagna «No Guerra No Nato. Per un paese sovrano e neutrale». È incoraggiante che in questa iniziativa siano impegnate personalità illustri con un diverso orientamento politico e ideologico. In difesa della pace internazionale e della salvezza del paese è possibile promuovere uno schieramento assai largo.
Sennonché, come accennavo all’inizio, ci imbattiamo talvolta in riserve ed esitazioni che si manifestano in ambienti inaspettati e insospettati e che fanno persino riferimento al movimento comunista. Si tratta di riserve ed esitazioni di cui non si comprende bene il senso. Per cominciare a organizzarci contro la guerra dobbiamo attendere che diventi una realtà la prospettiva di distruzione e di morte su larghissima scala che emerge dalla stampa internazionale e in primo luogo statunitense? Sarebbe un atteggiamento irresponsabile e suicida. È vero, le forze che hanno compreso la reale natura della NATO e che sono pronte a lottare contro di essa sono oggi piuttosto ridotte. Ma da questa constatazione discende non la legittimità del rinvio del nostro impegno nella lotta per la pace, ma al contrario la sua assoluta urgenza. Abbiamo una grande storia alle spalle. A suo tempo Lenin ha lanciato la parola d’ordine della trasformazione della guerra in rivoluzione allorché, mentre in diversi paesi europei, accecati per qualche tempo dall’ideologia dominante, i giovani correvano in massa festanti e entusiasti all’arruolamento volontario come andando incontro a un appuntamento erotico. Ovviamente, la situazione odierna è quanto mai diversa, ma non c’è alcun motivo per abdicare al compito di diffondere la consapevolezza dei pericoli di guerra e di denunciare la politica di guerra della NATO. Sin d’ora è possibile e necessario contestare e confutare una per una le manipolazioni dell’industria della menzogna che è al tempo stesso l’industria della propaganda bellica; sin d’ora è possibile e necessario contrastare ogni misura politica e militare che minaccia di avvicinarci alla catastrofe: E tutto ciò mai perdere di vista l’obiettivo strategico dell’espulsione della NATO dal nostro paese.
Le riserve e le esitazioni nei confronti dell’appello e della campagna contro la NATO non hanno alcuna plausibilità politica e morale. C’è però una spiegazione, che non è una giustificazione. Almeno in Europa occidentale la dura sconfitta subita dal movimento comunista tra il 1989 e il 1991 ha comportato un terribile impoverimento non solo teorico ma anche etico-politico. Il primo è largamente noto, e io ho cercato di contribuire a chiarirlo in primo luogo con i miei libri sulla «sinistra assente» e sul «revisionismo storico». Ora è sull’impoverimento etico-politico che vorrei dire qualcosa: anche gli intellettuali che non si associano al coro impegnato a infangare la «forma-partito» si rivelano spesso incapaci di agire in modo associato. Sembrano aver dimenticato il significato dell’agire politico e soprattutto di un agire politico che intenda trasformare radicalmente la realtà esistente e che pertanto è costretto a scontrarsi con un apparato di manipolazione più poderoso che mai. Sappiamo dai nostri classici che la piccola produzione è il terreno sul quale attecchisce l’anarchismo. Gli odierni sviluppi della comunicazione digitale comportano di fatto un forte rilancio della piccola produzione intellettuale. Ed ecco che, nel clima venutosi a creare in seguito alla sconfitta del 1989-1991 e al connesso impoverimento etico-politico, non pochi intellettuali anche di orientamento comunista tendono a rinchiudersi ciascuno nel suo blog e nel suo sito. In questo blog e in questo sito il singolo intellettuale ha da misurarsi solo con se stesso, senza imbattersi nelle contraddizioni e nei conflitti che sono propri dell’agire politico in quanto agire associato.
Abbiamo allora blog e siti di orientamento comunista, non poche volte pregevoli e talvolta assai pregevoli, ma assai spesso in misura diversa affetti da quella vecchia malattia che è l’anarchismo da gran signore, resa più acuta e più difficilmente curabile dall’impoverimento etico-politico cui ho accennato, e ora in grado di manifestarsi senza più ostacoli grazie ai miracoli della comunicazione digitale. Per ognuno di questi intellettuali il proprio blog e il proprio sito sono al tempo stesso il partito e il giornale in quanto tali. E questi intellettuali si atteggiano in tal modo per il fatto che – essi lamentano – mancano il partito e il giornale.
Soprattutto per quanto riguarda il primo punto, ai lettori di questo blog sono già note le mie prese di posizione pubblica, che qui non ho bisogno di ribadire. Voglio aggiungere solo un’osservazione. Se i diversi siti e blog di cui ho parlato s’impegnassero a condurre la campagna «No Guerra No Nato. Per un paese sovrano e neutrale», denunciando giorno dopo giorno i piani di espansione e di guerra della Nato e le sue manovre per destabilizzare con ogni mezzo (anche facendo ricorso all’ISIS) i paesi che a tutto ciò si oppongono, allora sì che avremmo compiuto un passo concreto e importante in direzione della fondazione di un giornale nazionale (nel senso leninista e gramsciano del termine). E se nel corso di questa campagna un numero considerevole di intellettuali e di militanti riscoprisse la voglia e il senso dell’agire politico, che è sempre un agire associato soprattutto quando persegue obiettivi di trasformazione radicale della realtà politico-sociale, allora avremmo fatto un passo concreto e importante in direzione della soluzione del problema del partito per la quale tutti siamo chiamati a impegnarci.
[DL 21 maggio 2015]
Firma la petizione
http://www.marx21.it/internazionale/pace-e-guerra/25407-no-guerra-no-nato.html
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DDL scuola, ancora un passo e cento anni indietro!
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Mercoledì 13 maggio 2015 alle 17.30
Teatro del Popolo a Gallarate
Fillea CGIL Varese organizzza:
presentazione del libro
“UN UOMO BRUCIATO VIVO – Storia di Ion Cazacu”
Edizioni chiarelettere
saranno presenti gli autori Florina Cazacu e Dario Fo
C’è da non crederci, eppure è successo e continua a succedere. La storia di Ion, ingegnere in Romania, operaio piastrellista in Italia, vittima innocente della violenza cieca del suo datore di lavoro, non è isolata. È accaduto che altri due operai kosovari nelle Marche siano stati uccisi da un impresario locale: il loro torto e quello di Cazacu era quello di pretendere di essere pagati, che fossero rispettati i loro contratti.
Dario Fo da anni voleva raccontare questa storia che tanto aveva colpito anche Franca Rame: ora, con l’aiuto della figlia dell’operaio romeno, Florina, riesce a riportare alla memoria fatti di una violenza così spietata che sembra impossibile possano verificarsi. E ripetersi. Anche il marito di Florina, piastrellista come Ion, è oggi minacciato, anche lui è vittima di violenze e soprusi.
Nella giungla del mercato del lavoro, soprattutto quello edile, non ci sono regole, vince chi ha più potere. E la nostra giustizia, come dimostra Florina, non riesce sempre a imporre la verità e il diritto.
Siamo nella Lombardia dei “masson” (i muratori degli antichi Comuni), la ’ndrangheta controlla il mercato del lavoro, il diritto è sospeso. La frode contributiva e fiscale è senza controlli. Chi ha la forza di opporsi alle mafie? Se la politica è assente, la tenacia e la caparbietà di Florina servono come modello per non rinunciare ad alzare la voce e a chiedere giustizia e verità.
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PRIMO MAGGIO A VARESE
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… SUL CORTEO DEL 25 APRILE A BUSTO ARSIZIO
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MEMORIA STORICA
Senato della Repubblica 06/03/1953
Sandro Pertini commemora Giuseppe Stalin
Signor Presidente, onorevoli colleghi il dolore e l’angoscia che sono in noi impediscono ogni frase retorica ed ogni accento polemico. Dinanzi a questa morte non si può rimanere che stupiti e costernati.
Stupiti, per la grandezza che questa figura assume nella morte. La morte la pone nella sua giusta luce; sicché uomini di ogni credo politico, amici ed avversari, debbono oggi riconoscere l’immensa statura di Giuseppe Stalin.
Egli è un gigante della storia e la sua memoria non conoscerà tramonto. Siamo costernati dinanzi a questa morte per il vuoto che Giuseppe Stalin lascia nel suo popolo e nella umanità intera. Signori, se abbandonate per un istante le vostre ostilità politiche, come le abbandono io in questo momento, dovete riconoscere con me che la vita di quest’uomo coincide per trent’anni con il corso dell’umanità stessa. Quattro tappe, soprattutto, della esistenza di Stalin rappresentano quattro pietre miliari della storia universale.
Ottobre 1917: questa data costituisce una svolta decisiva per la storia del mondo, come la costituì il 14 luglio 1789. Il 14 luglio 1789 si affermò e trionfò il Terzo Stato che dette una sua politica, economica e sociale, a tutto il secolo xix. L’ottobre 1917, segna l’affermazione vittoriosa del Quarto Stato, il quale soprattutto da quel giorno diviene da oggetto soggetto di storia. Per opera di quella vittoria l’utopia d’uri tempo diventa realtà e quella che era una speranza a sospingere le masse diseredate ed oppresse verso la mèta suprema diviene una certezza.
Altra tappa della vita di Giuseppe Stalin è, a mio avviso, l’edificazione socialista nella sua terra. Allora erano molti i pessimisti, gli scettici che dicevano che non sarebbe stato possibile edificare il socialismo in un paese solo. Invece questo Uomo, ereditando il pensiero e lo insegnamento di Lenin, riuscì a trasformare il suo popolo; riuscì a dargli anche una economia industriale, che sembrava un tempo un sogno ed una pazzia, sfruttando le immense ricchezze che il suolo della sua terra racchiudeva. Portò, così, il lavoratore sovietico, liberato da ogni catena, ad un alto livèllo di vita e di dignità umana. E, badate, signori, è stato questo sforzo gigantesco a costruire ed a consolidare quella cittadella, contro cui più tardi s’infrangerà la valanga nazista.
Ed ecco la terza tappa che rappresenta un’altra pietra miliare per l’unità e su cui deve essere scritta la parola « Stalingrado». Signori, voi tutti ricorderete le ore angosciose che abbiamo vissuto quando la valanga nazista si rovesciò sull’Unione Sovietica. Le armate naziste già scorgevano le torri del Cremlino e le vette del Caucaso. Ebbene, noi sentivamo che se, per dannata ipotesi, fosse crollata l’Unione Sovietica, con l’Unione Sovietica – non dimenticatelo voi che mi ascoltate – sarebbero crollate tutte le speranze di un trionfo della libertà sulla dittatura nazifascista. In quel momento sentivamo che uomini di tutti i credi politici trattenevano il respiro consapevoli che la loro sorte era legata alla sorte di Stalingrado. E Stalingrado diventò la Valmy della Rivoluzione d’Ottobre e al mondo attonito offrì il miracolo di una strepitosa vittoria, sotto la guida di Stalin. Allora comprendemmo che da Stalingrado aveva inizio la vittoria delle armi democratiche contro le armi della barbarie !
Vi è poi l’ultima tappa, signori; altra pietra miliare sul cammino dell’umanità. Se a me, umile e piccolo uomo di fronte a tanta grandezza, fosse concesso di scoprire su questa pietra dei nomi, tre ne scriverei : «Pace Roosevelt Stalin». Perchè, signori, oggi noi dobbiamo tutti riconoscere che lo sforzo che ha fatto questo uomo in questi ultimi anni è stato quello di gettare le fondamenta di una pace sicura e duratura. Ecco perchè egli si intese subito con un altro uomo che aveva indicato al suo ed agli altri popoli la strada da seguire dopo la guerra, se si voleva veramente avviare il mondo verso la pace e non verso un conflitto mondiale : Roosevelt. Non è vero che Roosevelt sia stato ingannato! Egli ha ascoltato semplicemente la sua coscienza, il suo grande spirito ; e ecco perchè si intese subito con Giuseppe Stalin.
E Giuseppe Stalin continuò su questa strada che era la strada della pace.
Per quale ragione, o signori, egli ebbe tanto a cuore questo bene prezioso? Vedete, chi come noi è stato nell’Unione Sovietica ha avuto la esatta impressione che i dirigenti della politica dell’Unione Sovietica sentono di doversi preoccupare non soltanto delle sorti del popolo lavoratore sovietico, ma anche delle sorti dei lavoratori di tutta la terra. Ecco perchè, o signori, noi respingiamo sdegnosi e sdegnati l’insinuazione fatta da un’alta autorità politica italiana ed apparsa stamani sui giornali e che cioè Giuseppe Stalin «non abbia avuto comprensione per il popolo lavoratore italiano». Le sorti del popolo lavoratore italiano stavano a cuore a Giuseppe Stalin come gli stavano a cuore le sorti del popolo suo e quelle di tutti i popoli della terra.
Egli si è sempre battuto per la pace, consapevole che coloro che pagano il più alto tributo di sangue e di sofferenze, nella guerra, sono i suoi contadini e gli operai. E da buon socialista egli sapeva che non si doveva volere la guerra per distruggere quanto la società attuale ha costruito, bensì si deve tendere a trasformare la vecchia società per edificarne una nuova. Questa è stata la sua volontà ferma ; per questo egli negli ultimi anni si è battuto. Ha sempre respinto ogni provocazione, ha sempre rinunciato ad atti di forza pur di difendere questo bene che appartiene non solo al suo popolo, ma a tutta l’umanità.
L’ultimo suo atto come statista fu precisamente un nuovo appello per la pace. Egli ha terminato bene la sua giornata, anche se troppo presto per noi e per le sorti del mondo. L’ultima sua parola è stata di pace. Ebbene, in questa ora per noi così triste, ci auguriamo che questo invito alla pace, che rispecchia la volontà di tutti i lavoratori della terra, non cada nel vuoto, ma venga raccolto da tutti coloro che hanno nelle mani le sorti dei popoli.
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Contro l’imperialismo, per un Mediterraneo di Pace – Tutti gli interventi –
Ricostruire il Partito Comunista – Palermo, 28 febbraio 2015
TUTTI GLI INTERVENTI
Intervento di Federico La Mattina
Intervento di Bruno Steri
Intervento di Adham Darwasha
Intervento di Fausto Sorini
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Fausto Sorini responsabile esteri PCd’I: “Contro l’imperialismo per un Mediterraneo di pace”
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Assemblea “Ricostruire il Partito Comunista”, Livorno 21 gennaio 2015 – Intervento di Manlio Dinucci –
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La dura condanna dell’astensione italiana sulla risoluzione ONU contro la glorificazione del nazi-fascismo
Riportiamo qui di seguito il comunicato della Associazione Nazionale Partigiani d’Italia Comitato Provinciale di Alessandria
pubblicata da: http://www.marx21.it/italia/antifascismo/24851-la-dura-condanna-dellastensione-italiana-sulla-risoluzione-onu-contro-la-glorificazione-del-nazi-fascismo.html
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato lo scorso 22 novembre una mozione presentata dalla Russia che condanna i tentativi di glorificazione dell’ideologia del nazismo e la conseguente negazione dei crimini di guerra commessi dalla Germania nazista.
La Risoluzione esprime “profonda preoccupazione per la glorificazione in qualsiasi forma del movimento nazista, neo-nazista e degli ex membri dell’organizzazione “Waffen SS”, anche attraverso la costruzione di monumenti e memoriali e l’organizzazione di manifestazioni pubbliche”.
Il documento rileva anche l’aumento del numero di attacchi razzisti in tutto il mondo.
Una iniziativa giusta, si dirà, visti i continui rigurgiti fascisti e nazisti ai quali si assiste sempre più spesso in diversi quadranti del mondo.
E invece no. Perché solo 115 dei Paesi rappresentati alle Nazioni Unite hanno votato a favore della mozione, mentre in passato il numero dei sì era stato assai più consistente, ad esempio 130 due anni fa. Incredibilmente ben 55 delegati, tra i quali il Governo italiano, si sono astenuti e 3 rappresentanti – quelli degli Stati Uniti, Canada e Ucraina – hanno addirittura votato contro.
La Vicepresidente nazionale dell’ANPI, Carla Nespolo ha inviato il seguente comunicato stampa, condiviso dall’ANPI Provinciale di Alessandria.
” L’astensione del Governo Italiano sulla risoluzione dell’ ONU, approvata a maggioranza, che sancisce il rifiuto del neonazismo nel mondo e respinge “ogni forma di negazione dei crimini nazisti”, è un atto grave e inaccettabile.
L’Italia è il Paese in cui la Resistenza al fascismo e al nazismo è stata tra le più forti ed estese d’Europa.
La Costituzione Italiana è, per specifica decisione dei Padri Costituenti, una Costituzione Antifascista.
Tanti partigiani, tanti giovani e tante donne, hanno lottato, sofferto e in molti casi hanno lasciato la vita, per sconfiggere nazismo e fascismo.
Vergognosa è l’astensione dell’Italia!
Il fatto che tanti altri Paesi Europei si siano astenuti, rappresenta una svolta pericolosa e regressiva nella stessa politica estera europea, ma non giustifica in alcun modo la scelta del Governo Italiano che ancora una volta ha rinunciato ad un ruolo di protagonista in Europa.
La decisione degli Stati Uniti d’America, del Canada e dell’Ucraina, di votare contro tale risoluzione, se mai, dimostra un’inaccettabile subalternità europea ed italiana, alla volontà americana.
Nè vale a giustificare tale scelta, il fatto che tale risoluzione sia stata proposta dalla Russia.
Tra l’altro si tratta di un documento molto simile ad altri, presentati nel 2011e nel 2012, e sempre votati all’unanimità o quasi, dall’Assemblea dell’ONU.
Persino Israele, Paese notoriamente amico degli Stati Uniti, ha votato a favore del rifiuto dell’ideologia fascista e nazista.
L’Italia si è astenuta! E questo è inaccettabile e deplorevole.
L’ANPI eleva alta e forte la propria voce, contro tale voto, che umilia la nostra storia democratica e offende la Resistenza, i suoi protagonisti e i suoi valori.”
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Togliatti è tornato! Una mostra racconta il leader PCI
http://oltremedianews.it/togliatti-tornato-mostra-racconta-leader-pci/
“Palmiro Togliatti. Un padre della Costituzione”. È questo il titolo della mostra multimediale che è stata inaugurata il 28 novembre presso la Camera dei Deputati nella Sala della Regina, alla presenza del Presidente della Repubblica, della Presidente della Camera, di Marisa Malagoli Togliatti e di numerosi intellettuali e studiosi. Il cuore della mostra riguarda ilruolo svolto da Togliatti dal suo rientro in Italia, nel marzo 1944, e dunque dalla svolta di Salerno, all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana il 1° gennaio 1948. Ma uno spazio è dedicato anche alla biografia di Ercoli precedente al 1944 e al suo ruolo di Segretario del PCI e parlamentare dal 1948 al 1964, anno della sua morte.
La mostra – costruita all’interno di un ambiente scenografico molto suggestivo, che costituisce uno spazio a sé stante nella Sala della Regina, composto da teli specchianti, monitor, proiezioni e touch-screen – comprende moltissimi materiali audiovisivi, che si affiancano a documenti originali (tra i quali il manoscritto del Memoriale di Jalta), fotografie, giornali dell’epoca, manifesti, e alla riproduzione in dimensioni reali del celebre quadro di Guttuso sui funerali del Segretario comunista. Nove sono i focus principali: Da Mosca a Napoli; Da Napoli a Roma; L’eredità di Gramsci; La liberazione; Togliatti guardasigilli;L’Italia alle urne; La libertà e l’amore; Verso il mondo bipolare; La Costituzione.
La mostra, fortemente voluta dalla Fondazione Istituto Gramsci, è stata realizzata da quest’ultima assieme all’Archivio centrale dello Stato e all’Archivio storico della Camera dei deputati, con la preziosa collaborazione dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico (AAMOD) e dell’Università degli studi Roma Tre, presso la quale si trova la biblioteca di Togliatti.
Tra i contributi audiovisivi forniti dall’AAMOD, spiccano film documentari realizzati da registi di grande rilievo, vicini o iscritti al Partito comunista, come Togliatti è ritornato di Carlo Lizzani, con immagini della prima manifestazione col Segretario del PCI dopo l’attentato subito nel luglio 1948; I fatti di Modena, dello stesso Lizzani, sui funerali dei lavoratori uccisi durante una manifestazione nel 1950, a cui Togliatti partecipò assieme a Di Vittorio; o Pace, lavoro e libertà di Gillo Pontecorvo, che dà conto dei lavori del VII Congresso del partito. Di grande interesse anche il filmato della visita di Togliatti ai lavoratori della Geloso in lotta, realizzato dalla Federazione milanese del PCI. Vi è poi la “chicca” del discorso in francese del compagno “Ercoli” al VII Congresso dell’Internazionale comunista, che all’indomani dell’ascesa del nazismo varò la linea dei fronti popolari antifascisti e del quale fu protagonista assieme a Georgij Dimitrov. Interessanti anche le tribune politiche ed elettorali con Togliatti, recuperate presso le Teche Rai, e i materiali di contesto forniti dall’Istituto Luce.
Una parte della mostra è infine dedicata alla morte di Togliatti a Jalta, in Unione Sovietica, e agli imponenti funerali che si tennero a Roma e che costituiscono una delle più straordinarie manifestazioni di massa della storia repubblicana. Di questo evento rimane il film collettivo L’Italia con Togliatti, che ebbe tra i suoi autori registi come Paolo e Vittorio Taviani, Carlo Lizzani e Glauco Pellegrini, e che pure è tra i materiali forniti dall’Archivio. Degno di nota è anche il fatto che dal girato di quel documentario furono tratte sequenze di grande bellezza e intensità presenti nei film Sovversivi di Paolo e Vittorio Taviani eUccellacci e uccellini di Pier Paolo Pasolini, dei quali pure sono riproposti alcuni brani.
La mostra sarà visitabile, con ingresso libero, fino al 18 dicembre (ultimo ingresso ore 17.30), sempre presso la Sala della Regina, esclusi i sabato e i giorni festivi. È anche un’occasione per visitare Palazzo Montecitorio e, lungo il corridoio che conduce alla mostra, ammirare tra i vari busti quello del deputato comunista Antonio Gramsci.
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Eternit / La fabbrica del cancro
http://www.marx21.it/italia/sindacato-e-lavoro/24787-eternit–la-fabbrica-del-cancro.htmlI giornali l’hanno ribattezzata “la fabbrica del cancro”; in principio era soltanto lo stabilimento della Eternit a Casale Monferrato. Su questa tragedia il fotografo Eros Mauroner insieme all’associazione Memor/Abile ha raccolto una serie di testimonianze che sono state inserite nel progetto audiovisivo “La scatola nera”. Il servizio contiene anche brani tratti da “Indistruttibile” di Michele Citoni
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La caduta del muro di Berlino in una intervista a Vladimiro Giacché
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http://www.comunisti-italiani.it/2014/05/05/una-delegazione-del-pdci-al-congresso-della-cgil/
ESTERI
Comunista_0 Comunista_1 comunista2 comunista2-1
Fai clic per accedere a comunista2.pdf
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27 gennaio 1945
Le truppe dell’Armata Rossa varcano i cancelli di Auschwitz e liberano i prigionieri superstiti, sopravvissuti allo sterminio nazista.
E voi, imparate che occorre vedere
e non guardare in aria; occorre agire
e non parlare. Questo mostro stava
una volta per governare il mondo!
I popoli lo spensero, ma ora non
cantiam vittoria troppo presto
il grembo da cui nacque è ancora fecondo
Bertold Brecht
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23 gennaio 1973 / 2014 41 anni fa l’assassinio di Roberto Franceschi
Nel 1973 in memoria di Roberto Franceschi, il Movimento Studentesco di Gallarate dedica a lui una scuola: l’Istituto Tecnico Industriale Statale, con un murales ancora esistente. L’assemblea degli studenti approva all’unanimità e anche il Collegio Docenti approva a maggioranza, nel 2004 viene proposto l’atto formale per la intitolazione dell’Istituto. Ancora oggi la scuola è senza nome.
http://assconcettomarchesigallarate.wordpress.com/2013/01/23/23-genn-1973-23-genn-2013-40-anniversario-delluccisione-di-roberto-franceschi/