Comitato Centrale PCI contributo del compagno Cerardi

cosimoElementi tratti dalla discussione tenutasi nella prima riunione del Comitato Centrale del Partito
Su di noi grava la responsabilità, direi storica, di farne lo strumento idoneo per perseguire l’unica finalità che possa giustificare tale scelta e l’impegno fino ad ora profuso: il rilancio ideologico della questione comunista, la riproposizione in ogni frangente dell’opzione culturale comunista come visione del mondo, in ogni suo ambito. E’ un tema che si intreccia con quello della stessa sopravvivenza del pianeta, e che per la costruzione del consenso assume una rilevanza determinante.
Perché se è reale, e lo è, l’interesse che l’operazione sta suscitando, come ogni giorno possiamo verificare, è, allo stesso tempo, facile scorgere spesso negli interlocutori, lavoratrici, lavoratori, giovani, cittadini.
Sarà finalmente un nuovo avvio, legato alla realtà e con una prospettiva reale di trasformazione a cui affidare le proprie speranze? L’obiettivo è e deve essere questo, il contrario sarebbe uno scempio imperdonabile. Vi è una domanda di base che pesa come un macigno sulla coscienza collettiva della nostra base di riferimento che deve essere rimossa dal circuito mentale dei lavoratori: il capitalismo, piaccia o no, è, oggi come non mai, l’unico sistema praticabile per la creazione di posti di lavoro? Se non è così allora assolutamente necessario che il partito si caratterizzi e si attrezzi da subito per un recupero di centralità della ricerca teorica-culturale.
Se è questa la domanda a cui si deve rispondere appare corretto che il ragionamento che deve avere come centro di gravità la costruzione di un partito comunista conseguente su tale terreno e di ciò compagne e compagni ne dobbiamo essere profondamente consapevoli, infatti, ciò, è assolutamente chiaro al formato gruppo dirigente licenziato dal Congresso Nazionale, celebrato nel giugno di quest’anno, che il percorso richiederà tempo, pazienza e tutta la nostra intelligenza.
Si tratta, adesso, di operare in un territorio decisamente accidentato ma ora più che mai tutto il nostro partito è convinto che con quest’atto di soggettività politica non solo si risponde alle esigenze reali, ma anche a quelli che sono gli attacchi ai diritti dei lavoratori, al welfare, alla scuola pubblica, alla sanità pubblica, ai servizi in generale, per non parlare del devastante attacco ai presupposti fondamentali della nostra Carta Costituzionale Repubblicana nata dalla Resistenza, attacchi responsabili, con il solo scopo di ridefinire l’impianto istituzionale: l’eliminazione del Senato così come era stato definito in passato, con il suo declassamento in termini legislativi, con la elezione dei senatori non più direttamente dagli elettori, dai cittadini, ma dai grandi elettori presenti in consiglio regionale. Allo stato attuale delle cose, all’interno della cosiddetta riforma costituzionale Renzi, sia stato definito lo stesso meccanismo, il criterio, elettorale per la elezione da parte del consiglieri regionali dei senatori consiglieri o dei senatori sindaci.
Per questo, compagne e compagni dobbiamo dare in termini organizzativi e propositivi in generale tutta la nostra forza, la nostra disponibilità nel lavorare in modo unitario all’interno dei comitati per il”No”, e se è il caso costituirli dove non ci sono. Di fronte a questi attacchi ai lavoratori, all’assetto costituzionale del paese, un attacco che non è più perpetrato dall’impresentabile Piduista Berlusconi, ma dal nuovo rottamatore di turno, da Pidino Renzi.manifesto-1-724x1024
Oggi, proprio nel vivo di questa crisi di sistema, ritengo che non basti più essere genericamente antiliberisti, anticapitalisti. Credo, infatti, conseguentemente al ragionamento a proposito della ricostruzione su base territoriale del partito, che sia necessario, cosa complicata, ma a mio modo di vedere indispensabile porsi il problema della ricostruzione della coscienza di classe, coscienza che non nasce spontaneamente ma che presuppone la presenza operante di una teoria rivoluzionaria.
In questo senso, un passaggio doveroso da mettere in campo è dato dalla messa in discussione nei luoghi di lavoro tutto ciò che stato insufflato nella coscienza collettiva dei lavoratori a partire da il cosiddetto “pacchetto Treu”, dalla “legge Biagi” ed in ultimo, in ordine di tempo, non certamente per portata, il cosiddetto ”jobs act”, fino all’attacco alla contrattazione nazionale, suggerito, unitamente con la parallela privatizzazione di ciò che resta di pubblico, interpretato fino in fondo dal Fondo Monetario Internazionale all’Italia, e che ha già trovato attenzione nel governo Renzi. Infatti, la scelta di Federmeccanica, di Confindustria, di superare il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, il suo carattere unificante, solidale, il suo essere strumento di redistribuzione della ricchezza prodotta, del profitto (emblematica la vicenda del settore metalmeccanico in lotta, al quale va tutta la nostra solidarietà) non è quindi casuale. Essa è funzionale a ripristinare nel nostro Paese, così come è in tanti contesti, quel rapporto duale, profondamente iniquo, tra lavoratore e datore di lavoro, meglio sarebbe dire padrone, contro il quale si affermò lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori, che in questi anni, altrettanto non casualmente, è stato oggetto di un attacco tale da averne profondamente svuotato senso e portata.
volantinoreferendum-a4In relazione a ciò, in un rapporto di causa/effetto, potremmo parlarne a lungo, si evidenzia la stessa crisi di rappresentanza e di rappresentatività del sindacalismo italiano. Perciò tematiche come “proprietà e controllo sociale della produzione”, rapporto tra “proprietà sociale e proprietà privata”, tra “programmazione e autogestione”, tra “individuo e società”, la “questione dello stato”, per essere riproposte, vanno consapevolmente riprese in mano e nel caso rimodulate ed attualizzate anche nelle lotte territoriali, nei comitati spontanei dei lavoratori ove dovessero nascere. La ripresa, quindi, dell’analisi e della conseguente sintesi a proposito di una strategia della trasformazione adeguata al ventunesimo secolo esige, per non apparire velleitaria, una nuova stagione di studio e di riflessione, per rielaborare un piano di conoscenza e cercare di arrivare ai nuovi soggetti e alle nuove generazioni con un approccio di tipo pedagogico. Oltretutto il lavoro nella società, nei territori, le lotte, l’elaborazione di posizioni concrete sulle singole tematiche (la prassi dunque), senza un impianto teorico-strategico di riferimento, scientificamente comunista, finirebbero per essere disomogenee, estemporanee, vertenziali, retoriche e, culturalmente, facilmente subalterne. E di questo nel recente passato ne abbiamo desolatamente avuto le prove.
Con la proposta del Partito Comunista Italiano, noi comunisti, pensiamo alle sopracitate contraddizioni, pensiamo ad un forza politica che si dotata di una strutturazione teorica che sia in grado fare i conti con il mondo d’oggi, con le attuali variegate contraddizioni, e ciò, non per addivenire ad una mera analisi teorica, ma ad una prassi quotidiana per il presente e ciò nel verso di un partito che dovrà porsi quale soggetto non settario, ma un soggetto che deve essere in grado di portare a sintesi le lotte tenendo presente il terreno generale, di classe, e non il “particolare”.
Un progetto politico come il nostro che ha l’ambizione di riaprire la battaglia per l’egemonia, pur avendo chiare le enormi difficoltà che si incontreranno nella prima fase, non può nascere prescindendo dall’obbligo di reimmettere nell’immaginario di massa quel che è il suo bagaglio teorico-culturale-scientifico, e soprattutto la reimmissione di tutto quel passato di lotte che i comunisti del nostro paese che, anche territorialmente, hanno saputo in passato interpretare, un passato che oggi sa di continuità di speranza nella trasformazione socialista dell’attuale presente .

 Cosimo Cerardi 

Segr. Prov. PCI Varese (CC, PCI)

Lascia un commento